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Divieto di divulgazione di notizie riservate tutelato da segreto d’ufficio – CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 30148 del 24/07/2007

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La Cassazione
ritorna ad occuparsi del delicato rapporto tra diritto di accesso e segreto
d’ufficio. E lo fa ribadendo un consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo cui  il divieto di divulgazione di notizie riservate tutelato da segreto
d’ufficio comprende non solo informazioni sottratte all’accesso ma anche, tra le
notizie accessibili, quelle che non possono essere date alle persone che non
hanno diritto di riceverle, sia quelle svelate a soggetti non titolari del
diritto di accesso o senza il rispetto delle modalità previste.

 


CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 30148 del 24/07/2007

 

il
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avezzano ricorre contro la
sentenza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale di Avezzano ha assolto
L.A. e L. A. dai delitti loro rispettivamente ascritti di rivelazione dei
segreti d’ufficio e diffamazione, perchè il fatto non sussiste;

che,
quanto ad L.A., imputata di entrambi i delitti, il Tribunale ha rilevato univoci
elementi per i quali non era in discussione l’attribuzione a lei della condotta
di rivelazione dei segreti d’ufficio, mediante la fotocopia di una relazione di
servizio 5 dicembre 2000 del Comandante dei N.A.S. di Pescara inviata al Sindaco
di Tagliacozzo con la quale si sollecitavano provvedimenti nei confronti di P.G.,
titolare di un forno adiacente l’abitazione dei L., anche di chiusura
dell’esercizio commerciale per l’eliminazione delle carenze igienico – sanitarie
riscontrate;

che L.A.,
in servizio presso l’ufficio protocollo del Comune, aveva fotocopiato tale
relazione e consegnata al padre LA.Al., il quale da diversi anni aveva in corso
controversie civili con P.G. relative a rapporti di vicinato;

che LA.Al.,
in concorso con la figlia, utilizzava indebitamente poi tale relazione per
presentare un esposto nei confronti di P.G. alla Camera di Commercio
dell’Aquila, in tal modo offendo a reputazione di P.;

che, ad
avviso del Tribunale, non era configurabile il delitto di rivelazione di segreti
d’ufficio, in quanto, nonostante il dovere dei pubblici dipendenti di non
trasmettere a chi non ne abbia il diritto informazioni riguardanti provvedimenti
o operazioni amministrative in corso, L.A., i ragione delle controversie in sede
civile e amministrativa con P., aveva diritto ad accedere, con le modalità
previste dalla L. n. 241 del 1990,
al contenuto della relazione del NAS, strumentale alla tutela delle proprie
posizioni;

che,
rileva il Tribunale, la violazione del dovere di segretezza non puo’ riguardare
la divulgazione di documenti in favore di coloro ai quali i documenti de quibus
siano accessibili e abbiano di ritto ad averne conoscenza;

che il
giudice di primo grado ritiene non integrato il delitto di rivelazione di
segreto d’ufficio, per il quale è richiesto un pericolo effettivo correlato
alla divulgazione dell’informazione riservata, e, per ragioni connesse
all’esercizio del diritto di fare valere pretese volte a ottenere l’adozione di
provvedimenti amministrativi, non configurabile il delitto di diffamazione,
rispetto al quale peraltro non avrebbero avuto rilievo le modalità attraverso
le quali L.A. e L.A. si sono procurati il documento divulgato con l’esposto;

che il
Procuratore della Repubblica deduce la violazione di legge in relazione alla non
corretta applicazione della norma incriminatrice, in quanto il giudice di primo
grado avrebbe costruito un dovere di segretezza "relativo", attraverso un
principio tratto parzialmente da una decisione della Corte di legittimità, nel
senso che sia valido per i dipendente pubblico solo nei confronti di soggetti
non astrattamente riconducigli nel novero dei portatori di un interesse
all’accesso, interesse liberamente e autonomamente valutabile dallo stesso
soggetto agente per liberarsi dal dovere di segretezza giuridicamente imposto,
senza tenere conto, come è accaduto nella fattispecie concreta, della
conoscenza de documento de quo da parte dell’autorità amministrativa al quale
era diretto e della circostanza che il soggetto interessato ad avere una copia
del documento fosse il padre di L.A.;

che
altrettanto illegittima è stata l’assoluzione dal delitto di diffamazione, in
quanto l’illecita disponibilità del documento – indirizzato ad altra e diversa
autorità – poi utilizzato per portare a conoscenza di circostanze in esso
contenute a un organo estraneo al vicenda amministrativa e, in ogni caso, non
destinatario delle richieste specifiche formulate dal NAS, senza dubbio
costituiva elementi per la configurazione della diffamazione di P. G.;

che tale
è la sintesi ex art. 173 disp. att. c.p.p.,
comma 1, delle questioni poste.

Motivi
della decisione

Che:

il delitto
di rivelazione di segreti d’ufficio ha come fondamento giuridico il dovere del
pubblico dipendente di non divulgare notizie delle quali sia venuto a conoscenza
nell’esercizio delle funzioni pubbliche sino a quando la loro diffusione non sia
legittimamente ammessa e non soltanto le notizie sottratte in ogni tempo e nei
confronti di chiunque alla divulgazione;

che questa
Corte si è espressa nel senso, condiviso dal Collegio, secondo cui ai fini
della rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio da parte degli impiegati
dello Stato, il contenuto dell’obbligo la cui violazione è sanzionata
dall’art. 326 c.p.
, deve essere
desunto dal nuovo testo del D.P.R. 10
gennaio 1957, n. 3, art. 15
, come sostituito dal L. 8 giugno 1990,
n. 241, art. 28, recante nuove norme in tema di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi e da tale disposizione emerge che
il divieto di divulgazione comprende non soltanto informazioni sottratte
all’accesso, ma anche, nell’ambito delle notizie accessibili, quelle
informazioni che non possono essere date alle persone che non hanno il diritto
di riceverle, in quanto non titolari dei prescritti requisiti;

che, in
tale contesto normativo, la nozione di "notizie d’ufficio, le quali debbono
rimanere segrete" assume non soltanto il significato di informazione sottratta
alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quello di
informazione per la quale la diffusione (pur prevista in un momento successivo)
sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, nel momento in cui viene
indebitamente diffusa, perchè svelata a soggetti non titolari del diritto o
senza il rispetto delle modalità previste (Sez. 6, 4 marzo 1998, dep, 24 giugno
1998, n. 7483, rv. 211244);

che il
bene protetto dalla disposizione incriminatrice che qui viene in esame va
individuato nel normale funzionamento della pubblica amministrazione, il quale
è una proiezione dei valori di rango costituzionale di cui
all’art. 97 Cost.
, e si
estrinseca, in concreto, anche attraverso l’osservanza del segreto d’ufficio
inerente al rapporto funzionale che intercorre tra il pubblico funzionario e
l’amministrazione di appartenenza, proprio perchè tale segreto costituisce uno
strumento per garantire l’efficacia dell’azione dell’ente pubblico, che potrebbe
rimanere pregiudicata dalla rilevazione del contenuto degli atti, soprattutto
quanto incidono su interessi antagonisti o concorrenti con quelli pubblici;

che, con
l’entrata in vigore della L. n. 241 del
1990
e l’introduzione del principio generale della trasparenza dell’attività
della pubblica amministrazione, la violazione del dovere di segretezza va
correlata non tanto alla qualità del soggetto agente, quanto piuttosto alla
natura delle notizie rivelate, e cio’ perchè assume primaria importanza anche
l’esigenza di tutelare – con la sanzione penale – il dovere di fedeltà del
funzionario, ancorchè strumentalmente alla garanzia di buon funzionamento
dell’amministrazione;

che il
dovere di segretezza in capo al soggetto attivo costituisce il presupposto del
reato e la notizia d’ufficio deve rimanere segreta, vale a dire non essere
palesata ad altri che non abbiano diritto a conoscerla, tutte le volte che il
pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio abbia l’obbligo
giuridico di non rivelarla;

che non
puo’ che essere, dunque, riaffermato il principio secondo cui il divieto di
divulgazione comprende non soltanto informazioni sottratte all’accesso, ma
anche, nell’ambito delle notizie accessibili, quelle informazioni che non
possono essere date alle persone che non hanno il diritto di riceverle, sia
quelle svelate a soggetti non titolari del diritto di accesso o senza il
rispetto delle modalità previste;

che il
ricorso e, pertanto, fondato in relazione al delitto di rivelazione del segreto
d’ufficio e altrettanto fondato in relazione alla diffamazione realizzata
attraverso l’illecito utilizzo di un documento prima che fosse esaminato dall’autorità
cui era diretto e inoltrato a un organo, come rilevato dal ricorrente, non
competente ad adottare i provvedimenti richieste e al solo scopo di divulgare
notizie sottratte alla conoscibilità di soggetti estranee alla procedura in
corso;

che,
pertanto, la sentenza impugnata va annullata e rinviata per un nuovo giudizio
alla Corte d’appello di l’Aquila, competente ex art. 569, comma 4, c.p.p.


PQM

Annulla la
sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello Dell’Aquila per il giudizio.

 

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