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La spontanea esecuzione della pronuncia di primo grado non determina acquiescenza – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3196/2011

La spontanea esecuzione della pronuncia di primo grado, immediatamente esecutiva, non determina acquiescenza e, pertanto, non si configura come comportamento idoneo ad escludere la persistenza dell’interesse dell’originario ricorrente alla declaratoria di illegittimità degli atti oggetto del giudizio, che potranno dirsi definitivamente superati dai nuovi atti adottati dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza di primo grado solo allorché le statuizioni di questa siano confermate dal giudice di appello.

(© Litis.it, 30 Maggio 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 3196/2011

FATTO

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano, sez. II, con la sentenza n. 1941 del 9 giugno 2008, respingeva il ricorso proposto dalla Immobiliare Portici S.R.L. per l’annullamento dell’ordinanza 30 aprile 2008 n. 9 (prot. n. 5886), con cui il Sindaco, in via contingibile e urgente, a tutela dell’incolumità pubblica, ha ordinato alla ricorrente di provvedere al rifacimento del manto stradale dell’area di parcheggio di piazza della Repubblica e alla sostituzione degli alimentatori elettrici delle lampade di piazza Tarantelli; nonché degli atti preordinati, connessi e consequenziali e segnatamente quelli richiamati nell’ordinanza (relazione 21.4.2008 Area territorio e ambiente ed “accerta-mento tecnico” 30.4.2008, prot. nr. 5877, della Polizia locale).

Il TAR asseriva che le carenze di illuminazione e manutenzione del manto stradale relative alle aree di cui è causa, soggette a pubblico passaggio, comportano una situazione di pericolo per la pubblica incolumità che è in re ipsa; inoltre, che, in forza della convenzione stipulata il 29 luglio 1981 tra il Comune e la GA.LU.SA s.r.l. per l’attuazione di un piano di recupero, l’obbligo di manutenzione dell’area adibita a parcheggio pubblico è posto in perpetuo a carico del contraente privato e dei suoi aventi causa, indipendentemente dalla formale cessione dell’area a standard.

Pertanto, secondo il TAR, sussisteva un’obbligazione propter rem sul titolare attuale dell’area cui la ricorrente, Immobiliare Portici, odierna appellante, non poteva ritenersi estranea, posto che essa, quale avente causa dalla GA.LU.SA s.r.l. (originaria contraente), per atto in data 12.1.1984, era subentrata in tutti gli obblighi nascenti dall’originaria convenzione 29 luglio 1981, compreso l’obbligo di solidarietà previsto dall’art. 20 della convenzione stessa, secondo cui “in caso di cessione a terzi dei diritti della presente convenzione, la Società GA.LU.SA. resta obbligata in solido col subentrante a norma dell’art. 1274 C.C.

Infine, secondo il TAR, la prescrizione (decennale) di detto obbligo solidale, decorrente dal termine di efficacia della convenzione 29 luglio 1981 (fissato in dieci anni: cfr. art. 16), scadente il 29 luglio 2001, era stata interrotta dall’atto 23 luglio 2001 (notificato il 27 luglio 2001).

Secondo l’appellante il TAR avrebbe omesso di considerare la violazione dell’art. 7 della l. 241 del 1990 e il fatto che la ricorrente sarebbe stata priva di legittimazione, atteso che le unità immobiliari edificate in attuazione della convenzione urbanistica sono state ormai cedute e costituiscono il complesso immobiliare denominato “I Portici” (unico legittimato).

L’appellante contestava ancora la sussistenza di un’obbligazione perpetua a carico della ricorrente, che sarebbe in contrasto con i principi di certezza e determinazione degli obblighi contrattuali; infine, eccepiva la prescrizione dell’obbligo in questione.

Si costituiva l’appellato chiedendo il rigetto dell’appello ed eccependone l’improcedibilità per acquiescenza.

All’udienza pubblica del 3 maggio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, occorre precisare che la spontanea esecuzione della pronuncia di primo grado, immediatamente esecutiva, non determina acquiescenza e, pertanto, non si configura come comportamento idoneo ad escludere la persistenza dell’interesse dell’originario ricorrente alla declaratoria di illegittimità degli atti oggetto del giudizio, che potranno dirsi definitivamente superati dai nuovi atti adottati dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza di primo grado solo allorché le statuizioni di questa siano confermate dal giudice di appello (cfrr. Consiglio di Stato, sez. V, 26 febbraio 2010, n. 1148 e Consiglio di Stato, sez. V, 21 marzo 2011, n. 1728).

Pertanto, l’eccezione proposta dal Comune circa l’acquiescenza fatta dall’appellante alla sentenza di primo grado non è accoglibile.

Nel merito, il Collegio ritiene il ricorso infondato.

Infatti, come precisato nella parte in fatto, in forza della convenzione stipulata il 29 luglio 1981 tra il Comune e la GA.LU.SA s.r.l. per l’attuazione di un piano di recupero, veniva imposto alla società e ai suoi aventi causa un obbligo di manutenzione dell’area adibita a parcheggio pubblico; tale obbligo è indipendente da quello eventualmente gravante sugli acquirenti dell’immobile, costituendo obbligazione di fonte contrattuale liberamente assunta dalla società stipulante la convenzione, opponibile anche ai successivi aventi causa, in forza della stessa clausola contrattuale contenuta nell’art. 20 della predetta convenzione.

In tale clausola si stabilisce espressamene ed inequivocamente che in caso di cessione a terzi dei diritti della convenzione medesima, la società stipulante (la GA.LU.SA s.r.l., originaria contraente) resta obbligata in solido con il subentrante ex art. 1274 c.c.

Successivamente, in data 12.1.1984, l’originaria contraente aveva ceduto all’odierna appellante tutti gli immobili oggetto della Convenzione e del relativo Piano di Recupero comunale, subentrando in tutti gli obblighi nascenti dall’originaria convenzione 29 luglio 1981, compreso l’obbligo di solidarietà previsto dall’art. 20, ed anzi impegnandosi con tale atto di cessione del 1984 espressamente a rispettare gli obblighi nascenti dalla predetta convenzione del 1981.

Già nel 1992, il Comune aveva contestato alcune inadempienze a carico della società appellante, con atto di diffida e messa in mora (doc. 4 del Comune, nel fascicolo di primo grado); anche successivamente il Comune aveva reiterato tali diffide con atto 23.7.2001 e 11.5.2005.

Pertanto, risulta indubitabile la sussistenza di un obbligo di manutenzione a carico della odierna appellante, obbligo che da lungo tempo è rimasto inadempiuto e che discende dall’originaria convenzione e dalla stessa espressa volontà dell’appellante stessa di sottostarvi nel momento in cui, nel 1984, come detto, ha provveduto ad acquisire gli immobili per cui è causa dall’originaria acquirente.

Né può essere opposta un’inosservanza delle norme circa l’omesso avviso di avvio del procedimento, in quanto le suddette, plurime, lettere di diffida e messa in mora, come detto, avevano ormai messo sull’avviso l’appellante della questione per cui è causa, contestando l’inadempimento degli obblighi oggetto dell’ordinanza impugnata.

Né può ritenersi che tale obbligo, come eccepisce l’appellante, sia da considerarsi inammissibilmente in perpetuo; infatti, l’obbligo originario era comunque sottoposto ad un termine coincidente con la scadenza della convenzione (dieci anni dalla stipula) e, dunque, non può certo qualificarsi come obbligo perpetuo.

Nel caso di specie, inoltre, come ha rilevato correttamente il TAR, la prescrizione decorre dalla scadenza della convenzione (ulteriori dieci anni), quindi, in data 29 luglio 2001.

Tale termine risulta, però, interrotto più volte dalle lettera di diffida e messa in mora da parte dell’amministrazione: la prima volta nel 1992 (atto 23 luglio 2001, notificato in data 27 luglio 2001); successivamente, come detto, con atti 23.7.2001 e 11.5.2005.

Tali circostanze comportano, quindi, la reiezione dell’eccezione di prescrizione (decennale) proposta dalla parte appellante.

Ciò determina, di conseguenza, la reiezione dell’appello e, per l’effetto, la conferma della sentenza di primo grado.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Calogero Piscitello, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Adolfo Metro, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 27/05/2011

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