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Nemm’ipotesi di concorso di civili nel reato militare, le giurisdizioni rimangono separate – CASSAZIONE PENALE, Seziunu Unite, Sentenza n. 5135 del 10/02/2006

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GIURISDIZIONE – GIUDICE MILITARE – CONCORSO DI
CIVILI NEL REATO MILITARE – CONNESSIONE DEI PROCEDIMENTI ” CONSEGUENZE


 

Nel caso in cui nel reato militare concorrano
civili insieme con i militari, nonostante la connessione tra i procedimenti, le
sfere di giurisdizione rimangono separate, sicchè il giudice militare mantiene
integra nei confronti dei concorrenti militari la propria giurisdizione e quello
ordinario nei confronti dei concorrenti civili.

 


CASSAZIONE
PENALE, Seziunu Unite, Sentenza n. 5135 del 10/02/2006

(Presidente N. Marvulli, Relatore G. Lattanzi)


 

RITENUTO IN FATTO

1. E. M., per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso la sentenza del 17 settembre 2004 con la quale la Corte militare di
appello – Sezione distaccata di Napoli ha confermato la condanna del ricorrente
alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione militare per il reato di peculato
militare aggravato (artt. 215 e 47 n. 2 c.p.m.p.), pronunciata dal Tribunale
militare di Napoli il 20 novembre 2003.

Secondo l’imputazione il ricorrente, “all’epoca dei fatti maggiore E.I.,
nell’esercizio delle funzioni di capo ufficio amministrazione della Scuola
allievi CC. di Campobasso, con più atti esecutivi del medesimo disegno
criminoso, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di somme di
denaro appartenenti all’Amministrazione militare, accreditate sul capitolo 4601
del bilancio 1995, se ne appropriava nella misura di lire 34.763.745 in concorso
con l’Arredamenti Binacchi s.r.l., liquidando le fatture n. 178/95 e n. 148/95
emesse dalla suindicata società di importo maggiorato rispetto al valore della
merce fornita”.

Il Tribunale militare ha ritenuto che l’imputato avesse manipolato l’andamento
di due gare a trattativa privata e avesse cosi’ favorito l’aggiudicazione
all’impresa Binacchi per un corrispettivo notevolmente superiore a quello medio
di mercato, lucrando poi il sovrapprezzo.

Alle due gare avevano preso parte, oltre all’impresa Binacchi, altre imprese che
poi erano risultate collegate con la prima perchè ne erano fornitrici. Inoltre
le proposte presentate da alcune delle imprese invitate recavano firme che erano
state disconosciute e lo stesso imputato aveva ammesso che per una sua decisione
erano state invitate alle gare imprese estranee al settore merceologico di
interesse. L’indagine peritale era giunta alla conclusione che esisteva una
netta sproporzione tra i corrispettivi di aggiudicazione delle gare e i valori
di mercato dei beni forniti.

Secondo il tribunale il fatto integrava un peculato militare, in quanto
l’imputato era in possesso del denaro dell’amministrazione per ragione di
ufficio, avendo il potere di disporre il pagamento in favore delle imprese
aggiudicatrici. Il fatto appropriativo era stato individuato nell’emissione dei
due mandati di pagamento per somme “maggiorate”, che avevano dato luogo a
un’arbitraria disposizione dell’eccedenza pecuniaria e costituivano espressione
di una signoria sulle somme corrisposte.

La Corte militare di appello, come si è detto inizialmente, ha confermato la
decisione del tribunale.

2. Prima di decidere sul merito la corte militare di appello ha ritenuto di
dover verificare la propria di giurisdizione prendendo in esame la questione
sulla esistenza o meno della giurisdizione militare quando, come è avvenuto nel
caso in esame, vi sia stato il concorso nel reato militare di persone non
appartenenti alle Forze armate.

Alla questione la corte ha ritenuto di dover dare una soluzione affermativa
disattendendo l’orientamento giurisprudenziale più recente, secondo il quale
sarebbe ancora in vigore, nonostante il disposto del secondo comma dell’art. 13
c.p.p, la disposizione dell’art. 264 c.p.m.p., che nel caso in questione
attribuiva la giurisdizione al giudice ordinario. La corte infatti si è
dichiarata convinta che l’art. 264 c.p.m.p. sia stato abrogato dalla successiva
disposizione dell’art. 13, comma 2, c.p.p., che attribuisce la giurisdizione al
giudice ordinario “soltanto quando il reato comune è più grave di quello
militare”, situazione che si riferisce al concorso di reati e non è ravvisabile
nel caso di un unico reato militare commesso in concorso con persone non
appartenenti alle Forze armate.

3. Il ricorso si articola in cinque motivi.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto il difetto di giurisdizione della
corte militare. Secondo il ricorrente l’art. 264 c.p.m.p. non è stato abrogato
e con l’avverbio “soltanto” la disposizione dell’art. 13, comma 2, c.p.p. ha
introdotto nella previgente normativa la regola di operatività della
connessione unicamente nel caso di reato comune più grave di quello militare,
mantenendo rilevante, ai fini della giurisdizione, la connessione nelle ipotesi
di concorso di persone nel reato previste dal citato art. 264.

Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la qualificazione giuridica del
fatto rilevando che la liquidazione di fatture di importo maggiorato, con il
conseguente pagamento al fornitore, non presuppone il possesso, da parte
dell’agente, delle somme pagate. Nella condotta in contestazione manca il
momento appropriativo che, a tutto voler concedere, si sarebbe potuto
configurare soltanto ipotizzando una successiva consegna di denaro all’imputato
da parte del privato “ovvero una condotta, oltre che insussistente, neppure
congetturata nella fattispecie in contestazione”.

Con il terzo motivo il ricorrente ha sostenuto che anche se si ritenesse provata
la liquidazione di fatture per importi superiori al valore della merce fornita,
non vi sarebbe comunque una condotta appropriativa, che presupporrebbe
“l’esistenza di un surplus tra l’importo indicato nelle fatture e quanto
effettivamente corrisposto alla ditta” fornitrice. “La maggiorazione degli
importi rispetto al valore di mercato della merce poteva tutt’al più condurre a
una condotta riconducibile nell’alveo dell’art. 323 c.p.”.

Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la manifesta illogicità della
motivazione per la confusione operata tra il profilo dell’accertamento della
irregolarità della gara e quello, che costituisce il vero thema decidendum,
della sussistenza della condotta di appropriazione. Il materiale indiziario
acquisito, a tutto voler concedere, sarebbe indicativo della irregolarità della
gara vinta dall’impresa Binacchi mentre per quanto concerne l’ esistenza di un
accordo illecito tra questa impresa e il M. la sentenza si limita ad evidenziare
il solo dato della sproporzione tra il prezzo di aggiudicazione e quello
corrente sul mercato. Manca l’indicazione di prove, ancorchè indiziarie,
relative a “un accordo tra ditta e prevenuto in ordine al riversamento a favore
del M. del sovrapprezzo lucrato dalla ditta”.

Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato un vizio della motivazione con
riferimento alla determinazione della pena irrogata. La sentenza trascura i
pacifici elementi dell’incensuratezza e della specchiata condotta militare, pure
emersi in giudizio, che avrebbero imposto una pena più mite.

4. La prima sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite avendo
rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla vigenza dell’art.
264 c.p.m.p. e sull’attribuzione al giudice ordinario della giurisdizione quando
il reato militare è commesso da un militare in concorso con persona non
appartenente alle forze armate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’entrata in vigore della Costituzione con l’art. 103, comma 3, ha messo in
questione il rapporto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare,
regolato in precedenza dall’art. 49 comma 3 c.p.p. del 1930 con la previsione
che “Nel caso di connessione fra procedimenti di competenza dell’Autorità
giudiziaria ordinaria e procedimenti di competenza … dei tribunali militari,
la competenza per tutti appartiene al giudice speciale”.

Dopo un’iniziale incertezza (ved. Sez. un. 1° aprile 1948, Gramigna) la
giurisprudenza della Cassazione aveva concluso che la disposizione del terzo
comma dell’art. 49 cit. era stata abrogata per l’incompatibilità con la
disposizione costituzionale e che quindi doveva trovare applicazione la regola
generale contenuta nel primo comma dello stesso articolo, a norma del quale “Se
i procedimenti connessi appartengono alcuni alla competenza dell’Autorità
giudiziaria ordinaria e altri alla competenza dei giudici speciali … è
competente per tutti il giudice ordinario” (ved. Sez. un., 12 maggio 1951,
Barosini; Sez. un., 17 gennaio 1953, AA. P.M.; Sez. un., 4 luglio 1953,
Celestini).

Il rapporto tra le due giurisdizioni ha trovato successivamente una disciplina
legislativa più articolata nell’art. 8 l. 23 marzo 1956, n. 167, che ha
sostituito l’art. 264 del codice penale militare di pace nei termini seguenti:
“[1]Tra i procedimenti di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria e i
procedimenti di competenza dell’autorità giudiziaria militare si ha connessione
solamente quando essi riguardano delitti commessi nello stesso tempo da più
persone riunite o da più persone anche in tempi e luoghi diversi, ma in
concorso tra loro, o da più persone in danno reciprocamente le une delle altre,
ovvero delitti commessi gli uni per eseguire o per occultare gli altri o per
conseguirne o assicurarne, al colpevole o ad altri, il prezzo, il prodotto o la
impunità. ” [2] Nei casi preveduti nel comma precedente è competente per tutti
i procedimenti l’autorità giudiziaria ordinaria. Non di meno la Corte di
cassazione, su ricorso del pubblico ministero presso il giudice ordinario o
presso il giudice militare, ovvero risolvendo un conflitto, puo’ ordinare, per
ragioni di convenienza, con sentenza, la separazione dei procedimenti. ” [3] Il
ricorso ha effetto sospensivo”.

L’art. 264 c.p.m.p. ha formato oggetto di varie questioni di legittimità
costituzionale, che hanno indotto la Corte costituzionale a delineare con
successive decisioni la portata normativa dell’art. 103, comma 3, Cost. In
sintesi, e per quanto qui interessa, la Corte ha ritenuto che la giurisdizione
riconosciuta dalla norma costituzionale in tempo di pace ai tribunali militari
non è inderogabile, sicchè anche procedimenti che sarebbero di competenza del
giudice militare possono essere attribuiti dal legislatore al giudice ordinario,
quando gli stessi sono connessi con procedimenti di competenza di questo (C.
cost., 8 aprile 1948, n, 29), mentre è escluso che procedimenti di competenza
del giudice ordinario possano essere attribuiti al giudice militare per ragioni
di connessione.

L’attribuzione al giudice ordinario dei procedimenti di competenza del giudice
militare è rimessa alla discrezionalità del legislatore e dunque alla sua
valutazione sulle ragioni della connessione e sulla opportunità del simultaneus
processus, ed è per questa ragione che è stata ritenuta compatibile con l’art.
3 Cost. la norma dell’art. 264 c.p.m.p., anche se non consentiva la trattazione
congiunta davanti al giudice ordinario nei casi di connessione derivanti dal
concorso formale o dalla continuazione di reati commessi da persona appartenente
alle Forze armate e rientranti alcuni nella cognizione del giudice ordinario e
altri a in quella del giudice militare (C. cost., 28 luglio 1976, n. 196; C.
cost., 20 maggio 1980, n. 73). Secondo la Corte infatti l’art. 264 c.p.m.p.
aveva “dovuto contemperare esigenze diverse ed opposte, entrambe presenti
nell’ordinamento giuridico: assicurando, da un lato, la congiunta cognizione dei
casi per i quali risultava impossibile o comunque inopportuno mantenere separati
i procedimenti; ma anche garantendo, d’altro lato, la competenza del giudice
normalmente ritenuto più idoneo a risolvere determinate specie di
controversie”, nel presupposto della maggiore idoneità del giudice militare a
conoscere dei procedimenti normalmente attribuiti alla sua giurisdizione
(C.cost., 20 maggio 1980, n. 73).

2. Il codice di rito vigente ha modificato radicalmente la disciplina della
connessione tra reati di competenza del giudice ordinario e reati di competenza
del giudice militare, quasi capovolgendola. L’art. 13, comma 2, c.p.p. infatti
stabilisce che “Fra reati comuni e reati militari la connessione dei
procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello
militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall’art. 16, comma 3. In tale
caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario”. Ne risulta
cosi’ una regolamentazione nella quale, da un lato, rientrano i casi, prima non
previsti, del concorso formale e del reato continuato (costituendo ipotesi di
connessione comprese nell’art. 12, comma 1, lett. b c.p.p.), relativi a reati
comuni e reati militari, ma “soltanto quando il reato comune è più grave di
quello militare”, e, dall’altro, sono esclusi casi già previsti dall’art. 264
c.p.m.p., come quelli dei delitti commessi da più persone “in concorso tra
loro, o da più persone in danno reciprocamente le une delle altre”.

Gli autori che hanno commentato la nuova disposizione hanno generalmente
ritenuto che essa regolasse interamente la materia, con l’effetto di abrogare, a
norma dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, quella precedente
dell’art. 264 c.p.m.p., e nello stesso senso si è inizialmente orientata la
giurisprudenza della Corte di cassazione. La prima espressione di questo
orientamento è rappresentata da Sez. I, 23 novembre 1995, De Marco, che, in
presenza di un’imputazione di furto militare aggravato commesso in concorso con
un civile, ha ritenuto infondata un’eccezione di difetto di giurisdizione del
tribunale militare senza dubitare che ormai la regola sui rapporti tra
giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare per ragioni di connessione
fosse rinvenibile unicamente nell’art. 13, comma 2, c.p.p. L’attribuzione al
tribunale militare del furto militare commesso in concorso con un civile è
stata infatti giustificata con la considerazione che “la connessione d

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