Sempre legittima l’autotutela, anche dopo la sentenza di primo grado -; CASSAZIONE CIVILE, Sezione V, Sentenza n. 2305 del 04/02/2005
L’esercizio del potere di autoannullamento
dell’atto illegittimo, con conseguente cessazione della materia del contendere,
non trova alcun limite di ordine normativo. In particolare, dal tenore
letterale e logico dell’art. 46 del contenzioso tributario non è dato desumere
in alcun modo che il provvedimento dell’Amministrazione.Finanziaria debba
intervenire nelle more del giudizio di primo grado e non quando lo stesso siasi
concluso.
Anzi, ‘ proprio il favor per la deflazione del
contenzioso ad avere all’evidenza ispirato la disposizione in esame (art.
46,comma primo:
"il giudizio si estingue… nei casi di
definizione delle pendenze tributarie e in ogni altro caso di cessazione della
materia del contendere"), tanto da essere previsto, in via generale, che
"le spese del giudizio restano a carico della parte che le ha anticipate"
(art. 46 comma terzo): previsione, quest’ultima, ritenuta dal Giudice delle
leggi Co. Cost. sent. 53/1998; ord. 77/1999; ord. 465/2000
CASSAZIONE
CIVILE, Sezione V, Sentenza n. 2305 del 04/02/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RIGGIO Ugo – Presidente
Dott. ALTIERI Enrico – Consigliere
Dott. MONACI Stefano – Consigliere
Dott. EBNER Vittorio Glauco – rel. Consigliere
Dott. RUGGIERO Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
TRIBOLO GIAN PIERO, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA AURELIA 190, presso lo studio dell’avvocato CESARE TESTA, che lo
difende, giusta procura in calce;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CASALBORGONE;
– intimato –
avverso
la sentenza n. 47/02
della Commissione tributaria regionale di TORINO, depositata il 30/09/02;
2004 udita la relazione della causa svolta
nella Pubblica udienza del 10/11/04 dal Consigliere Dott. Vittorio Glauco
EBNER;
udito il P.M. in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio che ha concluso per
l’inammissibilità o rigetto del ricorso.
Svolgimento del
processo
Tribolo Giampiero impugnava con separati
ricorsi dei distinti avvisi di accertamento e di liquidazione dell’imposta
comunale sugli immobili (ici, per brevità) notificatigli dal Comune di
Casalborgone con riguardo agli anni 1994,1995 e 1996.
Con sentenza n. 105/10/2000 l’adita Commissione
Tributaria Provinciale di Torino,riuniti i ricorsici rigettava e condannava il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
La sentenza veniva appellata dal contribuente,
che ne chiedeva la riforma totale (con conseguente annullamento degli atti
impugnati, in quanto illegittimi) o, in subordine, almeno parziale (con
riguardo alla statuizione di condanna del ricorrente alle spese): il tutto,
previa declaratoria di illegittimità del provvedimento di annullamento dei
menzionati atti impositivi, adottato medio tempore, in via di autotutela,
dall’Ente impositore.
Con sentenza n. 47/36/02, depositata il
30.09.2002, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, su conforme
richiesta dell’appellato Comune di Casalborgone,che aveva proceduto ad
annullare gli atti impugnati, dichiarava cessata la materia del contendere per
la indicata causa e compensava fra le parti le spese di entrambi i gradi di
giudizio.
Ricorre per Cassazione il Tribolo, con quattro
articolati mezzi di doglianza.
L’intimato Ente territoriale non si è
costituito.
Motivi della decisione
Con un primo motivo il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 46 comma primo D.Lgs.vo 546/1992
nonchè omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della
controversia.
I Giudici di appello non avrebbero considerato
che il provvedimento di annullamento, per essere legittimo, avrebbe dovuto
essere adottato nelle more del giudizio di primo grado e non in epoca
successiva a quella del deposito della sentenza che aveva chiuso il giudizio
stesso: essendo in tal caso evidente l’intento del Comune di evitare la
condanna alle spese processuali.
La censura non ha fondamento.
Invero,l’esercizio del potere di
autoannullamento dell’atto illegittimo, con conseguente cessazione della
materia del contendere, non trova alcun limite di ordine normativo.
In particolare, dal tenore letterale e logico
del richiamato art. 46 del contenzioso tributario non è dato desumere in alcun
modo che il provvedimento dell’A.F. debba intervenire nelle more del giudizio
di primo grado e non quando lo stesso siasi concluso.
Anzi, ‘ proprio il favor per la deflazione del
contenzioso ad avere all’evidenza ispirato la disposizione in esame (art.
46,comma primo:
"il giudizio si estingue… nei casi di
definizione delle pendenze tributarie e in ogni altro caso di cessazione della
materia del contendere"), tanto da essere previsto, in via generale, che
"le spese del giudizio restano a carico della parte che le ha
anticipate" (art. 46 comma terzo): previsione, quest’ultima, ritenuta dal
Giudice delle leggi Co. Cost. sent. 53/1998; ord. 77/1999; ord. 465/2000;
ord. 303/2002 – non contrastante con gli artt.
3, 24 e 97 della Costituzione.
Con un secondo motivo il ricorrente deduce
violazione e mancata applicazione dell’art. 68 comma primo DPR 287/1992 nonchè
omessa od insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
I Giudici di appello non avrebbero infatti
tenuto presente che,ai sensi della norma citata,l’esercizio dell’autotutela è
subordinato alla condizione che sul punto non si sia formato un giudicato.
Anche tale censura è priva di fondamento. Al
riguardo è sufficiente il richiamo alle considerazioni svolte in ordine alla
infondatezza del primo motivo di doglianza.
Va solo aggiunto che la stessa prospettazione
del ricorrente appare in contrasto con la situazione processuale. Invero, per
effetto della avvenuta impugnazione della sentenza di primo grado da parte del
contribuente,nessun giudicato in senso proprio( ex art. 324 c.p.c. e 2909 c.c.)
si era venuto a creare nella materia controversia:
sicchè, non ha senso giuridico il sostenere
che al Comune era precluso di annullare l’atto in autotutela per essersi
formato un giudicato. Se, invece, alla espressione "giudicato" usata
dal ricorrente voglia attribuirsi un senso lato, di sentenza anche non divenuta
definitiva, la infondatezza della prospettazione discende dai rilievi già
svolti in precedenza a confutazione delle ragioni addotte con il primo motivo
del ricorso per Cassazione.
Con un terzo motivo si deduce violazione e
mancata applicazione:
dell’art. 74 comma 3 L. 342/2000; dell’art. 1
comma primo DM 37/1997;
dell’art. 100 c.p.c.; nonchè omessa ed
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
I Giudici di appello non avrebbero considerato:
che la motivazione del provvedimento di autoannullamento – del quale il
ricorrente riporta alcuni passi: ndr – poggia su ragioni di fatto e logico-
giuridiche inidonee a sorreggere il provvedimento; che, comunque, il
provvedimento stesso sarebbe stato adottato al di fuori dei casi tassativi
previsti dal citato DM; infine, che il Comune non aveva alcun interesse ad
emanare un siffatto provvedimento, stante l’intervenuto pagamento – medio
tempore – da parte del contribuente degli importi richiestigli con gli avvisi
impugnati.
La doglianza non ha pregio.
In proposito, questa Corte (Cass. 1547/2002) ha
già avuto modo di affermare che il potere attribuito dall’art. 68 DPR 287/1992
agli Uffici dell’A.F. di procedere all’annullamento totale o parziale dei
propri atti riconosciuti illegittimi o privi di fondamento nel caso concreto
costituisce una facoltà discrezionale il cui mancato esercizio non puo’ essere
sindacato nel giudizio di impugnazione dell’atto. Del resto, il processo
tributario viene appunto attivato per effetto della impugnativa di un atto o di
un comportamento (qui, silenzio-rifiuto) dell’ente impositore.
Pertanto, il venir meno dell’atto in virtù di
autoannullamento, determinando il venir meno della stessa materia del
contendere giudiziale, impedisce che il processo s