Penale

Il sequestro probatorio rappresenta un atto dovuto nel caso in cui la ricerca della prova del commesso reato si concluda con il rinvenimento del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato – CASSAZIONE PENALE, Sentenza n. 28929 del 27/05/2004

Secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di
questa Corte Suprema, in merito ai rapporti tra perquisizione e sequestro va
ricordato"allorquando la ricerca della prova del commesso reato, comunque
effettuata, si sia conclusa con il rinvenimento ed il sequestro del corpo del
reato o delle cose pertinenti al reato, è lo stesso ordinamento processuale a
considerare del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia
pervenuti: in questa specifica ipotesi, e ancorchè nel contesto di una
situazione non legittimamente creata, il sequestro rappresenta un atto dovuto,
la cui omissione esporrebbe gli autori a specifiche responsabilità penali,
quali che siano state, in concreto, le modalità propedeutiche e funzionali che
hanno consentito l’esito positivo della ricerca compiuta".(Cass., Sez. Un.,
16.5.1996, n. 5021, ric. Sala). Inoltre si è osservato che "allorquando
ricorrono le condizioni previste dall’art. 253, comma 1, c.p.p., gli
aspetti strumentali della ricerca, pur rimanendo partecipi del procedimento
acquisitivo della prova, non possono mai paralizzare l’adempimento di un obbligo
giuridico che trova la sua fonte di legittimazione nello stesso ordinamento
processuale ed ha una sua razionale ed appagante giustificazione nell’esigenza
che l’ufficiale di polizia giudiziaria non si sottragga all’adempimento dei
doveri indefettibilmente legati al suo status, qualunque sia la situazione –
legittima o no – in cui egli si trovi ad operare". In merito, poi, al sequestro
probatorio si è affermato che  il sindacato del giudice del riesame non puo’
investire la concreta fondatezza dell’accusa (il cui riscontro è riservato al
giudice della cognizione nel merito), ma deve essere limitato alla verifica
dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in
una determinata ipotesi di reato ed al controllo dell’esatta qualificazione
dell’oggetto del provvedimento come "corpus delicti". L’accertamento del "fumus
commissi delicti" va effettuato, pertanto, solo sotto il profilo della
congruità degli elementi rappresentati e posti a fondamento del provvedimento,
che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la
coincidenza con le reali risultanze processuali, ma vanno valutati cosi come
esposti per verificare appunto se consentono di ricondurre l’ipotesi di reato
formulata in una di quelle tipicamente previste dalla legge

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CASSAZIONE PENALE, Sentenza n. 28929 del 27/05/2004


Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 4.11.2003 il Tribunale di Venezia
rigettava la richiesta di riesame del decreto di sequestro probatorio in data
14.10 2003 e del decreto di convalida di sequestro probatorio in data
17.10.2003, entrambi emessi dal P.M. presso quello stesso Tribunale, avanzata
nell’interesse di Mugnaini Sebastiano, indagato in relazione al reato di cui
all’art. 125 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato).

Il sequestro ha riguardato:

– alcuni frammenti di ceramica, rinvenuti
nell’abitazione dell’indagato;

– n. 2 cornici, di cui una contenente alcune
piccole pipe di vario materiale e l’altra una piccola fibula di metallo,
entrambe esposte al pubblico nei locali di un’enoteca gestita dal medesimo;

– una lamina rettangolare incorniciata, due teste
in materiale lapideo ed altri oggetti, tutti rinvenuti nell’abitazione della
madre dell’indagato.

Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto
ricorso il Mugnaini, il quale ha eccepito:

a) la nullità del sequestro per violazione di
legge, in quanto eseguito all’esito di una perquisizione illegittima poichè
scaturita da una nota dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale,
"costituente, con ogni probabilità, una sorta di informativa confidenziale" e
pertanto finalizzata non alla ricerca della prova, bensi’ all’acquisizione
stessa della notitia criminis;

b) la inconfigurabilità dell’ipotizzato reato di
cui all’art. 125 del D.Lgs. n. 490/1999, prospettando la piena liceità
della detenzione dei beni dianzi descritti.

Assume, in proposito, il ricorrente che: i
frammenti di ceramica e le piccole pipe sarebbero stati da lui rinvenuti, oltre
venti anni fa, nella laguna di Venezia; la fibula di metallo gli sarebbe stata
donata da un cliente; gli oggetti sequestrati nell’abitazione della madre
sarebbero a lei pervenuti per successione ereditaria.

Il ricorso deve essere accolto nei limiti di
seguito specificati.

1. Quanto ai rapporti tra perquisizione e
sequestro, va ricordato che – secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di
questa Corte Suprema (Cass., Sez. Un., 16.5.1996, n. 5021, ric. Sala) –
"allorquando la ricerca della prova del commesso reato, comunque effettuata, si
sia conclusa con ti rinvenimento ed il sequestro del corpo del reato o delle
cose pertinenti al reato, è lo stesso ordinamento processuale a considerare del
tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti: in
questa specifica ipotesi, e ancorchènel contesto di una situazione non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un atto dovuto, la cui omissione
esporrebbe gli autori a specifiche responsabilità penali, quali che siano
state, in concreto, le modalità propedeutiche e funzionali che hanno consentito
l’esito positivo della ricerca compiuta". "Allorquando, cioè, ricorrono le
condizioni previste dall’art. 253, comma 1, c.p.p., gli aspetti
strumentali della ricerca, pur rimanendo partecipi del procedimento acquisitivo
della prova, non possono mai paralizzare l’adempimento di un obbligo giuridico
che trova la sua fonte di legittimazione nello stesso ordinamento processuale ed
ha una sua razionale ed appagante giustificazione nell’esigenza che l’ufficiale
di polizia giudiziaria non si sottragga all’adempimento dei doveri
indefettibilmente legati al suo status, qualunque sia lasituazione – legittima o
no – in cui egli si trovi ad operare".

Nella fattispecie in esame, pertanto, quand’anche
vi fosse stata effettivamente una perquisizione illegittima, i motivi
costituenti autonoma censura della perquisizione stessa non potevano e non
possono essere presi in considerazione (vedi Cass., Sez.
Unite, 20.11.1996, n. 23, ric. P.M. in proc.
Bassi ed altri).

2. Deve ribadirsi poi il costante orientamento di
questa Corte Suprema, in tema di sequestro probatorio, secondo U quale il
sindacato del giudice del riesame non puo’ investire la concreta fondatezza
dell’accusa (à cui riscontro è riservato al giudice della cognizione nel
merito), ma deve essere limitato alla verifica dell’astratta possibilità di
sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato
ed al controllo dell’esatta qualificazione dell’oggetto del provvedimento come
"corpus delicti".

L’accertamento del "fumus commissi delicti" va
effettuato, pertanto, solo sotto il profilo della congruità degli elementi
rappresentati e posti a fondamento del provvedimento, che non possono essere
censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali
risultanze processuali, ma vanno valutati cosi come esposti per verificare
appunto se consentono di ricondurre l’ipotesi di reato formulata in una di
quelle tipicamente previste dalla legge (vedi Cass.: Sez. 6^, 3.3.1998, Campo;
Sez. 2^ 22.5.1997, Acampora).

Il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca
della prova, sicchè per la sua adozione non è necessario che sussistano indizi
di colpevolezza nei confronti di una determinata persona, ma è sufficiente che
esistano elementi tali da far configurare l’esistenza di un reato e ritenere la
relazione necessaria fra la cosa oggetto del sequestro ed il reato stesso,
relazione che non ha bisogno didimostrazione allorchè il sequestro cade sul
"corpo di reato", vale a dire sulle cose con le quali o mediante le quali esso
è stato commesso o che ne costituiscono il prodotto (vedi Cass., Sez. 6^,
29.1.1998, Sarnataro e Sez. 1^, 3.10.1997, Attaniese).

3. Quanto al reato di impossessamento illecito di
beni catturati appartenesti allo Stato, appare opportuno evidenziare che tale
fattispecie delittuosa è stata configurata:

– dall’art. 67, 1^ comma, della legge 1.6.1939, n.
1089, nella condotta di "chiunque si impossessa di cose di antichità e d’arte,
rinvenute fortuitamente, ovvero in seguito a ricerche od opere in genere";

– dall’art. 125, 1^ comma, del D.Lgs. 29.10.1999,
n. 490, nella condotta di "chiunque si impossessa di beni culturali indicati
nell’art. 2, appartenenti allo Stato a norma dell’art. 88".

La stessa fattispecie viene attualmente individuata
dall’art. 176, 1^ comma, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio) – entrato in vigore il 1^ maggio 2004 – nella condotta di
"chiunque si impossessa di beni culturali indicati nell’art. 10, appartenenti
allo Stato ai sensi dell’art. 91".

La giurisprudenza di questa Corte Suprema:

– in relazione all’art. 67 della legge n.
1089/1939
, ha escluso che la condotta criminosa potesse realizzarsi con
riguardo a qualsiasi oggetto proveniente dall’antichità ed ha circoscritto la
stessa agli oggetti "che siano artisticamente importanti e storicamente
significativi, che abbiano cioè un valore che giustifichi l’interesse
collettivo alla protezione e alla conservazione di essi" (Cass., Sez. 3^,
23.7.1999, n. 9470, Cipolla);

– con riferimento, poi, all’art. 125 del D.Lgs.
n. 490/1999
, ha affermato che, ai fini della sussistenza del reato, "non è
necessario che i beni (culturali) siano stati qualificati come tali in un
formale provvedimento dell’autorità amministrativa, essendo sufficiente che
essi abbiano un interesse culturale aggettivo, interesse che puo’ essere desunto
dalle caratteristiche della res non solo per il valore comunicativo spirituale,
ma anche per requisiti peculiari attinenti alla tipologia, alla localizzazione,
alla rarità e ad altri analoghi criteri" (vedi Cass., Sez. 3^: 16.12.2003, n.
47922, Petroni; 24.12.2001, n. 45814, Cricelli).

Ai sensi dell’art. 91 del D.Lgs. n. 42/2004,
"le cose indicate nell’art. 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate
nelsottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che
siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile,
ai sensi degli artt. 822 e 826 del codice civile".

L’art. 10 dello stesso D.Lgs. n. 42/2004
individua i "beni culturali" utilizzando criteri discretivi che tengono anche
conto della natura pubblica o privata del proprietario ed in particolare il 3
comma classifica tra i beni culturali – "quando sia intervenuta la dichiarazione
(dell’interesse culturale prevista dall’art. 13" – una serie di beni
appartenenti a privati (diversi dalle persone giuridiche non aventi fini di
lucro), tra i quali sono ricomprese (per quanto riguarda la vicenda in esame)
"le cose immobili o mobiliche presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico particolarmente importante" (lett. a).

Viene ribadita, pertanto, la necessaria esistenza
di un interesse culturale oggettivo e viene anzi specificato che esso deve
essere "particolarmente importante".

Alla stregua di tali ultime previsioni – e tenuto
conto che la norma incriminatrice di cui all’art. 176, 1^ comma, del D.Lgs.
n. 42/2004
è rivolta a tutelare il patrimonio culturale economico dello
Stato – deve essere rivalutato l’orientamento già espresso da questa Corte e di
cui si è dato conto dianzi.

Deve quindi affermarsi che i beni culturali di cui
all’art. 10, 3^ comma, del D.Lgs. n. 42/2004 possono essere oggetto del
c.d. "foltod’arte" solo allorquando siano stati qualificati come tali nel
provvedimento formale dell’autorità amministrativa previsto dall’art. 13 dello
stesso testo normativo (dichiarazione dell’interesse culturale).

Potrebbe trattarsi, pero’, di beni mai denunziati
all’autorità competente e che comunque rivestano un oggettivo interesse
culturale, artistico, storico, archeologico o etnoantropologico "particolarmente
importante" ovvero "eccezionale", secondo le specifiche previsioni legislative.
In tal caso deve ritenersi che il reato non resti escluso per il semplice fatto
che il bene medesimo sia stato sottratto alla verifica degli organi competenti,
ma deve avere inizio appunto il procedimento per l

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