GiurisprudenzaPenale

Se il cane morde, va condannato il prorietario e anche chi lo conduce a spasso – Cassazione Penale, Sentenza n. 8875/2011

In tema di custodia di animali, l’obbligo sorge ogniqualvolta sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l’animale e una certa persona, dal momento che l’art. 672 cod.pen. collega l’obbligo di non lasciare libero l’animale e di custodirlo con le debite cautele al semplice possesso dell’animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto, senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico. Nella situazione di cui è processo è incontroverso che l’imputato avesse, al pari della moglie – proprietaria del cane -, un potere di fatto sull’animale indipendentemente dalla sua proprietà formale e che egli si trovasse sul luogo al momento del fatto.

(Litis.it, 21 Marzo 2011)

Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza n. 8875 del 07/03/2011

Premesso in fatto

Il Giudice di Pace di Ripatransone, con sentenza in data 13 maggio 2009, ha ritenuto [OMISSIS] e [OMISSIS] responsabili del reato di lesioni colpose per avere omesso di custodire con le dovute cautele, portandolo con sé sulla pubblica via senza applicargli la museruola ed il guinzaglio, un cane in loro possesso che mordeva la gamba destra di [OMISSIS], cagionandole delle lesioni dalle quali derivava una malattia guaribile in giorni dieci e li ha condannati alla pena di Euro 300,00 di multa oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile e alla concessione di una provvisionale di Euro 500,00.

Avverso tale decisione ha proposto appello il difensore degli imputati. Il Tribunale di Fermo, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 18.03.2010, confermava la sentenza di primo grado e condannava gli imputati al pagamento delle spese del grado e alla rifusione delle spese alla costituita parte civile [OMISSIS], che liquidava in complessivi Euro 839,25, oltre IVA e CAP come per legge.

Avverso tale sentenza A [OMISSIS] e [OMISSIS], a mezzo del loro difensore, proponevano ricorso per Cassazione e concludevano chiedendone l’annullamento con o senza rinvio.

All’udienza pubblica del 3/02/2011 il ricorso era deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Ritenuto in diritto

I ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli articoli 40, comma secondo, 113 cod.pen. e all’art.27, comma primo Cost Secondo la difesa dei ricorrenti erroneamente il Tribunale aveva affermato la responsabilità di entrambi gli imputati, ritenendo che entrambi avessero un potere di fatto sull’animale perché lo stesso viveva in famiglia.

Invece, avendo la sola [OMISSIS] dichiarato di essere la proprietaria del cane, producendo altresì a tal fine documentazione, e non avendo delegato il [OMISSIS] a custodirlo, soltanto lei sarebbe l’unica destinataria del precetto di cui all’articolo 672 cod. pen.

2) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla sussistenza del nesso causale (art. 606 lett. e) cod.proc.pen.), in quanto la sentenza impugnata non aveva fornito la prova che le lesioni subite dalla P. erano state determinate da un morso di cane, nulla dicendo in proposito il certificato medico, che si era limitato ad attestare quanto riferito dalla persona offesa.

3) Violazione ex art. 606, comma 1, lett.b) in relazione all’art. 523, comma 2 e all’art. 538, comma 2, cod.proc.pen., in quanto la parte civile, in sede di conclusioni scritte, aveva modificato, aumentandole, le originarie richieste di danno, ma il giudice di appello, nel riesaminarle, non aveva tenuto conto di tale modificazione, in violazione del principio del contraddittorio ed aveva ritenuto corretta la liquidazione operata dal giudice di Pace.

4) Violazione ex art.606 lett. e) relativamente alla liquidazione del danno, essendo stata liquidata una somma eccessiva in considerazione del fatto che la persona offesa, nello stesso giorno in cui aveva subito le lesioni, aveva svolto le sue normali mansioni e non era stata sottoposta né a fasciature, né a bendaggi, né a sutura della ferita.

I proposti motivi di ricorso sono palesemente infondati.

Per quanto attiene al primo, la sentenza impugnata ha correttamente osservato, citando anche pertinente giurisprudenza di questa Corte, che sussiste la responsabilità anche dell’imputato [OMISSIS] , in quanto, in tema di custodia di animali, l’obbligo sorge ogniqualvolta sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l’animale e una certa persona, dal momento che l’art. 672 cod.pen. collega l’obbligo di non lasciare libero l’animale e di custodirlo con le debite cautele al semplice possesso dell’animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto, senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico. Nella situazione di cui è processo è incontroverso che il [OMISSIS] avesse, al pari della moglie, un potere di fatto sull’animale indipendentemente dalla sua proprietà formale e che egli si trovasse sul luogo al momento del fatto.

Per quanto attiene al secondo motivo, lo stesso ripropone questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta e mira ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al giudice di legittimità.
Nella sentenza oggetto di ricorso appare infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto il Giudice di Pace di Ripatransone prima e il Giudice del Tribunale di Fermo poi a ritenere che [OMISSIS] abbia subito le lesioni indicate nel certificato medico a causa del morso del cane degli imputati. La sentenza impugnata ha infatti correttamente rilevato che le dichiarazioni della persona offesa, che è stata riscontrata affetta da lesioni alla coscia destra e che nei giorni immediatamente seguenti al fatto si è recata a denunciare l’accaduto presso il competente servizio veterinario, la quale ha affermato che nell’occorso il cane degli imputati non aveva né il guinzaglio, né la museruola e che per tale motivo ha potuto aggredirla, sono dotate di assoluta attendibilità e verosimiglianza. Per quanto infine attiene al terzo e al quarto motivo di ricorso che si riferiscono alla liquidazione del danno e all’entità della somma liquidata a tale titolo, si rileva in primo luogo che tale materia attiene strettamente alla competenza del giudice di merito, che fornisce una corretta ed adeguata motivazione, spiegando dettagliatamente le ragioni per cui, anche su tale punto, doveva essere confermata la sentenza di primo grado. Infondato è poi il terzo motivo, laddove i ricorrenti lamentano una modifica delle richieste a titolo di danni effettuata dalla persona offesa in sede di conclusioni scritte, rispetto a quanto richiesto in sede di costituzione di parte civile, trattandosi di una variazione meramente quantitativa del petitum, effettuata sulla base delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, come affermato nello stesso ricorso.

Il ricorsi proposti non vanno in conclusione oltre la mera enunciazione dei vizi denunciati e dunque essi sono inammissibili con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione in solido in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio liquidate in complessivi Euro 1.150,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende, nonché alla rifusione in solido in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio che liquida in complessivi Euro 1.150,00, oltre accessori come per legge.

Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2011

 

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