Responsabilità medica. L’affermazione del nesso causale non può fondarsi soltanto sul calcolo statistico – CASSAZIONE PENALE, Sezione IV, Sentenza n. 12894 del 12/04/2006
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DELITTI CONTRO LA PERSONA ”
OMICIDIO COLPOSO ” RSPONSABILITA’ ” CONDOTTA OMISSIVA DEL MEDICO ” NESSO CAUSALE
” LEGGI STATISTICHE.
Nell’accertamento del nesso causale tra la
condotta omissiva del medico e l’evento letale incorso al paziente, le leggi
statistiche sono uno degli elementi di valutazione che il giudice deve prendere
in esame unitamente a tutte le altre emergenze del caso concreto, sicchè
l’affermazione del nesso causale non puo’ fondarsi soltanto sul calcolo
statistico ma deve trovare giustificazione nell’apprezzamento di tutti gli
specifici fattori che connotano la vicenda concreta. La Corte chiarisce che il
giudice, movendo dalle leggi statistiche, deve verificare se esse siano
adattabili al caso in esame, prendendo in considerazione le caratteristiche
specifiche capaci di smentire in concreto l’efficacia esplicativa, e verificando
altresi’ se siano compatibili con l’età, il sesso, le condizioni generali del
paziente, con eventuali altri fenomeni morbosi, con la sensibilità individuale
ad un determinato trattamento farmacologico.
La vicenda
II GIP presso il Tribunale
di Lametia Terme con sentenza del 17 luglio 2002 assolveva,
con la formula perchè il fatto non sussiste, il dott. V. P., primario della
divisione di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale di Soveria Mannelli, e il
dott. V. F., responsabile pro tempore del predetto reparto, dal reato di
omicidio colposo in danno di G. I., gestante, ivi ricoverata con i sintomi di un
parto prematuro, a far data dal 13 maggio 1999 e deceduta il 16 dello stesso
mese, a causa della sindrome denominata "coagulopatia intravasale disseminata
(CID) seguita da shock emorragico con danno ipossico generalizzato.
Si era contestato agli
imputati di aver cagionato per negligenza, imperizia ed imprudenza la morte di
I. G.
Anche il Giudice di primo
grado aveva assolto entrambi i medici dall’imputazione loro ascritta per
mancanza del nesso causale tra l’evento morte e la condotta degli imputati.
A seguito dell’appello
avanzato dal P.M, e dalle parti civili, la Corte di Appello di Catanzaro
riformava la sentenza di primo grado, assolvendo il V.P. con la formula per non
avere commesso il fatto, ma dichiarando il V.F. responsabile del reato
ascrittogli e, concessegli le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di
mesi otto di reclusione, oltre al risarcimento dei danni, da liquidarsi in
separato giudizio.
I giudici di appello
ritenevano il dott. V.P. esente da colpa.
Secondo la Corte
territoriale, invece, doveva ritenersi sussistente il nesso di causalità tra le
omissioni colpevoli, contestate e ritenute dimostrate, tutte riconducibili al
V.F., responsabile dei reparto, in assenza del primario, e la morte della
paziente.
Avverso la predetta
decisione propone ricorso per cassazione V.F. articolando un unico complesso
motivo con il quale deduce la violazione di legge e la carenza ed illogicità
della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità.
Avverso la predetta
decisione propone ricorso per cassazione V.F.
II ricorrente sostiene che
i giudici di merito avrebbero errato nell’individuare la sussistenza del nesso
eziologico tra il suo comportamento ed il decesso della paziente, non tenendo
conto della interferenza di decorsi causali alternativi e deducendo,
"automaticamente", dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge
statistica la conferma dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso
causale, violando il dovere loro imposto di verificarne la validità nel caso
concreto.
La questione di diritto
sollevata
La questione sottoposta
all’attenzione della Suprema Corte è valutare se, nell’accertamento del nesso
causale tra la condotta omissiva del medico e l’evento letale incorso al
paziente, il giudice possa utilizzare le leggi statistiche come uno degli
elementi da cui trarre l’esistenza del nesso causale.
La responsabilità medica
è, forse, il tipo di responsabilità che ha il campo di applicazione più
ampia, investendo vari settori del diritto (v. responsabilità amministrativa,
danno da responsabilità contrattuale ex art.1218 c.c., professionale ex art.2236
c.c., da fatto illecito ex art.2043 c.c., danno esistenziale nell’ambito civile
e la responsabilità penale).
Tuttavia, il campo di
maggiore rilevanza e problematicità della responsabilità medica è senza
dubbio quello penale, per le problematiche sottese ai reati omissivi impropri,
il nesso di causalità e le c.d. scriminanti non codificate.
Con particolare riferimento
ai reati omissivi impropri si parla per il medico di una forma specifica di
responsabilità, diversa da quella generica dell’homo eiusdem contionis et
professionis, poichè più forte.
Il grado della colpa e la
gravità del reato, infatti, variano a seconda che il medico sia uno
specializzando, un generico, uno specialista, un cattedratico, presupponendosi
che le sue conoscenze e la sua capacità di intervenire, in modo giusto,
nell’affrontare una particolare situazione clinica siano molto differenti tra
loro.
La responsabilità sarà
tanto più grave e la sanzione tanto più severa quanto più alto è il grado di
conoscenza del medico, poichè si presuppone che egli abbia elevate capacità
tecniche e conoscenze scientifiche.
Sul punto la Corte ha avuto
ampiamente modo di pronunciarsi (Cass. Sez. 4 n. 8784 21/10/83; Cass. Sez. 4 n.
11007 3/11/94; Cass. Sez. 4 n. 13389 24/11/99).
La più recente
giurisprudenza tende, inoltre, a punire i medici anche nei casi di colpa lieve,
ai sensi dell’art.2236 c.c., secondo cui il medico non è punito solo quando
abbia commesso l’illecito in danno del paziente per dolo o colpa grave, ma anche
nei casi di colpa lieve. Tuttavia al fine di evitare un eccessivo ampliamento
della colpa professionale e far rientrare, cosi’, nell’illecito anche
circostanza dovute non per colpa del sanitario, giurisprudenza e dottrina hanno
ideato una particolare “scriminante non codificata”: l’obbligo di garanzia.
Secondo tale sciminante il
medico non sarà punito per gli errori non dovuti a colpa professionale quando,
ai sensi dell’art.13 DLGS 196/03 e degli artt. 27, 32 Cost., avrà
dettagliatamente informato il paziente circa la diagnosi, lo svolgimento delle
terapie, i rischi, le eventuali complicazioni, la durata della degenza pre e
post terapia ed il decorso post-ospedaliero.
Dopo aver ottenuto il
consenso, si ritiene che il degente si sia accollato tutti i rischi, salvo
quelli ex art.2236 c.c., ed il medico sarà esonerato da qualsiasi ulteriore
responsabilità.
In caso contrario il
sanitario che violi tale obbligo potrà essere ritenuto responsabile dei reati
di violenza privata, lesione etc.
Altro punto focale per la
individuazione della colpa professionale è il nesso di causalità tra l’evento
e la condotta del sanitario, la cui esistenza è fondamentale ai fini della
colpa dello stesso.
In linea generale il nesso
o rapporto di causalità, nella schematizzazione del reato, è il rapporto che
unisce il comportamento assunto dal colpevole nel commettere un reato (condotta)
alla conseguenza dannosa (evento).
L’accertamento del nesso di
causalità è indispensabile per fondare un giudizio di colpevolezza o di
innocenza in quanto permette di affermare (o escludere) che la condotta è la
causa dell’evento dannoso.
In molte ipotesi riesce
particolarmente difficile accertare se l’evento sia stato determinato da una
certa condotta: specie quando l’evento, cioè l’effetto, puo’ essere attribuito
a più di una causa ” come accade spesso in nelle ipotesi di colpa professionale
”
La dottrina ha individuato,
nel tempo, diverse e contrastanti correnti di pensiero che si sono succedute
negli ultimi decenni.
Si ritenne, inizialmente,
applicabile la teoria della “causalità od eliminazione logica della causa”,
seconda la quale se omettendo mentalmente il comportamento, negligente o doloso,
del medico il paziente sarebbe ugualmente morto, il sanitario non doveva
considerarsi responsabile di tale evento.
Si passo’, poi, alla
“teoria della probabilità”, in base alla quale, se vi era anche una minima
probabilità che il paziente non subisse quel dato evento lesivo, il medico era
da considerarsi ugualmente responsabile, anche se aveva agito con la massima
diligenza.
Si giungeva cosi’ ad un
vero paradosso, contrario ai più elementari principi del diritto penale.
Infatti si giungeva ad una
declaratoria di colpevolezza, solo perchè la possibilità del verificarsi
dell’evento era del 25 % ed il paziente rientrava in tale percentuale, senza
accertarsi dell’eventuale esistenza di fattori che potessero escludere la colpa
del sanitario. Solo con la sentenza della S.C.n.30328/02, la c.d. sentenza
Franzese, si stabili’ che tale percentuale dovesse essere la più prossima
possibile al 100%.
Tuttavia anche tale
corrente di pensiero non permette di risolvere le problematiche, poichè
egualmente contraria al principio di legalità, dell’autodeterminazione e della
personalità della responsabilità penale.
La dottrina e la
giurisprudenza più recente ritengono di aver superato tale problematica con la
“teoria della sussistenza”, secondo cui si deve ritenere responsabile il medico
solo se l’evento che colpisce il paziente è sussumibile sotto qualche legge
scientifica, altrimenti andrà esente da colpa. Anche questa corrente di
pensiero, tuttavia, lascia molti dubbi irrisolti.
Sarà, pertanto, il
Giudice, valutando il caso sottopostogli in ogni sua circostanza, a dove
valutare, di volta in volta, l’esistenza o meno di un nesso causale tra la
condotta del sanitario e l’evento lesivo.
La soluzione adottata dalla
Corte
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