Penale

Nulla la citazione consegnata a casa dell’imputato che è in carcere – Cassazioe Penale, Sezione III, Sentenza n. 19453 del 20/05/2005

La citazione in un
giudizio notificata a casa dell’imputato, nelle mani del genitore convivente,
non è valida se l’imputato è in carcere per altri motivi, anche se lo stato
di detenzione non risulta dagli atti della causa.
Non solo. E’ compito del giudice controllare tale stato, nel segno di un più
generale ” dovere di accertamento e di conoscenza effettiva dell’accusa e del
processo, aldilà di ogni ragionevole dubbio ” . Lo ha affermato la Cassazione,
II sezione penale, con la sentenza 19453/ 05, depositata il 20 maggio.
Dichiarando non valida la notifica della citazione, la Suprema corte ha
annullato le sentenze di I e II grado e ha rinviato la causa al tribunale.
Perchè il decreto di citazione in giudizio era stato notificato all’imputato
nella sua abitazione, ” a mani del padre convivente che, nel ritirare l’atto,
non aveva rappresentato la circostanza che il figlio era detenuto ” , hanno
scritto i giudici, e non nel luogo di detenzione. Risultato: l’imputato, in
carcere, non ha avuto notizia dell’esistenza del giudizio, è rimasto contumace
e, in definitiva, non ha potuto difendersi.
Alla base della decisione della Suprema corte c’è il principio del giusto
processo, che nel 1999, con la modifica dell’articolo 111, ha fatto il suo
ingresso nella Costituzione, ma che già prima era garantito dalla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ( Cedu), che all’articolo 6
garantisce all’imputato il
diritto a essere informato dell’accusa rivoltagli nel
giudizio. E la Cedu, firmata nel 1950, è parte dell’ordinamento italiano,
perchè resa esecutiva con la legge 848 del 1955. Allo stesso modo, hanno
efficacia nel sistema giuridico le sentenze emesse, sulla base della
Convenzione, dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Cosi’, dalla sentenza
Sejdovic contro Italia, emessa a Strasburgo lo scorso novembre, era disceso
l’obbligo per lo Stato di integrare l’ordinamento interno al fine di eliminare
la violazione dei diritti accertata nel procedimento. Obbligo adempiuto dal
legislatore con il recente decreto legge 17/ 05, che ha previsto la
restituzione nel termine per proporre impugnazione o opposizione in caso di
sentenza pronunciata in contumacia, ” se risulta dagli atti che l’imputato non
ha avuto effettiva conoscenza del procedimento o non ha volontariamente
rinunciato a comparire ” .
I giudici hanno anche citato la sentenza del 7978/ 95 della stessa Cassazione,
che aveva ritenuto nulla la notifica del decreto di citazione avvenuta con
deposito nella casa comunale anzichè con la consegna all’imputato in carcere,
e affermato che ” ove non vi sia stata elezione o dichiarazione di domicilio,
l’imputato che, prima dell’udienza dibattimentale, venga ristretto in stato di
detenzione per altra causa non è tenuto a comunicare all’autorità giudiziaria
procedente la situazione sopravvenuta ” . Un principio, ha scritto la Suprema
corte, ” applicabile aldilà delle peculiarità del caso sul quale si è
pronunciata la Corte regolatrice a tutte le ipotesi di notificazione del
decreto di citazione in giudizio dell’imputato presso la sua abitazione”. Valentina
Maglione, Il Sole 24 ore

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