Penale

Omicidio colposo per chi espone l’asmatico al fumo. (Tribunale di Milano 1.03.2002)

Il dirigente e il capo ufficio, che non tutelano la
lavoratrice asmatica dal fumo passivo, in caso di decesso di quest’ultima, sono
colpevoli del reato di omicidio colposo.

 

Tribunale ordinario di
Milano. Ufficio del Giudice per le indagini preliminari

 

Il Giudice per le indagini preliminari, dott. Walter Saresella. ha
pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel procedimento penale contro

F. G.

nato a Milano il 9-5-1953

elettivamente domiciliato presso l’avv. L. I. via Fontana 4 Milano

difeso di fiducia dall’avv. L. I. e L. I. del Foro di, Milano

F. E. ( )

elettivamente domiciliato presso l’avv. L. I. via Fontana 4 Milano

difeso di fiducia dall’avv.L. I. e L. I. del foro di Milano

IMPUTATI

1) F. G.,

del reato di cui agli artt.589 cp , in relazione agli artt.2087 c.c.,
4, lett.a) e d), 9, 14 DPR 303/56 , 4 co. 5, lett.f) D.Lvo 626/94 , 61 n.3
cp, perchè, nella sua qualità  di dirigente, Direttore della sede della
P. di Piazza ( ), per colpa consistita in negligenza, e per
l’inosservanza delle suindicate norme sull’igiene del lavoro, cagionava la
morte di M. C., dipendente della "P.".

Ciò in particolare perchè, nella consapevolezza della grave patologia
respiratoria che affliggeva C., assunta in ragione di tale pretesa ed
accertata invalidità  presso la "P.", e nella conoscenza della
sistematica esposizione della lavoratrice al fumo prodotto dal consumo di
sigarette, da parte di molteplici lavoratori; nel luogo di lavoro in cui
la stessa era stata trasferita., e pur a conoscenza delle plurime e
reiterate richieste di trasferimento ad altro luogo per i gravi problemi
respiratori da esso causati, ometteva di adottare provvedimenti
organizzativi atti ad eliminare il rischio dell’esposizione; e comunque:

-trattandosi di ambiente di lavoro privo di aerazione diretta e
naturale, non adottava idonee misure atte ad assicurare al lavoratori aria
salubre in maniera sufficiente o trattandosi di spazio aperto ove i
lavoratori erano soliti intrattenersi come luogo di riposo, anche fumando,
in presenza di altri lavoratori non fumatori e della stessa C., non
adottava misure idonee atti ad assicurarne la protezione;

-trattandosi di luogo non adeguatamente organizzato per la difesa dei
lavoratori dall’esposizione al fumo di altri non richiedeva 1′ osservanza
da parte dei singoli lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di
divieto di fumo negli spazi comuni, cosicchè la continua esposizione al
fumo prodotto dalle sigarette fumate da numerosi lavoratori provocava a C.
M. un’acuta insufficienza respiratoria, in stato di male asmatico, tale da
determinarne il subitaneo decesso.

Fatto aggravato perchè commesso con violazione delle suindicate norme
sull’igiene del lavoro, e per aver agito con le omissioni descritte ,
nonostante la previsione dell’evento.

Commesso in Milano in data 6.9.1999.

2) F. E.

del reato previsto dall’ art. 589 cp, in relazione agli artt. 2087 c.c.,
4 co.5, lett. F) D.Lvo 626194, in relazione all’art.14, 4° co., DPR
303/56, 61 n.3 cp, perchè, nella sua qualità  di preposto, capo ufficio
di C. M., nella sede della "P." di piazza ( ), per colpa
consistita in imprudenza e negligenza e per inosservanza delle suindicate
norme sull’igiene del lavoro, cagionava la morte di M. C., dipendente
della "P.".

Ciò in particolare, perchè nella consapevolezza della
grave patologia respiratoria che affliggeva C. , assunta in ragione di
tale pregressa ed accertata invalidità  presso la "P.", e nella
conoscenza della sistematica esposizione della lavoratrice al fumo
prodotto dal consumo di sigarette, da parte di

molteplici lavoratori, nel luogo di lavoro in cui la
stessa era stata trasferita dallo stesso F. , che pur a conoscenza delle
plurime e reiterate richieste di trasferimento ad altro luogo per i gravi
problemi respiratori da ciò causati, ometteva di adottare misure atte ad
eliminare il rischio dell’ esposizione, quale il ritrasferimento ad altro
ufficio, o comunque ometteva di sollecitarne l’adozione ; nonchè essendo
il luogo di lavoro di C. M. non adeguatamente organizzato per la difesa
dei lavoratori dall’esposizione al fumo di altri, non richiedeva
1’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle disposizioni aziendali
in materia di divieto di fumo negli spazi comuni, cosicchè la continua
esposizione al fumo prodotto delle sigarette fumate da numerosi lavoratori
provocava a C. M. un’acuta insufficienza respiratoria, in stato di male
asmatico, tale da determinarne il subitaneo decesso.

Fatto aggravato perchè commesso con violazione delle
suindicate nonne sull’igiene del lavoro, e per aver a agito, con le
omissioni descritte nonostante la previsione dell’evento.

Commesso in Milano, in data 6-9-1999

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Il p.m. conclude:

affermarsi la responsabilità  degli imputati e,
concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante,
chiede la pena finale di mesi 12 di reclusione . Pena sospesa

La parte civile conclude:

come da separato atto che viene allegato al verbale

Il difensore degli imputati conclude:

L’avv.. L. I. chiede l’assoluzione di entrambi gli imputati perchè il
fatto non sussiste; l’ avv. L. I. si associa all’avv. L. I.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

A seguito di richiesta ritualmente effettuata al sensi dell’articolo
438 cpp e della conseguente ordinanza con la quale ha disposto il giudizio
abbreviato, all’esito dello svolgimento del giudizio nei modi di cui
all’articolo 441 cpp, le parti concludevano come da verbale d’udienza. Il
Giudice si avvale degli atti legittimamente acquisiti nel fascicolo del
PM, e comunque di quelli richiamati dall’articolo 442, comma 1 bis, cpp .
Orbene, risulta dalla comunicazione di notizia di reato 7.9.1999 di C. O.
L., coniuge di C. M. M., che a parere di questi, il decesso della moglie,
avvenuto il 6.9.1999, era stato causato da situazioni pregiudizievoli per
lo stato di salute delle stessa: " nella specie, negli ultimi mesi,
operava in luoghi insalubri, saturi di fumo di sigaretta. mentre
precedentemente la defunta operava in locali più idonei ( ufficio del
personale ) nello stesso stabile della società  P.".

Il C. sosteneva che i primi uffici dove lavorava la coniuge erano
areati ed idonei allo stato di salute della stessa, mentre la condizione
generale era degenerata con il cambiamento del luogo di lavoro, fatto che
era stato evidenziato direttamente ai superiori, ma con esito negativo.

Lo stato precario di salute della C. era dovuto al fatto che la stessa
soffriva sin dalla nascita di asma bronchiale allergica, condizione di
salute che si era aggravata nell’ ottobre 1991 a seguito di una trombosi
venosa cerebrale con connesso stato di coma per circa quattro giorni e
conseguente conoscimento di invalidità  civile al 46 per cento.

Assumeva il denunciante che tali condizioni di salute erano state
denunciate molteplici volte ai superiori gerarchici della consorte fino a
che la stessa ebbe un episodio accessuale sul luogo di lavoro, fu
traspor-tata in ospedale e li decedette ad ore 15,20 del 6.9.1999.

Si evidenziava cosí il problema dell’ esposizione a fumo passivo in
ambiente di lavoro e si poneva la questione relativa alla gestione di tale
fattore nel momento valutativo del rischio aziendale.

Il PM, investito della conoscenza dei fatti, iniziava l’indagine
preliminare escutendo le prime persone informate e disponendo poi
consulenza tecnica collegiate sulle cause della morte di C. M., sulla loro
attribuibilità  alle condizioni dei luoghi di lavoro ( fumosità , difetto
di areazione- ventilazione) e la loro incidenza sul processo patologico.

In data 23.9.1999 veniva nuovamente sentito dalla PG. su delega del PM,
C. L. O. il quale ribadiva quanto in precedenza dichiarato ed attribuiva a
spostamento della moglie ad ambiente insalubre al capo ufficio signor F.,
mentre il responsabile dell’ufficio personale era il signor F.. Infatti,
il C. precisava che M. subito dopo il trasferimento di ufficio al primo
piano della sede della P. " cominciò a lamentarsi con i suoi
superiori ( non sapeva bene dire con chi ) che l’ambiente di lavoro in cui
stava le creava problemi respiratori a causa del fumo di sigarette
chiedendo di essere applicata ad altro ufficio. Considerato che il
trasferimento non avveniva, si recò dal suo medico curante che le
certificò il rischio di aggravamento della sua asma bronchiale a causa
dell’esposizione al fumo di sigaretta. La presentazione del certificato
medico al signor F., pero, non sortí alcun effetto. Verso i primi giorni
di giugno si rivolse disperata al signor C. M.. sindacalista interno alla
banca. Tutti e due insieme si recarono allora dal F. il quale convocò in
ufficio il F..Qualche giorno dopo, la moglie fu convocata dal F. stesso il
quale disse che per ulteriori problemi si sarebbe dovuta rivolgere
direttamente a lui., evitando 1’intervento dei sindacati". Aggiungeva
che, per quanto ne sapeva lui, i colleghi della moglie menzionati sopra
erano a conoscenza della patologia da cui era affetta, anche perchè M.
era stata avviata al lavoro il 3.7.1995 come invalida civile. Assumeva che
la moglie gli aveva detto che a seguito del trasferimento il suo ufficio
era su un pianerottolo che si affacciava sulla tromba delle scale dove si
fermavano a fumare i dipendenti. Precisava che M., subito dopo il suo
trasferimento al primo piano, vide aggravarsi le condizioni di salute a
tal punto che la notte era costretta ad alzarsi più volte per fare uso
degli spray specifici per la sua patologia, mentre prima del trasferimento
ciò accadeva raramente.

Il 10.9.1999 veniva sentito dalla PG anche F. G.; questi effettuava la
ricostruzione delle vicende aziendali di M. C., la quale, dal 20.5.1999.
veniva trasferita alla reception, in compagnia dell’impiegata N. M. ed
aveva proprio in quel periodo manifestato problemi legati alle ferie
incombenti; nel frattempo veniva informato da C. M., sindacalista, e S.
N., RSPP, che la C. si trovava in una condizione di disagio per
esposizione a fumo passivo; infatti la S. diceva al F. che M. si era
lamentata con lei perchè nel suo nuovo reparto sostavano persone che
fumavano, cosa incompatibile con la sua salute e chiedeva, quindi, di
essere nuovamente spostata. Dichiarava il F. che parlò del
problema con F. E. ed insieme decisero che avrebbero spostato M. dopo le
ferie. Il F. concludeva la sua deposizione assumendo di aver consigliato
ai dipendenti, con relativa circolare interna, di astenersi dal fumare
negli spazi aperti adibiti ad uffici e di farlo soprattutto, se
necessario. nel pianerottolo del terzo piano, in quanto lí vi erano anche
le macchinette per la ristorazione.

In pari data veniva sentito C. M., il quale confermava che M. si

lamentava perchè dove stava lei, i colleghi fumavano e questo
accentuava il sua male. Le chiese di dimostrare che era asmatica e quella
rispose che la direzione era già  in possesso dei relativi certificati. A
quel punto si recò nuovamente dal F. con un certificato medico della C.
chiedendo 1’immediato spostamento, ma quello disse che aveva già  parlato
con il F. decidendo di provvedere allo spostamento dopo le ferie.

N. M., sentita dalla PG sempre in data 10.9.1999, confermava che
durante l’intero orario di lavoro si soffermavano molti colleghi a fumare
e M. si lamentava con qualcuno di loro, soprattutto con quelli con i quali
era maggiormente in confidenza. Molto spesso, dopo che la teste era
ritornata da altri uffici, M. le comunicava che aveva mandato via gente,
che fumava.

C. L., che soccorse M. nel momento accessuale dal quale derivò la
morte della stessa, raccontava alla PG che la stessa M., il giorno
6.9.1999, aveva avuto una crisi di asma, aveva inalato lo spraà  e
ricordava che si era spesso lamentata con F. e F. del fatto che dove
lavorava non vi erano finestre e molta gente si fermava a fumare: la
stessa, al suo rientro dalle ferie, le aveva detto che durante le vacanze
era stata bene e che subito dopo aver ripreso a lavorare, a causa del
fumo, la sua asma era peggiorata.

Infine, veniva sentita S. N., rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza, la quale dichiarava che nel luogo di lavoro di M. le pareti
erano rivestite di materiale ignifugo che assorbe gran parte del fumo ( ?
), ma non vi erano finestre. Diceva che le persone che si fermano a fumare
in quel luogo erano quasi tutte in procinto di recarsi in direzione
e pertanto non si trattenevano molto. Ricordava che nel giugno 1999 venne
fermata da M. C. la quale le fece presente che il medico le aveva
rilasciato una certificazione con la quale la esortava a non frequentare
luoghi a rischio fumo. Rammentava che precedentemente la C. si era
lamentata dello stesso problema con M. N.. Assumeva di essersi rivolta al
F. che si dimostrò molto attento al problema.

In data 18.10.1999 veniva sentito anche P. F., medico della C., il
quale asseriva che nel mese di maggio 1999 M. gli chiese di valutare il
fattore di rischio del fumo passivo sulla sua malattia bronchiale perchè
le provocava attacchi asmatici sul lavoro, riferendogli che lavorava in
una posizione che esponeva al fumo di altri. In quella occasione non
costatò un aggravamento significativo delle condizioni generali delle
signora ed in particolare all’esame toracico auscultatorio: su sua
richiesta, però, rilasciò un certificato medico, segnalando il rischio
di aggravamento di asma bronchiale. Allegava sei certificati medici
attestanti prognosi cliniche per malattia nell’arco dell’anno.

Il PM disponeva CTU collegiale finalizzata ad accertare le cause e le
modalità  della morte dl C. M. M.. Chiedeva specificamente di appurare se
tali cause fossero da attribuirsi alle condizioni dei luoghi di lavoro (
fumosità , difetto di areazione- ventilazione ) ed, ove queste fossero
individuabili come concause, quale ne fosse l’incidenza nel processo
patologico.

Concludevano i consulenti, con atto depositato il 30.5.2000, assumendo
che le cause della morte di C. M. erano da id

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