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Provvedimeneto prefettizio antimafia. Non basta trasferire la sede della società – Consiglio di Stato, Sentenza n. 2996/2011

Una società operante nel settore dello smaltimento dei rifiuti, già destinataria di informativa antimafia a carattere interdittivo in quanto ritenuta vicina e permeabile ai condizionamenti della criminalità di stampo mafioso, non supera i profili di criticità in ordine alla contiguità con tali ambienti sol per il fatto che abbia trasferito la sua sede a Roma, ovvero che le quote sociali e l’amministrazione della società siano state trasferite in capo al figlio dell’originario titolare.

(© Litis.it, 6 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 2996 del 20/05/2011

FATTO e DIRITTO

1. E’ impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 20719 del 30 dicembre 2005, che ha respinto il ricorso (r.g. n. 5350/05) proposto dalla s.r.l. S.P.U.MAR avverso la nota dell’Ufficio territoriale del Governo di Napoli del 16 marzo 2005, recante la conferma del provvedimento prefettizio interdittivo del 29 gennaio 2004, nonché i motivi aggiunti proposti dalla stessa società avverso la successiva nota prefettizia del 16 marzo 2005, con cui, in esito alla istanza di aggiornamento presentata dalla società, è stato confermato il provvedimento interdittivo adottato in relazione all’appalto del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani del Comune di Crispano nonché del verbale del Gruppo ispettivo antimafia del 16 marzo 2005.

2. La società appellante censura la erroneità della gravata sentenza di rigetto ed insiste nel sostenere la carenza motivazionale e istruttoria sottesa agli atti gravati, recanti il nuovo diniego di liberatoria antimafia; deduce la illogicità, anche nei nuovi provvedimenti negativi, dell’ordito motivazionale che aveva accompagnato il primo provvedimento interdittivo, e ciò nonostante il mutamento di circostanze rilevanti ai fini della esclusione di qualsivoglia condizionamento criminale nell’attività relativa alla nuova compagine societaria.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

All’udienza del 19 aprile 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

3. L’appello è infondato e va respinto.

Con il primo motivo di censura, l’appellante deduce il vizio di contraddittorietà e di carenza di motivazione da cui sarebbe affetta la impugnata sentenza, laddove la stessa ha ritenuto immune dai dedotti vizi il provvedimento prefettizio a contenuto negativo reso sulla istanza di aggiornamento delle informazioni antimafia, prodotta dalla interessata ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998.

Ad avviso dell’appellante, avrebbero errato i primi giudici a ritenere la congruità della motivazione del negativo atto di riesame delle informazioni antimafia, atteso che, al contrario, sarebbe mancata la congrua valutazione dei nuovi elementi addotti dalla società istante a comprova del radicale mutamento della società già attinta dal provvedimento interdittivo.

In particolare, l’appellante lamenta che non sarebbero state prese in considerazione le circostanze inerenti il mutamento soggettivo della compagine sociale (essendo completamente uscito, con cessione integrale delle quote sociali al figlio Domenico, il signor Angelo Marrazzo), il trasferimento della sede sociale a Roma nonché il passaggio della amministrazione della società nelle mani del medesimo signor Domenico Marrazzo, professionista incensurato.

3.1 La censura non è meritevole di favorevole scrutinio.

Giova anzitutto ricordare che, per la giurisprudenza pacifica e condivisa di questo Consiglio di Stato (tra le tante, Sez. VI, 25 gennaio 2010 n. 250 ), le informative prefettizie possono essere motivate anche per relationem, e cioè con specifico richiamo ad altri atti puntuali, come ad esempio a significativi atti delle indagini cui l’ufficio prefettizio ha dato corso al fine di determinarsi sulla istanza di informazioni.

Orbene, ciò è giustappunto avvenuto nel caso di specie, atteso che, a mezzo del richiamo operato al verbale del Gruppo investigativo antimafia, l’autorità prefettizia ha assolto correttamente l’onere motivazionale, tanto più che il predetto organo investigativo ha espressamente valutato gli elementi “nuovi” addotti dalla interessata giungendo ad esprimere un non irragionevole giudizio di persistenza del condizionamento mafioso sulla predetta società; in tal senso infatti va letto ed apprezzato il giudizio di irrilevanza dei nuovi elementi rispetto al quadro indiziario che aveva già portato all’adozione del primo provvedimento interdittivo.

3.2. Né la determinazione di mantener fermo il provvedimento interdittivo, anche sulla scorta delle considerazioni già svolte dal Tar della Campania nella precedente sentenza di rigetto del 27 ottobre 2004 (cui fa riferimento il Gruppo investigativo antimafia), può ritenersi viziata da illogicità o contraddittorietà alla luce delle nuove emergenze fattuali, dato che è proprio la ricordata irrilevanza di queste ultime ad aver indotto l’organo d’indagine a confermare le precedenti considerazioni ostative.

Si tratta allora di verificare la congruità estrinseca di una tale conclusione, nei limiti in cui è consentito il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnico-amministrativa.

Ritiene il Collegio che anche all’esito di tale esame la determinazione impugnata in primo grado, e la sentenza del Tar che ne ha validato i contenuti, vadano ritenute immuni dai vizi dedotti.

Appare in particolare plausibile ritenere, come correttamente e compiutamente ritenuto dai giudici di primo grado, che una società operante nel settore dello smaltimento dei rifiuti, già destinataria di informativa antimafia a carattere interdittivo in quanto ritenuta vicina e permeabile ai condizionamenti della criminalità di stampo mafioso, non possa superare ogni profilo di criticità in ordine alla contiguità con tali ambienti sol per il fatto che abbia trasferito la sua sede a Roma, ovvero che le quote sociali e l’amministrazione della società siano state trasferite in capo al figlio dell’originario titolare.

Si tratta, all’evidenza, di modifiche che non irragionevolmente sono state ritenuta di sola forma, nella misura in cui lasciano intatto il quadro indiziario dei possibili collegamenti e condizionamenti mafiosi (qui non oggetto di scrutinio, in quanto relativo alla pregressa informativa a contenuto interdittivo) e che fanno in definitiva ritenere incensurabile, sotto i profili dedotti, il diniego di aggiornamento sulla istanza a suo tempo prodotta dalla società interessata.

4. Da ultimo, non potrebbe giovare alle ragioni della società appellante il rilievo secondo cui l’attuale titolare dell’intero capitale sociale della s.r.l. [OMISSIS] avrebbe dismesso ogni partecipazione in altre società facenti capo al padre ed ai soci di questi, contigui (se non proprio integrati) agli ambienti della criminalità mafiosa, atteso che anche tale circostanza ha una valenza meramente formale, di per sé scarsamente sintomatica della effettiva impermeabilità del nuovo socio unico e amministratore della società appellante al potere di condizionamento della criminalità di stampo mafioso.

5. Infine, ritenuta la infondatezza dei motivi articolati sotto il profilo della carenza dei presupposti e della carenza motivazionale, il Collegio deve anche osservare che non ha pregio giuridico il motivo (già dedotto in primo grado) afferente il preteso eccesso di potere per sviamento in cui sarebbe incorso il Prefetto di Napoli sotto il profilo che lo stesso, nel denegare alla ricorrente la liberatoria antimafia, avrebbe dimostrato di voler pervenire a tale conclusione “ad ogni costo”, con atteggiamento improntato ad ostinata pervicacia.

Si tratta di una costruzione difensiva non condivisibile e sfornita di riscontro probatorio, essendo rimasto al contrario dimostrato che le ragioni del rinnovato diniego poggiano su valutazioni immuni dai dedotti vizi di legittimità e pienamente congruenti rispetto alla fattispecie oggetto di scrutinio.

In definitiva, l’appello va respinto e va confermata la impugnata sentenza.

6. Le spese di giudizio di questo secondo grado seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (r.g. n. 3820.06), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore delle costituite amministrazione, delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, che liquida nell’insieme in complessivi Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre IVA e CAP come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 20/05/2011

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