Penale

Elettrosmog, impianti chiusi solo se c’è la prova del danno. non è sufficiente il sospetto di effetti dannosi per gli abitanti. Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza n.8102/2002

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Suprema Corte di Cassazione,
Sezione Prima Penale, sentenza n.8102/2002 (Presidente: V. La Gioia;
Relatore: A. Vancheri)

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

SENTENZA

IN FATTO E IN DIRITTO

Ricorrono con tre separati ricorsi, a mezzo dei loro rispettivi
difensori, Suraci Lorenzo, Angioletti Cecilia Maria, Todescato Elisa,
Serrettiello Paolo, Russo Franceso e Federico Claudio, inoltre Niespolo
Marcello, Niespolo Ida e Niespolo Antonio, ed infine Varvello Pietro,
tutti legali rappresentanti di emittenti radiofoniche private ed aventi
impianti di radiodiffusione collocati sulla collina Camaldoli di Napoli,
avverso l’ordinanza emessa il 12/4/2001 dal Tribunale di quella città 
che, pronunciandosi ai sensi dell’art. 324 c.p.p., ha rigettato la
richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo di tali impianti,
emesso il 28/3/2001 dal GIP del medesimo Tribunale, sul presupposto della
configurabilità  nella specie dei reati di cui agli artt. 674 e 650 c.p..

Ha osservato il Tribunale: che, avuto riguardo all’esistenza di una
legislazione che, a partire dal 1992 ha inteso stabilire limiti massimi di
esposizione a campi elettromagnetici, fra cui, da ultimo la legge quadro
22/2/2001 n. 36, il sequestro appariva legittimo perchè nella specie, per
effetto della concentrazione di impianti di emissione installati in sito,
i limiti fissati dalla legge erano stati superati e, pertanto appariva
configurabile la fattispecie di cui all’art. 674 c.p., dovendosi
considerare possibile la verificazione di un evento lesivo per la salute
delle persone, a nulla rilevando il rilascio di regolare autorizzazione
amministrativa; che nella specie era configurabile anche il reato di cui
all’art.650 c.p., in quanto non erano state rispettate le prescrizioni
contenute in una ordinanza del Sindaco di Napoli, che aveva disposto la
riduzione del valore delle emissioni al di sotto del limite fissato dalla
legge; che, una volta stabilita la configurabilità  dei reati ipotizzati
sotto il profilo della congruità  degli elementi rappresentanti ed emersi,
il vincolo non poteva che essere mantenuto, in quanto la libera
disponibilità  degli impianti avrebbe consentito la protrazione, da
ritenere illecita, delle emissioni elettromagnetiche; che era da
respingere l’eccezione di nullità  degli accertamenti tecnici compiuti,
effettuati senza dare avviso agli interessati e ai loro difensori, in
quanto le garanzia difensive apprestate dall’art. 360 c.p.p. riguardano
soltanto gli accertamenti relativi a luoghi, cose o persone, il cui stato
sia soggetto a modificazione, mentre nella fattispecie non era ravvisabile
alcun evento che potesse determinare una modificazione tale da impedire la
effettuazione di nuove misurazioni.

I ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure, cumulativamente
riassunte: violazione dell’art. 360 c.p.p. in relazione all’art. 220
disp. att. c.p.p., relativamente alla effettuazione di rilevamenti e
misurazioni di carattere tecnico senza previo avviso alle parti e ai loro
difensori, e conseguente inutilizzabilità  dei risultati emersi, non
potendosi affermare, come aveva fatto il tribunale, che gli accertamenti
tecnici svolti in un determinato contesto spazio- temporale; avrebbero
dato gli stessi risultati anche se effettuati in altro momento; erronea
applicazione di legge in ordine alla ravvisabilità  della fattispecie di
cui all’art. 674 c.p., sia perchè l’applicabilità  della citata norma
all’ipotesi del c.d. inquinamento elettromagnetico è da escludere,
potendo avvenire solo tramite un inammissibile ampliamento in malam partem
della portata della medesima disposizione, in violazione dell’art. 1 c.p.,
dell’art. 14 delle disposizioni della legge in generale e dell’art. 25
Cost.; sia perchè tale applicabilità  è stata finora sempre esclusa
dalla giurisprudenza della Corte di legittimità  sul rilievo della
indimostrata attitudine delle onde elettromagnetiche, alla luce delle
attuali acquisizioni scientifiche, a recare danni apprezzabili alla
persone; sia perchè la normativa vigente ha previsto soglie di cautela e
non di pericolo; carenza di motivazione in ordine alla ravvisabilità 
degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 650 c.p., sia perchè
il provvedimento asseritamente violato era palesemente illegittimo perchè
affetto dai vizi di violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza,
in quanto il Sindaco di Napoli, che lo aveva adottato, non era competente
ad emetterlo, essendo prevista la competenza delle autorità  regionali, il
cui intervento era dalla legge regolato in forma graduale e diluita nel
tempo; sia perchè l’ordinanza sindacale non poteva in alcun modo
considerarsi un provvedimento contingibile e urgente; e sia perchè,
comunque, la eventuale violazione della normativa vigente è punita con
sanzione amministrativa e non in sede penale; vizio motivazionale sul
rilievo che, ai fini della misurazione delle emissioni, si era fatto
riferimento al complesso delle emissioni provenienti da tutti gli impianti
senza tenere conto della presenza in loco anche di emittenti abusive,
mentre avrebbe dovuto aversi riguardo agli impianti gestiti dalle singole
emittenti radiofoniche, che erano state ingiustamente penalizzate
nonostante il valore delle loro emissioni rientrasse ampiamente nei limiti
fissati dalla legge.

I ricorsi sono fondati e vanno, pertanto, accolti.

Va innanzitutto osservato che la eccezione preliminare di carattere
procedurale, legata alla presunta violazione della norma di cui all’art.
360 c.p.p., è priva di fondamento, dal momento che l’accertamento
compiuto, e cioè la misurazione dell’intensità  delle emissioni
elettromagnetiche degli impianti radiofonici, non riguardava persone, cose
o luoghi il cui stato fosse soggetto a modificazioni.

Al contrario, l’accertamento era perfettamente ripetibile in
qualsiasi momento senza che i possibili risultati fossero soggetti a
variazioni sostanziali.

Di conseguenza, non era necessario dare avviso alle parti del
compimento delle o0perazioni di misurazione e i risultati potevano essere
utilizzati a fini di promovimento delle indagini preliminari.

La tematica della inquadrabilità  del fenomeno delle emissioni di onde
elettromagnetiche, comunemente conosciuto sotto il nome di inquinamento
elettromagnetico e anche elettrosmog, nella fattispecie di cui all’art.
674 c.p. è stato ed è tuttora oggetto di discussione sia in ambito
dottrinario che in ambito giurisprudenziale.

Questa Corte, chiamata ad occuparsi del problema, è giunta, in due
recenti pronunzie quasi coeve, riguardanti entrambe ipotesi di sequestro
preventivo di impianti che comportavano l’emissione di onde
elettromagnetiche, a conclusioni parzialmente divergenti sul piano
teorico, ma sostanzialmente convergenti sul piano concreto.

Con la prima (Sez. I, sent. n. 5592 del 13/10/1999, Pareschi) si è
affermato che, in assenza di prove certe circa l’effettiva nocività  di
campi elettromagnetici superiori a certi valori- limite, deve escludersi
la configurabilità  del reato di cui all’art. 674 c.p. nel caso di
impianti che diano luogo alla produzione dei campi suddetti.

Con la seconda (Sez. I, sent. n. 5626 del 14/10/1999, Cappellieri) si
è statuito che, pur essendo il fenomeno della propagazione delle onde
elettromagnetiche astrattamente riconducibile alla previsione di cui
all’art. 674 c.p., tuttavia, nel caso concretamente esaminato, la
ravvisabilità  della suddetta fattispecie penale era da escludere, in
quanto non risultava provata l”effettiva idoneità  delle onde
elettromagnetiche a ledere o a infastidire le persone.

Quindi, a prescindere dalla divergenza di impostazione di ordine
puramente teorico, le suddette pronunzie hanno entrambe affermato il
principio che, ai fini della configurabilità  del reato di cui all’art.
674 c.p., è necessaria la prova della effettiva nocività , per la salute
delle persone, delle onde elettromagnetiche.

Il tribunale del riesame di Napoli, nell’affrontare con l’ordinanza
impugnata la controversia tematica, ha ritenuto, al fine di superare
l’ostacolo della sussistenza della prova in concreto dell’effettiva
nocività  delle onde suddette (nocività  sulla quale in ambito scientifico
si continua tuttavia a discutere se non altro in ordine
all’individuazione dei livelli massimi di emissione, al di sopra dei
quali è ipotizzabile tale dannosità ) ha ritenuto di poter affermare che,
alla luce della normativa vigente e, i particolare, della legge quadro
22/2/2001 n. 36 e dei decreti attuativi, il superamento dei livelli
massimi consentiti integra, di per se, gli estremi del reato di cui
all’art.. 674 c.p. a prescindere dalla prova della nocività  delle
emissioni.

Da ciò si è tratta la conclusione che il decreto di sequestro
preventivo degli impianti, adottato all’esito delle misurazioni dei
livelli di potenza delle emissioni effettuate nella fattispecie e
risultate superiori ai livelli stabiliti dalla legge, era da considerare
pienamente legittimo e, quindi, da confermare.

Va intanto chiarito che i decreti attuativi, previsti dall’art. 4,
comma 2°, lett. a) e b) della citata legge n. 36 del 2001, non sono stati
ancora emanati, per cui, ai sensi dell’art. 16 della medesima legge,
vanno nel frattempo applicate le norme contenute nel D.P.C.M. 23/4/1992 e
sicc. mod., nel D.P.C.M 28/9/1995, nonchè le disposizioni del D.M.
10/9/1998, n. 381, attuativo dell’art. 1 della legge 31/7/1997 n. 249.

In particolare, per quel che qui interessa, l’art. 4 del D.M. n.
381/1998 fissa i valori di 6 V/m per il campo elettrico e di 0,016 A/m per
il campo magnetico.

Il medesimo articolo prevede, al comma 3°, che, nell’ambito delle
proprie competenze, fatte salve le attribuzioni dell’Autorità  per le
garanzie nelle comunicazioni, le regioni e le provincie autonome
disciplinano l’installazione e la modifica degli impianti di
radiocomunicazione al fine di garantire il rispetto dei limiti di cui al
precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma, il
raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità , nonchè le attività  di
controllo e vigilanza in accordo con la normativa vigente, anche in
collaborazione con l’Autorità  per le garanzie nelle comunicazioni, per
quanto attiene all’identificazione degli impianti e delle frequenze loro
assegnate.

Le sanzioni sono quelle previste dall’art. 15 della medesima legge
22/2/2001 n. 36, che al comma 1° prescrive che salvo che il fatto
costituisca reato, chiunque nell’esercizio o nell’impiego di una
sorgente o di un impianto che genera campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici superi i limiti di esposizione ed i valori di attenzione
di cui ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti
dall’articolo 4, comma 2°, e ai decreti previsti dall’articolo 16 è
punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 2
milioni a lire 600 milioni.

Il panorama della normativa in materia si è poi ulteriormente
arricchito grazie alla legge 20/3/2001 n. 66, che ha convertito il D.L.23
gennaio 2001, n. 5, recante disposizioni urgenti per il differimento di
termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali,
nonchè per il risanamento di impianti radiotelevisivi.

La legge di cui sopra prevede al comma 1 dell’art. 2 che, in attesa
dell’attuazione dei piani di assegnazione delle frequenze di cui
all’articolo 1, gli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva, che
superano o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti e i valori
stabiliti in attuazione dell’art. 1, comma 6°, lett. a), n. 15), della
legge 31 luglio 1997, n. 249, sono trasferiti, con onere a carico del
titolare dell’impianto, su iniziativa delle regioni e delle provincie
autonome, purchè ritenuti idonei sotto l’aspetto radioelettrico dal
Ministero delle comunicazioni, che dispone il trasferimento e, decorsi
inutilmente centoventi giorni, d’intesa con il Ministero
dell’ambiente, disattiva gli impianti fino al trasferimento.

Al comma 2° del medesimo art. 2 si prevede che le azioni di
risanamento previste dall’art. 5 del decreto 10 settembre 1998, n. 381
del Ministro dell’ambiente sono disposte dalle regioni e dalle provincie
autonome a carico dei titolari degli impianti.

I soggetti che non ottemperano all’ordine di riduzione a conformità ,
nei termini e con le modalità  ivi previsti, sono puniti con la sanzione
amministrativa pecuniaria, con esclusione del pagamento in misura ridotta
di cui all’art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, da L. 50
milioni a L. 300 milioni, irrogata dalle regioni e dalle provincie
autonome.

In caso di reiterazione della violazione, il Ministro dell’ambiente,
fatte salve le disposizioni di cui all’art. 8 della legge 8 luglio 1986,
n. 349, e di cui all’art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, di concerto
con il ministro della sanità  e con il Ministro delle comunicazioni, fino
all’esecuzione delle azioni di risanamento.

Le considerazioni che si possono trarre dal breve excursus come sopra
effettuato sono le seguenti:

l’astratta possibilità  di inquadramento della
condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di
cui all’art. 674 c.p. è, alla stregua della vigente legislazione, da
escludere, in quanto la suddetta norma descrive due ipotesi di
comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello
consistente nella emissione di onde elettromagnetiche: l’azione del
gettare in luogo di pubblico transito cose atte ad offendere, o
imbrattare o molestare persone è ontologicamente, oltre che
strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici.

Il gettare delle cose presuppone la preesistenza di dette cose in
natura, mentre la emissione di onde elettromagnetiche consiste nel
generare (e, quindi, far nascere o far venire ad esistenza) flussi di onde
che prima dell’azione generatrice non esistevano.

L’assumibilità  delle onde elettromagnetiche nel concetto di cose non
può essere poi autom

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