Lavoro

Mobbing con demansionamento: tipologia di danni (esistenziale, morale, psichico). Tribunale di Pinerolo (sez. lav. 1° grado) – Sentenza 2 aprile 2004

Svolgimento del processo
 

         Con ricorso
depositato il 31.5.2002, TOTA Riccardo conveniva in giudizio l’ex
datore di lavoro Centro Ricerche e Sperimentazioni (C.R.& S.) Srl. Il
ricorrente deduceva: di aver lavorato per la società  sin dal 29.6.1989; di
aver svolto numerose mansioni di rilievo (tra cui l’assistenza ed avviamento
produzione, tempi e metodi presso importanti clienti, anche all’estero, e il
compito di responsabile dell’officina) nell’ambito di una carriera interna
che, secondo quanto promessogli, avrebbe dovuto condurlo a ricoprire
ulteriori, più gratificanti, incarichi; che il suo sviluppo di carriera subí
una brusca ed inspiegabile interruzione a far tempo dal ritorno da una
missione di alcuni mesi presso lo stabilimento di Melfi (febbraio 2000);
che, da allora, l’ambiente di lavoro divenne ostile nei suoi confronti,
sicchè fu costretto a subire umiliazioni e pressioni psicologiche che gli
provocarono sofferenze morali, danni alla vita di relazione e un esaurimento
nervoso; che gli furono conseguentemente assegnate mansioni di scarsa
importanza e, nell’ultimo periodo, che fu quasi del tutto privato di
compiti; che, dopo aver rifiutato di rassegnare le dimissioni richieste
dall’azienda a fronte del riconoscimento di un incentivo di 90 milioni di
lire e della minaccia del licenziamento in caso di mancata adesione alla
richiesta del datore di lavoro, fu effettivamente licenziato il 6.12.2001
per asserito giustificato motivo soggettivo. Lamentando la violazione degli
artt. 2087 e 2103 c.c. per le condotte (definite quali azioni di mobbing)
inadempienti e lesive poste in essere a far tempo dal rientro del ricorrente
dalla missione a Melfi e sfociate nel licenziamento, di cui si allegava
l’illegittimità  anche per la mancata adibizione del TOTA, tenendo conto del
suo ampio bagaglio professionale, a mansioni diverse, presso la C.R.& S. o
presso la capogruppo Commerfin, ove sarebbe stato spostato lo svolgimento
dell’attività  disimpegnata dal lavoratore al momento del recesso, la difesa
del ricorrente rassegnava le conclusioni in epigrafe trascritte.

         Costituendosi
ritualmente in giudizio, resisteva la C.R.& S. (le cui quote ” si spiega in
memoria – appartengono integralmente, dal settembre 1999, alla Commer Spa,
società  del Gruppo Commerfin), allegando: la cattiva situazione finanziaria
della società , a seguito di un consistente calo di commesse verificatosi sin
dal 1998, con conseguente necessità  di riduzione del personale in tutti i
settori dell’azienda; un riassetto organizzativo operato da Commer Spa a far
tempo dal marzo 2000, con un progressivo inserimento del personale di quest’ultima
società  nelle funzioni aziendali di C.R.& S.; l’attribuzione, in quest’ottica,
delle funzioni di “utilizzo fattori”, cui era assegnato il ricorrente, alla
Direzione Acquisti della Commer, con conseguente soppressione del posto di
lavoro di TOTA all’interno della C.R.& S. e giustificazione del
licenziamento intimato. Quanto alla situazione lavorativa del ricorrente, la
convenuta contestava: che TOTA avesse mai ricoperto la mansione di
responsabile dell’officina; che fosse stato demansionato o privato di
mansioni; che gli fosse stata promessa la futura attribuzione di più
gratificanti incarichi; che fosse stato oggetto di una condotta mobbizzante
quale quella descritta in ricorso; che fosse stato minacciato il
licenziamento in caso di mancata presentazione di dimissioni volontarie. La
difesa di parte convenuta chiedeva pertanto la reiezione di tutte le domande
proposte, eccependo, in via pregiudiziale, l’improcedibilità  della domanda
di cui al capo B del ricorso (quella relativa alla richiesta di risarcimento
dei danni non patrimoniali) per mancato esperimento dell’obbligatorio
tentativo di conciliazione.

         Fallita la
conciliazione avanti al Tribunale, in accoglimento dell’eccezione sollevata
da parte convenuta, il giudice sospendeva il giudizio (anche in relazione
alla domanda di cui al capo A, stante la stretta connessione delle due
cause) assegnando termine di giorni 60 per promuovere tentativo di
conciliazione ai sensi dell’art. 412-bis c.p.c. Espletato, senza
successo, l’incombente, il giudizio era quindi riassunto ed entrambe le
parti richiamavano le precedenti allegazioni, deduzioni e conclusioni.

         Fallita
nuovamente la conciliazione tentata dal giudice, espletato l’interrogatorio
libero delle parti, acquisititi i documenti prodotti ed escussi numerosi
testimoni, all’udienza del 3.3.2004 i procuratori discutevano la causa
richiamando le conclusioni in atti e il giudice pronunciava sentenza dando
lettura del dispositivo.

Motivi della decisione

         Le due azioni,
quella volta ad ottenere la declaratoria d’illegittimità  del licenziamento e
quella di risarcimento danni, sono intimamente connesse e si fondano su
un’unica causa petendi, quella relativa al mobbing. Da qui
conviene pertanto muovere nella disamina dei fatti.  

Il mobbing. Si
tratta di un fenomeno ” da tempo oggetto di studio da parte delle scienze
sociologiche e psicologiche ” che è approdato nelle aule di giustizia
italiane nel 1999. Costituisce oramai fatto notorio che ” sia pur con una
certa approssimazione ” esso consiste in una condotta vessatoria, reiterata
e duratura, individuale o collettiva, rivolta nei confronti di un lavoratore
ad opera di superiori gerarchici (mobbing verticale) e/o colleghi (mobbing
orizzontale), oppure anche da parte di sottoposti nei confronti di un
superiore (mobbing ascendente); in alcuni casi si tratta di una
precisa strategia aziendale finalizzata all’estromissione del lavoratore
dall’azienda (bossing). I numerosi progetti di legge presentati in
Parlamento, nella trascorsa e nell’attuale legislatura, per disciplinare il
mobbing e le sue conseguenze non hanno sortito esito. L’unica
indicazione normativa era contenuta nella L.R. Lazio, 11 luglio 2002, n. 16,
rubricata Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del “mobbing
nei luoghi di lavoro che, all’art. 2, comma 1, affermava che <<per “mobbing
s’intendono atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel
tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti, pubblici o
privati, da parte del datore di lavoro o da soggetti posti in posizione
sovraordinata ovvero da altri colleghi, e che si caratterizzano come una
vera e propria forma di persecuzione psicologica o di violenza morale>>. La
legge, tuttavia, è stata recentemente dichiarata illegittima dalla Corte
costituzionale (sent. 19.12.2003, n. 359) che ne ha ritenuto il carattere
invasivo della potestà  legislativa concorrente riservata allo Stato in
materia di principi fondamentali.

Da alcuni precedenti
giurisprudenziali di merito che hanno esaminato funditus il problema
e che hanno fatto ricorso, in sede di CTU, a cognizioni scientifiche, si
apprende che, secondo la psicologia del lavoro, il modello italiano di
mobbing
consterebbe di uno stadio iniziale e di sei fasi successive che
sono state cosí descritte: <<dopo la c.d. condizione zero, di conflitto
fisiologico normale e accettato, si passa alla prima fase del conflitto
mirato, in cui si individua la vittima e verso di essa si dirige la
conflittualità  generale la seconda fase è il vero e proprio inizio del
mobbing
, nel quale la vittima prova un senso di disagio e di fastidio La
terza fase è quella nella quale il mobbizzato comincia a manifestare i primi
sintomi psicosomatici, i primi problemi per la sua salute La quarta fase del
mobbing è quella caratterizzata da errori e abusi
dell’amministrazione del personale La quinta fase del mobbing è
quella dell’aggravamento delle condizioni di salute psicofisica del
mobbizzato che cade in piena depressione ed entra in una situazione di vera
e propria prostrazione la sesta fase, peraltro indicata solo e
fortunatamente eventuale, nella quale la storia del mobbing ha un
epilogo: nei casi più gravi nel suicidio del lavoratore, negli altri nelle
dimissioni, o anticipazione di pensionamenti, o in licenziamenti>> (cosí,
Trib. Forlí, sent. 15.3.2001).

Se questo è il mobbing,
certamente il caso di specie vi rientra a pieno titolo. Reputa, tuttavia, il
Tribunale che, al di là  della questione delle “etichette” e in assenza di
una disciplina normativa che ricolleghi ad un fenomeno chiamato “mobbing
certe, determinate, conseguenze giuridiche, non metta conto soffermarsi
ulteriormente sulla questione definitoria, nè abbia importanza appurare
quale considerazione meriti il caso in esame nell’ambito della psicologia
del lavoro. Per questa ragione ” non essendovi stata, peraltro, richiesta di
parte ” questo giudice non ha ritenuto rilevante disporre un’apposita
consulenza tecnica d’ufficio. Ciò che rileva, invece, è analizzare se le
condotte vessatorie lamentate in ricorso ” che, anche per comodità 
lessicale, ben possiamo definire mobbing – e i pregiudizi che si
allega esserne derivati abbiano fondamento e se possano condurre
all’accoglimento delle domande avanzate. Cosí posta, la questione è
eminentemente giuridica e dev’essere valutata alla luce delle disposizioni
del codice civile giustamente evocate in ricorso: l’art. 2087 e l’art. 2103
(letti anche alla stregua degli artt. 1175 e 1375). Occorre, dunque,
verificare se nei fatti lamentati dal ricorrente siano ravvisabili, da un
lato, inadempimenti contrattuali e, d’altro lato ” quale conseguenza ” dei
danni risarcibili.

Occorre premettere che
l’istruttoria espletata ha dimostrato come, sino al febbraio 2000 ” quando
il ricorrente rientrò nella sede di Frossasco dalla trasferta a Melfi ” TOTA
conobbe, in C.R.& S., una carriera interna progressivamente crescente, che
gli  guadagnò la stima e la fiducia degli amministratori (e proprietari)
della società , sí dall’indurre costoro ad attribuirgli mansioni e
responsabilità  superiori al formale livello d’inquadramento che da ultimo
aveva (il 7° livello impiegatizio). Ed invero:

la prova degli ultimi
riconoscimenti dell’apprezzata attività  del ricorrente in azienda si ricava
dai documenti prodotti da parte convenuta sub 16 (passaggio di
categoria dal 6° al 7° livello d’inquadramento a far tempo dal 1°.2.1998) e
17 (aumento del superminimo già  in godimento di L.. 500.000 lorde dal
1°.7.1999) e, inoltre, dall’entità  del premio ricevuto alla fine del 1999,
ben 9 milioni di lire (teste MOLINO);

i riconoscimenti
economici da ultimo richiamati debbono essere messi in correlazione allo
svolgimento di mansioni superiori affidate al ricorrente sin dal luglio
1998, quando cessò il rapporto con il capofficina BERMANI; in conformità  a
quanto allegato in ricorso e contrariamente a quanto sostenuto dalla
convenuta, TOTA sostituí infatti BERMANI dal 2.7.1998 (cfr. documento
acquisito all’udienza del 12.3.03) sino al settembre 1999, quando fu inviato
in trasferta a Melfi: cfr. le chiare e univoche deposizioni dei testi
MOLINO, FERRANTE, CORBELLETTI, RAVERA, ALONGE, CASTELLARO, FRANCESE, MURTAS;
non attendibili, dunque, le parzialmente difformi deposizioni di SPAGNUOLO
(dei cui pessimi rapporti con TOTA di seguito si dirà ), D’ALOIA (che aveva
interesse a negare la circostanza, posto che l’azienda, nel maggio 2001,
attribuí a lui, piuttosto che al ricorrente, l’incarico di capofficina) e
CESANO (che sul punto è stato stranamente vago, pur essendo egli all’epoca
uno dei due amministratori e proprietari della C.R.& S., per smemoratezza o,
forse, perchè il suo rapporto con la convenuta continua tuttora in regime di
consulenza);

che le mansioni di
capofficina fossero superiori all’inquadramento del ricorrente (7° livello
impiegatizio), lo si ricava ” pur essendo mancata la produzione del CCNL
contenente le declaratorie contrattuali ” dall’importanza di tale ruolo, che
presupponeva anche il coordinamento e la direzione di numerosi addetti (una
ventina, secondo quanto dichiarato dai testi MOLINO e FERRANTE) e che prima
del ricorrente era svolto da persona con inquadramento di dirigente (cfr.
libro matricola prodotto dalla convenuta);

nel settembre 1999, con
il suo consenso, TOTA fu inviato in trasferta a Melfi, in uno stabilimento
FIAT a cui

https://www.litis.it

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