CivileGiurisprudenza

Inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi con la quale si lamenti la lesione del contraddittorio – Cassazione Civile, Sentenza 22279/2010

Nel caso in esame, l’atto di pignoramento immobiliare era stato notificato ai debitori a mezzo del servizio postale in luogo diverso dalla residenza anagrafica ed effettiva dei destinatari, non era stato ritirato direttamente dagli stessi e non era stata data loro comunicazione dell’avvenuto deposito dei pieghi presso l’ufficio postale, seppur diverso da quella della propria residenza. Eccepivano, tra l’altro, mediante proposizione di opposizione agli atti esecutivi, la violazione del principio del contraddittorio non avendo avuto alcuna contezza dell’atto di pignoramento  e dei successivi atti sino alla diffida a rendere il conto, nella qualità di custodi nominati ex lege.

La Corte di Cassazione, però, ha chiarito che le dedotte nullità non integrano, contrariamente all’assunto dei ricorrenti, violazioni del principio del contraddittorio.

Secondo i supremi giudici, infatti, Nel processo esecutivo non è configurabile un formale contraddittorio nel significato e con le caratteristiche di quello che si instaura nel processo di cognizione, considerato, da un canto, che le attività che si compiono nel processo esecutivo non sono dirette all’accertamento in senso proprio di diritti, ma alla loro realizzazione pratica sulla base di un preesistente titolo esecutivo, e, dall’altro, che proprio la esistenza di un titolo esecutivo pone il creditore precedente in situazione privilegiata rispetto al debitore esecutato nel senso che a quest’ultimo non è dato contestare l’azione esecutiva in via di eccezione come avviene per il convenuto nel giudizio di cognizione, ma soltanto di avvalersi del rimedio dell’opposizione che determina un giudizio di cognizione distinto dal processo di esecuzione.

E dunque sfugge a qualsiasi censura la decisione impugnata, la quale ha ribadito che è inammissibile l’impugnazione di un atto dell’esecuzione con la quale si lamenti la mera lesione del contraddittorio, senza prospettare le ragioni per le quali tale lesione abbia comportato la ingiustizia del processo, causata dalla impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette.

(Litis.it, 10 Dicembre 2010)

Cassazione Civile, Sezione Terza, Sentenza n. 22279 del 02/11/2010

Svolgimento del processo

Con sentenza 24-25 gennaio 2006 il Tribunale di Potenza dichiarava inammissibile, in quanto tardiva, la opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., proposta nell’ambito di una esecuzione immobiliare da [OMISSIS] e [OMISSIS] – con l’intervento di [OMISSIS], in proprio e quale legale rappresentante della [OMISSIS] s.r.l. -. Il Tribunale osservava che il termine di cinque giorni per far valere vizi della notificazione dell’atto di pignoramento decorreva, in ogni caso, dal 7 marzo 2001, cioè dalla data in cui gli opponenti avevano dichiarato di aver ricevuto la notifica della diffida a rendere il rendiconto, atto – questo – che presupponeva necessariamente l’esistenza del pignoramento. Sotto altro profilo, il
Tribunale osservava che l’opposizione ex art. 617 c.p.c., basata sul difetto di instaurazione del contraddittorio nell’ambito di una procedura esecutiva, è inammissibile a meno che non vengano palesate eventuali – e precise lesioni – di situazioni giuridiche protette: ipotesi, questa, non realizzatasi nel caso di specie, nel quale gli opponenti avevano dedotto di non aver ricevuto la notifica del pignoramento immobiliare e della successiva udienza di comparizione. Quanto all’opposizione alla esecuzione, la stessa doveva essere rigettata perché con la opposizione ex art. 615 c.p.c. possono essere fatti valere solo fatti impeditivi, modificativi o estintivi del rapporto consacrato nel provvedimento costituente il titolo esecutivo, purché essi siano successivi alla definitività di questo ultimo: ipotesi, questa, non verificatasi nel caso di specie. Quando, come nel caso di specie, l’opposizione riguardi l’esecuzione posta in essere sulla base di un titolo giudiziale (nel caso di specie: decreto ingiuntivo) il giudice dell’esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo esecutivo giudiziario, diretto cioè ad invalidarne l’efficacia in base ad eccezioni che avrebbero dovuto essere dedotte nel giudizio definito con il titolo esecutivo, dovendosi egli limitarsi a controllare la eventuale validità ed esistenza del titolo stesso.

Avverso tale decisione i B. hanno proposto ricorso per cassazione, sorretto da tre motivi, illustrati da memoria.

Resistono con distinti controricorsi [OMISSIS] s.p.a. – e [OMISSIS] s.r.l.

Motivi della decisione.

Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano “error in procedendo” per violazione del principio di rispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Nel ricorso in opposizione agli atti esecutivi, gli attuali ricorrenti avevano, innanzi tutto, richiesto al giudice adito di provvedere in ordine alla declaratoria di inesistenza, nullità ed improcedibilità della domanda e del relativo giudizio di espropriazione immobiliare per inesistenza e/o nullità e/o inefficacia degli atti di pignoramento immobiliare inoltrati mediante notificazione a mezzo del servizio postale. Il Tribunale aveva omesso ogni pronuncia al riguardo, limitandosi a rilevare che la opposizione agli atti esecutivi era da considerare tardiva, in quanto proposta oltre il termine di cinque giorni, previsti dall’art. 617 c.p.c., decorrenti dalla notificazione della diffida a rendere il rendiconto. Il vizio di omessa pronuncia era tale da determinare la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Con il secondo motivo, si deduce nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di legge, relativamente agli articoli 112, 156, 159, 492, 555, 617 e 618 c.p.c. La costituzione in giudizio dei ricorrenti – debitori esecutati – pur potendo, in ipotesi, sanare il difetto di notificazione dell’atto di pignoramento, non aveva comunque sanato la mancata intimazione di cui all’art. 492 c.p.c., che nel caso di specie non era stata rivolta dall’ufficiale giudiziario agli interessati.

Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di legge relativamente agli articoli 112, 139, 149, 156, 159, 492, 555, 617 e 618 c.p.c., ed art. 8 legge 890 del 1982. Le parti ricorrenti non avevano avuto alcuna contezza dell’atto di pignoramento (che doveva necessariamente ricomprendere la intimazione ex art. 492 c.p.c.), e dei successivi atti sino alla diffida a rendere il conto, nella qualità di custodi nominati ex lege, essendo state eseguite le notificazioni di tali atti, in dispregio delle disposizioni normative di cui agli artt. 139 e 149 c.p.c. L’atto di pignoramento immobiliare era stato notificato a G. B., B. B. e a N. B. a mezzo del servizio postale in luogo diverso dalla residenza anagrafica ed effettiva dei destinatari, non era stato ritirato direttamente dagli stessi, non era stata data loro comunicazione dell’avvenuto deposito dei pieghi presso l’ufficio postale, seppur diverso da quella della propria residenza.

Osserva il Collegio: I motivi esposti possono essere esaminati congiuntamente essendo le censure connesse ed interdipendenti e finalizzate tutte al riconoscimento dell’asserita nullità del processo esecutivo.

Osserva la Corte che non è anzitutto ravvisabile il presupposto delle conseguenze pregiudizievoli lamentate dai ricorrenti e cioè la mancata conoscenza della procedura esecutiva a loro carico. La Corte territoriale ha correttamente rilevato che le dedotte nullità, invero, non integrano, contrariamente all’assunto dei ricorrenti, violazioni del principio del contraddittorio perché nel processo esecutivo non è configurabile un formale contraddittorio nel significato e con le caratteristiche di quello che si instaura nel processo di cognizione, considerato, da un canto, che le attività che si compiono nel processo esecutivo non sono dirette all’accertamento in senso proprio di diritti, ma alla loro realizzazione pratica sulla base di un preesistente titolo esecutivo, e, dall’altro, che proprio la esistenza di un titolo esecutivo pone il creditore precedente in situazione privilegiata rispetto al debitore esecutato nel senso che a quest’ultimo non è dato contestare l’azione esecutiva in via di eccezione come avviene per il convenuto nel giudizio di cognizione, ma soltanto di avvalersi del rimedio dell’opposizione che determina un giudizio di cognizione distinto dal processo di esecuzione. E dunque sfugge a qualsiasi censura la decisione impugnata, la quale ha ribadito che è inammissibile l’impugnazione di un atto dell’esecuzione con la quale si lamenti la mera lesione del contraddittorio, senza prospettare le ragioni per le quali tale lesione abbia comportato la ingiustizia del processo, causata dalla impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette.

La sentenza impugnata non presenta alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (né “errores in procedendo”) in quanto l’accoglimento della eccezione di tardività della opposizione risulta essere assorbente di ogni altra domanda e/o eccezione. Si richiama sul punto la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “L’inosservanza del termine perentorio di cui all’art. 617 cod. proc. civ. per l’opposizione agli atti esecutivi comporta l’inammissibilità dell’opposizione proposta, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità”. (Cass. 20 febbraio 2004 n. 3404). L’inesistenza di un atto del processo di esecuzione si riverbera sull’atto successivo, che risulta radicalmente nullo, ma la nullità può essere fatta valere soltanto con l’opposizione di cu all’art. 617, nel termine di cinque giorni, che, nell’ipotesi di mancata comunicazione o notificazione dell’atto nullo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell’atto successivo che necessariamente lo presuppone. Il momento del compimento dell’atto, dal quale decorre il termine perentorio di cinque giorni di cui all’art. 617 cod. proc. civ. per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, coincide con il momento in cui l’esistenza dell’atto stesso è resa palese alle parti del processo esecutivo, e quindi con il momento in cui l’interessato ha avuto legale conoscenza dell’atto stesso, ovvero di un atto successivo che necessariamente lo presuppone (Cass. 19 luglio 2005 n. 15222, 6 agosto 2001 n. 10841). Nel caso di specie, la costituzione degli odierni ricorrenti è avvenuta ben oltre il termine di cinque giorni, decorrente dal 7 marzo 2001 (data della notificazione della diffida a presentare il rendiconto) e precisamente il 22 giugno 2001, sicché sfugge a qualsiasi censura la conseguente pronuncia di tardività della opposizione.

Ogni altra censura formulata dai ricorrenti rimane assorbita dalle considerazioni che precedono (oltre che dalle osservazioni formulate dalla controricorrente Capitalia Service J.V. s.r.l., in ordine alla regolarità della notificazione dell’atto di pignoramento immobiliare B. e G. B.).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, liquidate in modo differenziato, tenuto conto della attività difensiva svolta dai due controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida, rispettivamente, in euro 2.600,00, in favore di Capitalia, di cui euro 2.400,00, per onorari di avvocato, e di euro 3.200,00 in favore di SGA, di cui euro 3.000,00 per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Depositata in Cancelleria il 2 Novembre 2010

 

 

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