Penale

Confisca di beni ai sensi dell’art. 12 sexies legge 356/1992 – Prova dell’illecita accumulazione di beni intestati a terzi. – Cass. Penale sentenza n. 11049 del 21 marzo 2001

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Corte
Suprema di Cassazione
Giurisprudenza Civile e Penale




Sentenza
n.11049 del 21 marzo 2001

CONFISCA DI BENI AI SENSI DELL’ART.
12 SEXIES LEGGE 356/1992 – PROVA DELL’ILLECITA ACCUMULAZIONE DI BENI
INTESTATI A TERZI.

(Sezione Prima Penale – Presidente
G. Fabbri – Relatore G. Canzio)

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

1. – Con sentenza in data
29.11.1996 la corte d’appello di Milano, nel condannare D. B. A. e M.
P. per delitti connessi al traffico di sostanze stupefacenti risalenti
al periodo compreso tra gli ultimi mesi del 1993 e i primi mesi del
1994, ordinava ai sensi dell’art. 12-sexies l. 3 56/92 la confisca dei
beni sequestrati nel corso del medesimo giudizio, considerati nella
disponibilità  degli imputati benchè – taluni di essi – formalmente
appartenenti a terzi, e in particolare: a) quanto al D. B., un
appartamento sito in Cesano Maderno via De Medici e due appartamenti
siti in Milano via Farmi n. 73 e n. 75, acquistati il primo nel 1989 e
gli altri due nel 1993 e intestati alla moglie convivente C. F.; b)
quanto alla M., i beni della ditta individuale M. F., suo marito,
esercente attività  di pesca in Rapallo dal 1991, un appartamento del
figlio O. A. sito in Rapallo via Vanessa n. 36 acquistato nel 1994, un
appartamento sito in Rapallo loc. S. Agostino n. 54 acquistato nel 1995
e i beni della ditta individuale O. A., altro suo figlio, esercente in
Rapallo attività  di lavanderia dal 1995.

Detta decisione, sulle
impugnazioni degli imputati, veniva annullata con rinvio dalla Corte di
cassazione con sentenza del 28.5.1998, limitatamente al capo recante la
confisca dei beni sottoposti a sequestro, sul rilievo che la presunzione
relativa d’illecita accumulazione patrimoniale a carico dei soggetti
condannati per certi delitti non opera per quanto concerne la titolarità 
o la disponibilità  da parte del condannato di beni formalmente
intestati a terzi, per i quali vige la consueta ripartizione
dell’onere probatorio incombente sull’accusa e il conseguente
obbligo per il giudice di enunciare adeguatamente gli elementi che lo
inducono ad adottare la confisca di cespiti patrimoniali la cui
titolarità  sia formalmente riferibile a terzi estranei al reato.

La corte d’appello di Milano, in
veste di giudice di rinvio, con successiva sentenza in data 3.4.2000
confermava le statuizioni di confisca dei beni sequestrati sul
sostanziale assunto che i prossimi congiunti degli imputati, apparenti
titolari, non disponevano di redditi sufficienti e proporzionati al
pagamento del prezzo corrispondente ai relativi acquisti, tutti
ricadenti in prossimità  del periodo di commissione dei fatti delittuosi
de quibus, indicandosi quindi, per ogni singolo bene, gli elementi
probatori, di natura documentale, comprovanti l’effettiva disponibilità 
del medesimo da parte del D. B.e, rispettivamente, della M..

Hanno proposto distinti ricorsi
per cassazione avverso la suddetta sentenza i difensori degli imputati.

Il difensore di A. D. B.ha
censurato la violazione del principio diritto fissato dalla Corte di
cassazione in sede di annullamento e l’erronea applicazione
dell’art. 12-sexies l. 356/92 poichè, nonostante il silenzio
dell’organo dell’accusa e la rilevante produzione documentale della
difesa, il giudice di rinvio avrebbe ancora una volta ipotizzato la
fittizia intestazione dei beni immobili in capo alla Carraturo sulla
base di mere congetture e inattendibili presunzioni, negando altresí
con motivazione palesemente illogica la necessità  di un ragionevole
legame temporale fra la realizzazione del delitto e l’acquisto dei
beni.

Il difensore di P. M. ha
denunziato la violazione del principio di diritto fissato dalla Corte di
cassazione in sede di annullamento, l’erronea applicazione dell’art.
12-sexies l. 356/92, la mancanza e la manifesta illogicità  della
motivazione sul punto delle autonome, documentalmente comprovate,
attività  lavorative e disponibilità  economico-finanziarie del marito e
dei due figli dell’imputata ai fini dell’acquisto dei beni
sequestrati, mentre la intestazione fittizia di essi, ritenuti di
effettiva appartenenza della M., sarebbe stata affermata solo sulla base
di meri indizi e non di prove.

2. ” Osserva innanzi tutto il
Collegio, per rispondere alle specifiche critiche mosse
pregiudizialmente sul punto dai ricorrenti, che la speciale ipotesi di
confisca in esame costituisce misura di sicurezza patrimoniale che
colpisce tutti i beni dei quali non sia stata giustificata la
provenienza, di valore sproporzionato al reddito o all’attività 
economica di chi sia condannato per uno dei delitti indicati nella
medesima disposizione, dal momento che il legislatore opera una
presunzione di illecita accumulazione senza distinguere se detti beni
siano o meno collegati da nesso pertinenziale al reato per il quale è
stata inflitta condanna ed a prescindere dall’epoca dell’acquisto,
quindi anche nel caso in cui essi risultino acquisiti al patrimonio
dell’imputato in epoca precedente al fatto contestato (Cass., Sez. V,
23.9.1998, Simoni, rv. 211909; Sez. V, 22.9.1998, Nibio, rv. 211925;
Sez. VI, 26.3.1998, Borsetti); sempre che questi non risultino tuttavia
acquisiti in epoca talmente precedente la commissione dei reati per cui
si procede da far venir meno, ictu oculi, la presunzione che la loro
disponibilità  sia riconducibile a quell’attività  delittuosa (Cass.,
Sez. V, 23.4.1998, Bocca).

In virtù del combinato disposto
degli artt. 199 e 200 c.p. e del principio affermato dall’art. 25
Cost., deve altresí escludersi che in tema di applicazione delle misure
di sicurezza operi il principio di irretroattività  della legge penale
di cui all’art. 2 c.p., sicchè le misure predette sono applicabili
anche ai reati commessi nel tempo in cui non erano legislativamente
previste ovvero erano diversamente disciplinate quanto a tipo, qualità 
e durata (Cass., Sez. 11, 3.10.1996, Sibilia, rv. 207140; Sez. VI,
17.11.1995, Borino Marchese, rv. 204119; Sez. 1,29.3.1995, Gianquitto;
Sez. VI, 28.2.1995, Nevi).

Tanto premesso, merita di essere
ribadita la soluzione interpretativa elaborata con plurime decisioni da
questa Corte, già  condivisa nel caso in esame dalla sentenza di
annullamento con rinvio del 28.5.1998, secondo cui l’art.
12-sexies comma 11. n. 356 del 1992, introdotto dall’art. 2 1. n. 501
del 1994, relativo ad ipotesi particolari di confisca ha introdotto, con
riferimento ai soggetti condannati per determinati reati tassativamente
previsti dalla disposizione di legge in questione e limitatamente a beni
di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività 
economica esercitata, una presunzione relativa di illecita accumulazione
patrimoniale, trasferendo sul soggetto, che ha la titolarità  o la
disponibilità  di beni, l’onere di giustificarne la provenienza, con
l’allegazione di elementi che, pur senza avere la valenza probatoria
civilistica in tema di diritti reali, possessori e obbligazionari, siano
idonei a vincere tale presunzione. Con l’avvertenza però che,
nell’ipotesi di beni intestati a un terzo, ma che si assume siano
nella effettiva titolarità  o disponibilità  della persona condannata e,
come tali, soggetti a confisca ove non se ne dimostri dall’interessato
la legittima provenienza, l’indagine al fine di disporre la misura di
sicurezza patrimoniale deve essere rigorosa, tanto più se il terzo
intestatario sia un estraneo che non abbia vincoli lato sensu di
parentela o di convivenza con il condannato, rispetto ai quali è più
accentuato il pericolo della fittizia intestazione e più probabile
l’effettiva disponibilità  dei beni da parte del medesimo. In tali
situazioni la confisca può investire beni che in tutto o in parte
possono essere di un soggetto che non è neppure imputato ed allora
sarebbe illogico ed improprio gravare la stessa persona, immune da
censure sotto il profilo penale, della misura di sicurezza patrimoniale,
imputandogliela in proprio. Incombe in tal caso sull’accusa l’onere
di dimostrare, ai fini dell’operatività  nei confronti del terzo del
sequestro e della successiva confisca, l’esistenza di situazioni che
avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione
formale e disponibilità  effettiva del bene, si che possa affermarsi con
certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità 
apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del
bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della
confisca; il giudice ha a sua volta l’obbligo di spiegare le ragioni
della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze
sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si
connotino della gravità , precisione e concordanza, sí da costituire
prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare, cioè del
superamento della coincidenza fra titolarità  apparente e disponibilità 
effettiva del bene (cfr., explurimis, Cass., Sez. V, 28.5.1998, Di
Pasquale, rv. 211832).

3. – Alla stregua dei principi
suesposti non si riscontrano, con riferimento alla confisca disposta in
ordine ai beni formalmente intestati ai prossimi congiunti degli
imputati D. B.e M., vizi del provvedimento impugnato rilevanti in sede
di legittimità , poichè la corte territoriale, seguendo un corretto
metodo di esame e di valutazione della prova, ha individuato gli
elementi dimostrativi dell’assunto accusatorio con argomentazioni
congrue, complete e prive di salti logici.

Il giudice di rinvio ha posto a
fondamento delle statuizioni di confisca dei beni immobili intestati a
C. F., moglie convivente del D. B., l’assorbente rilievo che la stessa
non aveva svolto alcuna attività  lavorativa, non aveva dichiarato alcun
reddito se non per gli anni 1992 e 1993 e per importi modestissimi e del
tutto inadeguati rispetto agli esborsi, mentre risultava documentalmente
provato che: a) il prezzo dell’appartamento sito in Cesano Maderno via
De Medici, destinato alla convivenza coniugale, acquistato nel 1989 per
lire i 20.000.000, fu pagato con plurime rate per la maggior parte
ricadenti nel periodo di commissione dell’attività  delittuosa de qua;
b) i due appartamenti siti in Milano via Farmi n. 73 e n. 75, acquistati
nel 1993 per lire 104.000.000 e rispettivamente lire 129.000.000, furono
pagati in contanti a fronte dell’insufficiente somma di lire
40.000.000 a disposizione della Carraturo a titolo di quota ereditaria
assegnatale nel novembre 1992.

Lo stesso giudice ha poi
argomentato adeguatamente e in maniera dettagliata sui singoli beni
formalmente intestati ai familiari della M. ed ha congruamente
evidenziato, per ciascuno di essi, da quali specifici e convergenti
elementi fattuali abbia tratto le coerenti conclusioni circa la concreta
ed effettiva disponibilità  del condannato, nonostante la fittizia
intestazione al terzo.

In particolare:

a) gli esborsi per gli acquisti
delle due imbarcazioni impiegate nell’attività  di pesca esercitata
dalla ditta individuale M. F., marito dell’imputata, erano del tutto
sproporzionati ai modesti redditi dichiarati dal 1989 al 1993, mentre
nessun valore probatorio poteva attribuirsi all’ irrituale
dichiarazione rilasciata della madre dello stesso il 5.12.1996 circa una
pretesa donazione di lire 50.000.000 in contropartita della rinuncia
all’eredità  paterna;

b) quanto all’appartamento di
Rapallo intestato ad O. A., figlio dell’imputata, esso risultava
acquistato il 9.6.1994 per il prezzo di lire 150.000.000 pagato in parte
mediante un finanziamento bancario di lire 80.000.000 da rimborsare con
rate semestrali di lire 5.000.000, a fronte dell’insussistenza per il
formale acquirente di un’attività  lavorativa e di alcun reddito
dichiarato a partire dal giugno 1994;

e) quanto infine ai cespiti
intestati ad O. A., altro figlio dell’imputata, essi (omonima ditta
individuale esercente attività  di lavanderia e un appartamento
acquistato il 16.1.1995 per il prezzo dichiarato di lire 40.000.000)
risultano acquisiti quando lo stesso aveva appena 20 anni, non svolgeva
alcuna attività  lavorativa ed era privo di qualsiasi reddito, mentre
non rivestivano attendibile valore probatorio nè la meramente assenta
titolarità  effettiva della ditta in capo alla zia B. L., nè
l’irrituale dichiarazione dissimulatoria di data 6.12.1996 attestante
una pretesa donazione dell’immobile da parte ditale L. Q..

In definitiva, considerato che al
fine di giustificare la provenienza dei beni confiscabili non è
sufficiente l’esibizione di atti giuridici d’acquisto regolarmente
stipulati e trascritti perchè in tal modo non si dà  conto della
provenienza dei mezzi impiegati per l’acquisizione dei ben medesimi
proporzionati rispetto alle proprie possibilità  economiche, occorrendo
invece fornire un’esauriente spiegazione che

https://www.litis.it

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