Attualità

Uffici giudiziari con doppia dirigenza. E in 4 sedi pilota arriva un supermanager

I primi,
timidi, segnali di gestione manageriale, all’interno di scelte pero’ ancora
troppo contraddittorie. Il disegno di legge delega di riforma dell’ordinamento
giudiziario, approvato (con voto di fiducia) mercoledi’ dalla Camera e presto
all’esame del Senato (il ministro della Giustizia Roberto Castelli punta a un
si’ definitivo entro l’estate) affronta anche il tema cruciale
dell’organizzazione degli uffici giudiziari. Un tema cruciale perchè è qui che
si gioca la partita dell’efficienza. E, davanti alle critiche di chi sostiene
che con le norme votate dalla maggioranza la durata dei processi non è
destinata a diminuire, il ministero ha messo in campo una strategia complessa.
Gli uffici giudiziari. A emergere è quella gerarchizzazione e centralizzazione
che, assai spiccata in procura, sembra fare da bussola anche nell’organizzazione
dell’ufficio giudicante. Spetteranno infatti al magistrato capo dell’ufficio la
titolarità e la rappresentanza nei rapporti con le istituzioni e con i
rappresentanti degli altri uffici. A lui inoltre è affidata la competenza ad
adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività
giudiziaria e per la gestione dei giudici assegnati all’ufficio e del loro stato
giuridico. A fiancheggiarlo, in un’ideale diarchia, il dirigente dell’ufficio di
cancelleria o di segreteria, al quale spetta la gestione delle risorse umane e
finanziarie in accordo con gli indirizzi fissati dal magistrato capo
dell’ufficio. Entrambi, ogni anno, dovranno stilare un programma di attività
dell’ufficio nel quale andranno indicate le priorità e le risorse disponibili
per raggiungerle (per esempio numero di cause da definire, rapporto con le
controversie sopravvenute da rispettare, distribuzione delle risorse). Una
previsione che sembra lasciare spazio alla possibilità di un controllo di
gestione che, peraltro, nel disegno di legge non viene esplicitato. L’obiettivo
è quello di un sostanziale accordo tra capo dell’ufficio giudiziario e
dirigente amministrativo. Sugli eventuali contrasti l’intervento risolutore
dovrà essere quello del ministro. Un aspetto che secondo Claudio Castelli,
segretario di Magistratura democratica, lascia spazio a perplessità sulle
possibilità indirette di indirizzo dell’attività giudiziaria. «Nei criteri
elaborati dal ministero, a mancare ” osserva Stefano Zan, docente di Teoria
dell’organizzazione e collaboratore del Csm ” è ogni riferimento alla
necessaria capacità manageriale che i capi degli uffici devono possedere. E
tanto più, salvo qualche scarno riferimento sulla necessita di un corso
specifico per gli incarichi semidirettivi, sulla formazione necessaria per
acquisirla. Più sorprendente ancora è l’assenza di indicazioni sulla
dimensione tecnologica, queste si’ decisive nel possibile salto di qualità del
processo civile. Naturalmente non è vietato nulla, ma da un impiego su larga
scala delle tecnologie potrebbero essere liberate risorse con cui colmare il gap
di efficienza». Le sedi pilota. Nelle corti d’appello di Roma, Milano, Napoli e
Palermo debutterà un direttore tecnico, con la qualifica di direttore generale
e compiti di gestione e controllo delle risorse umane e finanziarie. Dovrà
anche pianificarne l’utilizzo in rapporto con il carico giudiziario dell’intero
distretto, ma anche con un’attenzione particolare «alle esigenze di carattere
sociale nel rapporto tra i cittadini e la giustizia». Un profilo da supermanager
della giustizia, sulla quale pero’ in questa fase si raccolgono più
perplessità che consensi. Per Claudio Castelli si tratta «di una figura
ambigua, le cui scelte possono avere una ricaduta in termini di accesso alla
giurisdizione da parte dei cittadini». Mentre per Giuseppe Di Federico,
direttore dell’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del Cnr e componente
del Csm, è «un tentativo di introdurre anche nel nostro Paese quella figura del
court manager che negli Stati Uniti gode di un elevato prestigio, ma che, cosi’
come è definita dal disegno di legge mi sembra ancora troppo pasticciata e
priva di reali poteri e criteri di controllo. Bisognerebbe piuttosto valutare
con attenzione il perocorso di formazione cui saranno chiamati i nostri
giudici». Per Zan invece si tratta di prendere atto che «nei Comuni ci sono da
tempo i city manager, che negli ospedali ci sono i direttori sanitari e che da
un po’ di tempo anche all’interno della magistratura è cresciuta la
consapevolezza della necessità di una doppia dirigenza, una di tipo
istituzionale che spetta ai magistrati e una di natura organizzativa, da
attribuire a manager preparati specificamente».

G.Negri –
www.ilsole24ore.com


 

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