Penale

Attività medica ed omicidio colposo. Cassazione Sezioni Unite Penali 30328/2002

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Suprema Corte di
Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza n.30328/2002

 

RITENUTO IN FATTO

1.- Il Pretore di Napoli con sentenza del 28.4.1999
dichiarava il dott. S. F. colpevole del reato di omicidio colposo (per
avere, in qualità di responsabile della XVI divisione di chirurgia
dell’ospedale (omissis) – dove era stato ricoverato dal 9 al 17 aprile
1993 P. C., dopo avere subito il 5 aprile un intervento chirurgico
d’urgenza per perforazione ileale -, determinato l’insorgere di una sepsi
addominale da ‘clostridium septicum’ che cagionava il 22 aprile la morte
del paziente) e, con le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di
mesi otto di reclusione, oltre il risarcimento del danno a favore della
parte civile da liquidarsi in separato giudizio, alla quale assegnava a
titolo di provvisionale la somma di lire 70.000.000.

Il giudice di primo grado, all’esito di un’attenta
ricostruzione della storia clinica del C., riteneva fondata l’ipotesi
accusatoria, secondo cui l’imputato non aveva compiuto durante il periodo
di ricovero del paziente una corretta diagnosi nè praticato appropriate
cure, omettendo per negligenza e imperizia di valutare i risultati degli
esami ematologici, che avevano evidenziato una marcata neutropenia ed un
grave stato di immunodeficienza, e di curare l’allarmante granulocitopenia
con terapie mirate alla copertura degli anaerobi a livello intestinale,
autorizzando anzi l’ingiustificata dimissione del paziente giudicato ‘in
via di guarigione chirurgicà. Diagnosi e cura che, se doverosamente
realizzate, sarebbero invece state, secondo i consulenti medico-legali e
gli autorevoli pareri della letteratura scientifica in materia, idonee ad
evitare la progressiva evoluzione della patologia infettiva letale ‘con
alto grado di probabilità logica o credibilità razionalè.

La Corte di appello di Napoli con sentenza del
14.6.2000 confermava quella di primo grado, ribadendo che il dott. F., in
base ai dati scientifici acquisiti, si era reso responsabile di omissioni
che "… sicuramente contribuirono a portare a morte il C. …",
sottolineando che "… se si fosse indagato sulle cause della
neutropenia e provveduto a prescrivere adeguata terapia per far risalire i
valori dei neutrofili, le probabilità di sopravvivenza del C. sarebbero
certamente aumentate …" ed aggiungendo che era comunque
addebitabile allo stesso la decisione di dimettere un paziente che
"… per le sue condizioni versava invece in quel momento in una
situazione di notevole pericolo …".

2.- Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per
Cassazione i difensori dell’imputato deducendo:

– violazione di legge, in relazione agli artt. 135,
137, 138 e 142 c.p.p., per asserita nullità di alcuni verbali stenotipici
di udienza privi di sottoscrizione del pubblico ufficiale che li aveva
redatti;

– violazione di legge, in relazione agli arti 192, 546,
530 c.p.p. e 40, 41, 589 c.p., e manifesta illogicità della motivazione
quanto all’affermazione di responsabilità, poichè non erano state
dimostrate la direzione del reparto ospedaliero e la posizione di garante
in capo all’imputato, nè, in particolare, l’effettiva causalità delle
addebitate omissioni di diagnosi e cura e della disposta dimissione del
paziente rispetto alla morte di quest’ultimo, in difetto di reali
complicanze del decorso post-operatorio e in assenza di dati precisi sulla
patologia di base della perforazione dell’ileo e sull’insorgere della
sindrome infettiva da clostridium septicum , rilevandosi altresi’ che, per
il mancato esperimento dell’esame autoptico, non era certo nè altamente
probabile, alla stregua di criteri scientifici o statistici, che gli
ipotetici interventi medici, asseritamente omessi, sarebbero stati idonei
ad impedire lo sviluppo dell’infezione letale e ad assicurare la
sopravvivenza del C.,

– violazione degli artt. 546 e 603 c.p.p. e mancanza di
motivazione in ordine alla richiesta difensiva di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale mediante perizia medico-legale sul nesso di
causalità;

– violazione degli artt. 546 c.p.p. e 133 c.p. per
omesso esame del motivo di appello relativo alla richiesta riduzione della
pena.

Con successiva memoria difensiva il ricorrente ha
dedotto altresi’ la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione.

3.- La Quarta Sezione della Corte di Cassazione, con
ordinanza del 7.2.-16.4.2002, premesso che, nonostante l’intervenuta
estinzione del reato per prescrizione, permaneva l’attualità della
decisione sul ricorso, agli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza di condanna concernenti gli interessi civili, rimetteva il
ricorso alle Sezioni Unite sul rilievo dell’esistenza di un ormai radicale
contrasto interpretativo, formatosi all’interno della stessa Sezione, in
ordine alla ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva ed
evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità
professionale del medico-chirurgo. Al più recente orientamento, secondo
il quale è richiesta la prova che un diverso comportamento dell’agente
avrebbe impedito l’evento con un elevato grado di probabilità ‘prossimo
alla certezzà, e cioè in una percentuale di casi ‘quasi prossima a
cento’, si contrappone l’indirizzo maggioritario, che ritiene sufficienti
‘serie ed apprezzabili probabilità di successo’ per l’impedimento
dell’evento.

Il Primo Presidente con decreto del 26.4.2002 ha
assegnato il ricorso alle Sezioni Unite fissando per la trattazione
l’odierna udienza pubblica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Il problema centrale del processo, sollevato sia
dal ricorrente che dalla Sezione remittente, ha per oggetto l’esistenza
del rapporto causale fra la condotta (prevalentemente omissiva) addebitata
all’imputato e l’evento morte del paziente e, di conseguenza, la
correttezza logico-giuridica della soluzione ad esso data dai giudici di
merito.

E’ stata sottoposta all’esame delle Sezioni Unite la
controversa questione se "in tema di reato colposo omissivo
improprio, la sussistenza del nesso di causalità fra condotta omissiva ed
evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità
professionale del medicochirurgo, debba essere ricondotta all’accertamento
che con il comportamento dovuto ed omesso l’evento sarebbe stato impedito
con elevato grado di probabilità ‘vicino alla certezzà, e cioè in una
percentuale di casi ‘quasi prossima a cento’, ovvero siano sufficienti, a
tal fine, soltanto ‘serie ed apprezzabili probabilità di successo’ della
condotta che avrebbe potuto impedire l’evento".

Sul tema si sono delineati due indirizzi interpretativi
all’interno della Quarta Sezione della Corte di Cassazione: al primo
orientamento, tradizionale e maggioritario (ex plurimis, Sez. IV,
7.1.1983, Melis, rv. 158947; 2.4.1987, Ziliotto, rv. 176402; 7.3.1989,
Prinzivalli, rv. 181334; 23.1.1990, Pasolini, rv. 184561; 13.6.1990,
D’Erme, rv. 185106; 18.10.1990, Oria, rv. 185858; 12.7.1991, Silvestri, rv.
188921; 23.3.1993, De Donato, rv. 195169; 30.4.1993, De Giovanni, rv.
195482; 11.11.1994, Presta, rv. 201554), che ritiene sufficienti ‘serie ed
apprezzabili probabilità di successo’ per l’azione impeditiva
dell’evento, anche se limitate e con ridotti coefficienti di probabilità,
talora indicati in misura addirittura inferiore al 50%, si contrappone
l’altro, più recente, per il quale è richiesta la prova che il
comportamento alternativo dell’agente avrebbe impedito l’evento lesivo con
un elevato grado di probabilità ‘prossimo alla certezzà, e cioè in una
percentuale di casi ‘quasi prossima a cento’ (Sez. IV, 28.9.2000,
Baltrocchi, rv. 218777; 29.9.2000, Musto; 25.9.2001, Covili, rv. 220953;
25.9.2001, Sgarbi, rv. 220982; 28.11.2000, Di Cintio, rv. 218727).

Ritiene il Collegio che, per pervenire ad una soluzione
equilibrata del quesito, sia necessario procedere, in via prioritaria, ad
una ricognizione dello statuto della causalità penalmente rilevante, con
particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri ed allo
specifico settore dell’attività medico-chirurgica.

2.- Nell’ambito della scienza giuridica penalistica puo’
dirsi assolutamente dominante l’interpretazione che, nella lettura degli
artt. 40 e 41 del codice penale sul rapporto di causalità e sul concorso
di cause, fa leva sulla ‘teoria condizionalisticà o della ‘equivalenza
delle causè (temperata, ma in realtà ribadita mediante il riferimento,
speculare e in negativo, alla ‘causalità umanà quanto alle serie causali
sopravvenute, autonome e indipendenti, da sole sufficienti a determinare
l’evento: art. 41 comma 2).

E’ dunque causa penalmente rilevante (ma il principio
stabilito dal codice penale si applica anche nel distinto settore della
responsabilità civile, a differenza. di quanto avviene per il diritto
anglosassone e nordamericano) la condotta umana, attiva o omissiva che si
pone come condizione ‘necessarià – conditio sine qua non – nella catena
degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la
quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe
verificato. La verifica della causalità postula il ricorso al ‘giudizio
controfattualè, articolato sul condizionale congiuntivo ‘se … allora
…’ (nella forma di un periodo ipotetico dell’irrealtà, in cui il fatto
enunciato nella protasi è contrario ad un fatto conosciuto come vero) e
costruito secondo la tradizionale ‘doppia formulà, nel senso che: a) la
condotta umana `è’ condizione necessaria dell’evento se, eliminata
mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si
sarebbe verificato; b) la condotta umana ‘non è’ condizione necessaria
dell’evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento,
l’evento si sarebbe egualmente verificato.

Ma, ferma restando la struttura ipotetica della
spiegazione causale, secondo il paradigma condizionalistico e lo strumento
logico dell’astrazione contro il fatto, sia in dottrina che nelle più
lucide e argomentate sentenze della giurisprudenza di legittimità,
pronunciate in riferimento a fattispecie di notevole complessità per la
pluralità e l’incertezza delle ipotesi esplicative dell’evento lesivo (Sez.
IV, 24.6.1986, Ponte, rv. 174511-512; Sez. N, 6.12.1990, Bonetti, rv.
191788; Sez. IV, 31.10.1991, Rezza, rv. 191810; Sez. IV, 27.5.1993, Rech,
rv. 196425; Sez. IV, 26.1.1998, P.G. in proc. Viviani, rv. 211847), si è
osservato che, in tanto puo’ affermarsi che, operata l’eliminazione
mentale dell’antecedente costituito dalla condotta umana, il risultato non
si sarebbe o si sarebbe comunque prodotto, in quanto si sappia, ‘già da
primà, che da una determinata condotta scaturisca, o non, un determinato
evento.

E la spiegazione causale dell’evento verificatosi hic
et nunc, nella sua unicità ed irripetibilità, puo’ essere dettata
dall’esperienza tratta da attendibili risultati di generalizzazione del
senso comune, ovvero facendo ricorso (non alla ricerca caso per caso,
alimentata da opinabili certezze o da arbitrarie intuizioni individuali,
bensi’) al modello generalizzante della sussunzione del singolo evento,
opportunamente ri-descritto nelle sue modalità tipiche e ripetibili,
sotto ‘leggi scientifichè esplicative dei fenomeni. Di talchè, un
antecedente puo’ essere configurato come condizione necessaria solo se
esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione
regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge
dotata di validità scientifica – ‘legge di coperturà -, frutto della
migliore scienza ed esperienza del momento storico, conducano ad eventi
‘del tipo’ di quello verificatosi in concreto.

Il sapere scientifico accessibile al giudice è
costituito, a sua volta, sia da leggi `universali’ (invero assai rare),
che asseriscono nella successione di determinati eventi invariabili
regolarità senza eccezioni, sia da leggi `statistichè che si limitano ad
affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi
di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza
relativa, con la conseguenza che quest’ultime (ampiamente diffuse nei
settori delle scienze naturali, quali la biologia, la medicina e la
chimica) sono tanto più dotate di ‘alto grado di credibilità razionalè
o ‘probabilità logicà, quanto più trovano applicazione in un numero
sufficientemente elevato di casi e ricevono conferma mediante il ricorso a
metodi di prova razionali ed empiricamente controllabili.

Si avverte infine che, per accertare l’esistenza della
condizione necessaria secondo il modello della sussunzione sotto leggi
scientifiche, il giudice, dopo avere ri-descritto il singolo evento nelle
modalità tipiche e ripetibili dell’accadimento lesivo, deve
necessariamente ricorrere ad una serie di ‘assunzioni tacitè e
presupporre come presenti determinate ‘condizioni iniziali’, non
conosciute o soltanto congetturate, sulla base delle quali, ‘ceteris
paribus’, mantiene validità l’impiego della legge stessa.

3.- La definizione di causa penalmente rilevante ha
trovato coerenti conferme anche nelle più recenti acquisizioni
giurisprudenziali (Sez. fer., 1.9.1998, Casaccio, rv. 211526; Sez. IV,
28.9.2000, Baltrocchi, cit.; 29.9.2000, Musto, cit.; 25.9.2001, Covili,
cit.; 25.9.2001, Sgarbi, cit.; 20.11.2001, Turco; 28.11.2000, Di Cintio,
cit.; 8.1.2002, Trunfio; 23.1.2002, Orlando), le quali, nel recepire
l’enunciata struttura logica della spiegazione causale, ne hanno
efficacemente valorizzato la natura di elemento costitutivo della
fattispecie di reato e la funzione di criterio di imputazione dell’evento
lesivo. Dello schema condizionalistico integrato dal criterio di
sussunzione sotto leggi scientifiche sono state sottolineate, da un lato,
la portata tipizzante, in ossequio alle garanzie costituzionali di legalità
e tassatività delle fonti di responsabilità

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