Lavoro

Culpa in vigilando. Il datore di lavoro responsabile dei danni del dipendente (Cassazione 89/2002)

I datori di lavoro rispondono dei danni arrecati dai loro
dipendenti a titolo di responsabilità  per fatto altrui. Tale responsabilità  è
connessa al rischio oggettivamente assunto con l’inserimento dei lavoratori
nell’organizzazione, più o meno complessa, da essi creata per lo svolgimento di
determinate attività  di loro pertinenza. Affichè il fatto illecito del
commesso o domestico risalga al committente o padrone è sufficiente il
presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione e la presenza di
collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, mentre
si deve prescindere del tutto dai profili di una concreta "culpa in
eligendo o in vigilando" del datore di lavoro. Rileva inoltre la Corte che
non  deve necessariamente sussistere un nesso di causalità  tra 
mansioni affidate ed evento bastando un semplice "rapporto di occasionalità 
necessaria", nel senso che la incombenza affidata deve essere tale da
determinare una situazione che renda possibile, o anche soltanto agevoli, la
consumazione del fatto illecito e, quindi, la produzione dell’evento dannoso,
anche se il lavoratore abbia operato oltre i limiti dell’incarico e contro la
volontà  del committente o abbia agito con dolo, purchè nell’ambito delle sue
mansioni. Nesso di occasionalità  necessaria che deve escludersi solo allorchè
il danno sia imputabile all’attività  privata dell’autore dell’illecito e sia
frutto, quindi, dell’esercizio della sua privata autonomia (Cass. penale sez. II,
25 settembre 1989; Cassazione civ. 14 novembre 1996, n. 9884; 7 agosto 1997, n.
7331; 11 marzo 1998, n. 2678; 8 gennaio 1999, n. 103; 20 marzo 1999, n. 2574 1
° settembre 1999, n. 9198).

 

Suprema Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.89/2002 (Presidente: A. Spanò;
Relatore P. Picone)

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

M. B., titolare dell’omonima azienda agraria, domanda, con ricorso
articolato in tre motivi e proposto nei confronti dell’Inail e di R. C.,
la cassazione della sentenza con la quale il Tribunale di Perugia ha
rigettato l’appello, confermando la decisione del Pretore della stessa
sede, di condanna del B., in solido con il C., a pagare all’Inail la somma
di L. 65.000.000. L’Inail aveva agito in rivalsa per le somme erogate ai
superstiti di R. C., dipendente dell’azienda deceduto a seguito di
infortunio lavorativo che asseriva imputabile alla condotta colpevole di
R. C., dipendente della stessa azienda. Il Pretore ha ritenuto il concorso
di colpa dell’infortunato nella misura del 50%.

Il Tribunale ha, preliminarmente, dichiarato inammissibile l’appello
(incidentale) proposto dal C., dando atto del passaggio in giudicato della
sentenza di primo grado nella parte concernente la responsabilità  del C.
medesimo.

In relazione ai motivi di appello del B., il Tribunale ha, in primo
luogo, ritenuto che non sussistesse nullità  del ricorso introduttivo del
giudizio per omessa esposizione degli elementi di fatto e diritto, perchè,
contrariamente all’assunto del B., l’Inail aveva sufficientemente
esplicitato le ragioni sulle quali la pretesa si fondava e, in
particolare, gli elementi dai quali doveva desumersi la responsabilità 
nell’accaduto di un dipendente del B. medesimo, il quale, alla guida di un
trattore, aveva consentito al C. di salire sul parafango del mezzo, in
situazione di evidente precarietà , ed aveva poi provocato con una manovra
errata il ribaltamento del mezzo meccanico; l’Istituto aveva anche
precisata l’avvenuta corresponsione delle prestazioni assicurative con
specificazione dell’ammontare e dei titoli; nè risultava violato il
disposto dell’art. 414, n. 3, c.p.c., siccome l’omessa indicazione dei
criteri seguiti per l’effettuazione di un conteggio non determina l’
invalidità  dell’atto.

Ha, quindi, affermato che la responsabilità  del B. discendeva
dall’applicazione del principio consacrato nell’art. 2049 c.c. in presenza
di un sicuro collegamento fra evento e incombenze lavorative del C..

Al ricorso resiste l’Inail con controricorso, mentre non si è
costituito nel giudizio di legittimità  R. C..

Il B. ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Con il primo motivo è denunciata violazione dell’art. 334 c.p.c.,
degli art. 2, 10 e 11, del testo unico n. 1124 del 1965, dell’art. 2049,
degli art. 112 e 414 n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 2, 4 e 5,
c.p.c.

Si assume che, posto che il titolo della responsabilità  del datore di
lavoro era riconducibile all’art.
2049 c.c. [1]
, sarebbe stato onere dell’Inail specificare nel ricorso
introduttivo gli elementi di fatto da cui dedurre il rapporto di
occasionalità  necessaria con le incombenze del dipendente, dal momento
che tale rapporto deve escludersi in presenza dell’assunzione di rischio
elettivo ed è pur sempre necessario che il datore di lavoro ponga in
essere un’organizzazione del lavoro alla quale l’evento sia rapportabile.
Pertanto, erroneamente il Tribunale aveva ritenuto valido il ricorso dell’Inail.

1.1. Il motivo non ha fondamento giuridico.

Come la Corte può direttamente verificare mediante l’esame dell’atto,
in presenza di una denuncia di error in procedendo ai sensi
dell’art. 360, n. 4, c.p.c. (Cass. 7 luglio 1999, n. 7099),
dall’esposizione dei fatti che avevano condotto al decesso del C. emergeva
la puntuale specificazione della causa petendi da parte dell’Inail:
essersi verificato un infortunio sul lavoro; imputabilità  dell’evento
alla responsabilità  del C.; sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato tra il C. e il B.; condotta del C. inerente all’esecuzione
della prestazione lavorativa e conseguente responsabilità  anche del suo
datore di lavoro; rivalsa nei confronti dei responsabili di quanto
corrisposto per prestazioni assicurative.

Gli altri elementi che, ad avviso del ricorrente, non sarebbero stati
specificati attengono alla qualificazione giuridica della pretesa (che
compete al giudice), nonchè al suo fondamento di merito, non certo ai
requisiti minimi richiesti dall’art. 414, n. 4, c.p.c. per la validità 
del ricorso introduttivo, funzionali all’individuazione della concreta
domanda proposta, individuazione sicuramente resa possibile dal descritto
contenuto dell’atto.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione dell’art. 414, n. 3,
c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, 4 e 5 c.p.c., in quanto l’oggetto
della domanda proposta dall’Inail non risultava determinato, in difetto di
qualsiasi specificazione sulle modalità  di calcolo della rendita
corrisposta ai superstiti del C..

2.1. Anche questo motivo è privo di fondamento giuridico.

L’Inail aveva determinato il petitum in L.181.897.715, di cui
L.180.408.715, quale valore capitale della rendita ai superstiti calcolato
al 1 ° gennaio 1994, e L. 1.489.000 a titolo di assegno funerario. In
questo modo risultava precisato l’oggetto della domanda di rivalsa,
costituito, evidentemente, nelle somme di fatto erogate dall’avente
diritto alla rivalsa. Sarebbe spettato, eventualmente, ai convenuti
l’onere di contestare e provare che l’Inail aveva erogato più del dovuto,
ma nessuna altra specificazione doveva fornire l’Istituto.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione degli art. 10, 11 e 2
del testo unico n. 1124 del 1965, dell’art. 2049 c.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..

Si sostiene che l’evento si era verificato in una fase antecedente la
vera e propria esecuzione della prestazione lavorativa, consistente per il
C. nel condurre il trattore dove era collocata la botte del diserbante e
per il C. nel raggiungere a piedi il detto luogo per irrorare il
diserbante; che il C. era salito sul trattore per finalità  non
concernenti il servizio ma esclusivamente personali, assumendo pienamente
il rischio della scelta, restando estraneo il datore di lavoro alla
stessa.

In particolare, si pone l’accento sulla contraddizione logica tra il
riconoscimento della colpa dell’infortunato e la negazione del rischio
elettivo, che era idoneo ad escludere la tutela assicurativa e, quindi, il
fondamento della rivalsa.

3.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Dalla sintetica descrizione del contenuto del motivo risulta evidente
come, sebbene sia denunciata la violazione dell’art. 2049 c.c., vengano
sovrapposte e mescolate questioni completamente diverse.

La prima questione è se il datore di lavoro debba
rispondere del fatto del dipendente ai sensi dell’art. 2049; la seconda,
che dal punto di vista logico precede la prima, è se, nella fattispecie,
il dipendente, cioè il C., potesse essere ritenuto responsabile della
morte del C., ovvero se l’evento fosse da imputare esclusivamente alla
condotta imprudente di quest’ultimo; la terza, evidenziata dall’insistenza
sul rischio elettivo, è che il diritto alla rivalsa dell’Inail avrebbe
dovuto essere negato perchè la rendita era stata indebitamente erogata in
fattispecie nella quale non poteva operare la tutela assicurativa contro
gli infortuni.

3.2. L’ultima delle indicate questioni è sicuramente
rimasta estranea ai temi trattati nei processi di merito. Che il C. fosse
rimasto vittima di un infortunio sul lavoro, infatti, non ha mai formato
oggetto di contestazioni.

La questione, quindi, è posta inammissibilmente per la
prima volta nel giudizio di cassazione.

3.3. Inammissibile è anche la questione relativa alla
sussistenza della responsabilità  del C. nella produzione dell’evento.

La questione stessa, infatti, non è stata investita
dai motivi dell’appello proposto dal B. il cui contenuto è riferito dal
Tribunale, il quale, inoltre, afferma esplicitamente (pag. 8 della
sentenza), nell’ambito delle considerazioni svolte circa l’inammissibilità 
dell’appello incidentale del C., che l’Azienda agraria B. "non aveva
peraltro avanzato alcuna censura in merito all’affermazione pretorile
della responsabilità  del C.".

Il ricorrente non censura l’affermazione, nè comunque
denuncia sul punto l’omissione di pronuncia.

3.4. Nella parte ammissibile, il motivo di ricorso è
palesemente infondato.

La giurisprudenza della Corte, infatti, è da tempo pacificamente
orientata nel senso che i datori di lavoro (indicati dalla norma come
"padroni e committenti") rispondono dei danni arrecati dai loro
dipendenti ("domestici e commessi") a titolo di responsabilità 
per fatto altrui, connessa al rischio oggettivamente assunto con
l’inserimento dei lavoratori nell’organizzazione, più o meno complessa,
da essi creata per lo svolgimento di determinate attività  di loro
pertinenza. Non si tratta, dunque, di responsabilità  derivante dal fatto
(proprio) di non averli adeguatamente scelti o sorvegliati nei modi
dovuti.

Ne discende che, affinchè il fatto illecito del commesso o domestico
risalga al committente o padrone, a titolo di responsabilità 
extracontrattuale ai sensi dell’art. 2049 c.c., è sufficiente il
presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione e la
presenza di collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal
dipendente, mentre si deve prescindere del tutto dai profili di una
concreta culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro. Ne
discende che la responsabilità , imputata secondo il descritto meccanismo,
resta insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa,
cosicchè persino l’accertamento della non colpevolezza del datore di
lavoro compiuto dal giudice penale non vale ad escluderla (cfr. Cass. 29
agosto 1995, n. 9100).

3.5. In ordine, poi, al collegamento fra fatto illecito e incombenze
affidate al dipendente, non è necessario che tra le mansioni affidate e
l’evento sussista un nesso di causalità , essendo invece sufficiente che
ricorra un semplice rapporto di occasionalità  necessaria, nel senso che
la incombenza affidata deve essere tale da determinare una situazione che
renda possibile, o anche soltanto agevoli, la consumazione del fatto
illecito e, quindi, la produzione dell’evento dannoso, anche se il
lavoratore abbia operato oltre i limiti dell’incarico e contro la volontà 
del committente o abbia agito con dolo, purchè nell’ambito delle sue
mansioni; nesso di occasionalità  necessaria che deve escludersi solo
allorchè il danno sia imputabile all’attività  privata dell’autore
dell’illecito e sia frutto, quindi, dell’esercizio della sua privata
autonomia (Cass. penale sez. II, 25 settembre 1989; Cassazione civ. 14
novembre 1996, n. 9884; 7 agosto 1997, n. 7331; 11 marzo 1998, n. 2678; 8
gennaio 1999, n. 103; 20 marzo 1999, n. 2574 1 ° settembre 1999, n.
9198).

3.6. In applicazione di questi principi, dunque, correttamente il
Tribunale ha accertato la sussistenza del nesso di occasionalità 
necessaria tra la prestazione lavorativa del C. (guida del trattore per
espletare il servizio del quale era incaricato) e l’evento; ha, quindi,
desunto dall’accertamento della colpa del C. – consistita nell’aver
consentito, quale responsabile della conduzione del trattore, al C. di
collocarsi come passeggero in posizione del tutto precaria e di averne,
sia pure con il concorso di colpa della vittima, cagionato la morte a
seguito di una manovra errata – la responsabilità  del datore di lavoro
per il danno cagionato dall’esecuzione, ancorchè con modalità  abnormi,
della prestazione lavorativa.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente
al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione in
favore dell’Inail, secondo la liquidazione operata in dispositivo; nulla
da provvedere per le spese nei confronti di R. C., non costituitosi nel
giudizio di legittimità .

PER QUESTI MOTIVI

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 16,31
e degli onorari di avvocato liquidati in Euro 2.000 in favore dell’Inail;
nulla da provvedere sulle spese nei confronti di R. C..

Depositata in cancelleria il 7 gennaio 2002.

 

 

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