AmministrativaGiurisprudenza

Permanenza in servizio attivo per un biennio accademico – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3360/2011

La previsione normativa di natura transitoria di cui al comma 9 dell’art. 72 del d.l. n. 112 del 2008 non pone agli atenei, in ipotesi di reiezione della domanda di trattenimento in servizio, alcun onere di “rafforzata motivazione” rispetto alla fattispecie a regime di cui al comma 7 del medesimo articolo (comma, quest’ultimo, peraltro espressamente richiamato in seno al comma 9).

(© Litis.it, 7 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 3360 del 06/06/2011

FATTO

Con il ricorso di primo grado l’odierno appellato Prof. [OMISSIS] aveva impugnato il Decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Firenze n. 963, prot. n. 53222 del 30/07/2009, con il quale era stato disposto il rigetto delle istanze presentate dal predetto intese alla permanenza in servizio attivo per un biennio accademico decorrente dal 1° novembre 2009, il collocamento a riposo del suddetto per limiti di età, a decorrere dal 1° novembre 2009 .

Detto decreto era stato emesso nonostante fosse già intervenuta la presa d’atto, da parte dell’Università degli Studi di Firenze in data 6 marzo 2008, della manifestazione di volontà del ricorrente a permanere in servizio per l’ulteriore biennio ex art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503.

L’originario ricorrente aveva altresì gravato nonché la nota prot. n. 45424 del 1° luglio 2009, con la quale l’Università degli Studi di Firenze gli aveva comunicato la propria intenzione di rigettare l’istanza di permanenza in servizio presentata dal medesimo in data 21 febbraio 2008 le delibere in data 19.11.2008 e 4.03.2009, con cui il Senato Accademico dell’Università degli Studi di Firenze aveva approvato i criteri per la regolamentazione del trattenimento in servizio ex art. 16 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 del personale docente universitario e la delibera in data 24.04.2009 con cui il Senato Accademico dell’Università degli Studi di Firenze aveva riscontrato che la domanda da questi presentata non sussisteva “alcuna delle condizioni indicate dal Senato accademico per la concessione del trattenimento in servizio”, il parere negativo, reso dal Consiglio di Amministrazione della Università degli Studi di Firenze nell’adunanza del 29 maggio 2009, in ordine alla “concessione della permanenza in servizio” nonché, in parte qua, la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica n. l0 del 20.10.2008, in quanto provvedimento applicativo delle disposizioni di cui ai commi 7, 8, 9 e l0 dell’art. 72 della legge 6 agosto 2008 n. 133 di conversione del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, art. 72 (in quanto ritenuti incostituzionali per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 97 e 117 della Costituzione e con il principio costituzionale -e comunitario- dell’ affidamento e della certezza dei rapporti giuridici e per lesione dei diritti quesiti, desumibile dagli articoli sopra citati).

Aveva conseguentemente chiesto l’accertamento del proprio diritto soggettivo a permanere in servizio, a decorrere dal 1° novembre 2009, almeno sino al 72° anno di età in applicazione dell’art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503.

In punto di fatto era accaduto che il professore [OMISSIS] nato il 6 novembre 1938, professore ordinario di “Diagnostica per immagini e radioterapia” (settore scientifico disciplinare MED-36) presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Firenze, il 6-3-2008, essendo prossimo al compimento dell’età per il collocamento a riposo, aveva presentato domanda di prolungamento biennale del servizio ai sensi dell’art 16 del d.lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992.

Con Decreto del dirigente area risorse umane del 6 marzo 2008 l’amministrazione aveva preso atto della volontà dell’interessato di prolungamento del servizio.

Successivamente, a seguito della modifica introdotta dall’art 72 comma 7 del d.l. n. 112 del 2008 conv. dalla l. n. 133 del 2008, il senato accademico aveva individuato alcuni criteri per i trattenimenti in servizio: nella delibera del 19 novembre 2008 si era fatto riferimento all’unico docente di un settore scientifico disciplinare il cui insegnamento è obbligatorio e senza che ci siano docenti di settori affini e al contributo eccezionale ed insostituibile del docente alla ricerca; nella seduta del 4 marzo 2009, veniva specificato (deducendolo dagli indicatori adottati per la distribuzione dei fondi FFO in base al d.m. n. 246 del 2007) il criterio del contributo eccezionale ed insostituibile del docente alla ricerca, ai fini del trattenimento in servizio: partecipazione ad un bando PRIN nel triennio 2006-2008; punteggio complessivo nella valutazione CIVR 2001-2003; responsabilità di progetti di ricerca, nel 2005-2009, secondo parametri, entità e durata indicati.

In base ai criteri fissati dal senato accademico, la domanda di trattenimento in servizio, confermata dal Prof. [OMISSIS], era stata respinta con decreto rettorale del 30 luglio 2009.

Egli era insorto prospettando cinque distinti ed articolati motivi di censura (incompetenza; violazione e falsa applicazione dell’art 33 della Costituzione; violazione dell’art 1 della legge n. 808 del 25 ottobre 1977; eccesso di potere per contraddittorietà manifesta; -violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione; degli artt. 1, 2, 3 e 21-quinquies della l. n. 241 del 7 agosto 1990; dell’art 72 comma 9 del d.l. n. 112 del 25 giugno 2008, anche come interpretato nella Circolare PCM n. 10/2008; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, per carenza dei presupposti e di istruttoria, per illogicità ed irragionevolezza manifesta; violazione dell’art 17 dello Statuto dell’Università di Firenze; violazione della direttiva n. 78 del 2000 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro; -violazione dell’art 13 del Trattato della Comunità Europea e dell’art. 6 del Trattato che istituisce l’Unione Europea; violazione dell’art 21 della Carta di Nizza;

-illegittimità costituzionale dell’art 72 commi 7, 8, 9, e 10 del d.l. n. 112 del 2008 in relazione agli artt. 2, 3, 4, 97 e 117 della Costituzione e del principio costituzionale e comunitario dell’affidamento nella certezza dei rapporti giuridici e per la lesione dei diritti quesiti.).

Il Tribunale amministrativo regionale adito, richiamato il disposto di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992, nel testo modificato dall’art. 72 comma 7 del d.l. n. 112 del 25 giugno 2008 convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008, ha accolto il gravame facendo presente che poteva convenirsi sulla circostanza che dal dato testuale delle disposizioni citate risultava evidente che il prolungamento biennale del servizio non era più una facoltà dell’impiegato sottoposta solo ad un atto della sua volontà ( la domanda di trattenimento).

Era quindi stata attribuita una facoltà all’Amministrazione di valutare, discrezionalmente, se accettare la domanda di prolungamento del servizio o meno.

Tale esercizio di potere discrezionale doveva ritenersi limitato dalla norma alla valutazione di presupposti specifici, alcuni legati ai profili organizzativi generali dell’amministrazione, (“in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali”), altri alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del richiedente (“in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi”).

Ne conseguiva che il potere discrezionale attribuito alla Amministrazione dovesse essere esercitato in relazione alla situazione professionale del richiedente, che non poteva di per sé essere subordinata, in mancanza di una effettiva ponderazione degli interessi propria delle scelte discrezionali, agli obiettivi strategici dell’Ateneo.

Il primo giudice ha anche affermato che la posizione del docente odierno appellato (il provvedimento che ne aveva disposto il prolungamento biennale aveva decorrenza 1 novembre 2009), rientrando nell’applicazione del comma 10 dell’art. 72 del d.l. n. 112 del 2008 richiedeva una motivazione più specifica della singola posizione professionale, se anche in base ai medesimi criteri indicati dal comma 7 del’articolo in esame.

Ciò sul presupposto che la posizione dei professori, per cui la decorrenza del prolungamento si era verificata nel 2009, era parzialmente diversa da quella di coloro per i quali il provvedimento avrebbe avuto decorrenza nell’anno 2010 (era stata dettata una norma differente e pertanto l’Università non poteva in maniera legittima fare riferimento agli stessi criteri dettati in generale per tutti i docenti).

In particolare, il primo giudice ha evidenziato che i criteri adottati nelle delibere del senato accademico del 19 novembre 2008 e del 4 marzo 2009 apparivano manifestamente illogici e irragionevoli in relazione in primo luogo alla preponderante valutazione della ricerca. La delibera del senato accademico del 19 novembre 2009 aveva introdotto, invero, rispetto all’ attività didattica, soltanto un criterio astratto con riferimento all’unico docente nel settore scientifico disciplinare relativo ad insegnamenti da impartire obbligatoriamente e per i quali non vi fossero docenti inquadrati in settori affini.

Inoltre il criterio relativo alla ricerca era stato specificato con riferimento a parametri parziali, quali i finanziamenti PRIN, valutazione CIVR, ripartizione dei fondi FFO.

Sotto altro profilo, l’odierno appellato svolgeva altresì importanti funzioni assistenziali presso la Casa di Cura S. Chiara, accreditata con il SSN e convenzionata con l’Università (che era addirittura arrivata, nel caso di specie, ad offrire all’Università di coprire, pur di non perdere l’apporto professionale del medesimo, il carico stipendiale derivante dalla permanenza in servizio dello stesso), delle quali l’Ateneo non aveva tenuto alcun conto, né dandone una qualche motivazione, né richiedendo un parere alla struttura sanitaria, né valutando che vi fossero programmi in corso.

Il provvedimento dell’Università era quindi fondato su una valutazione generica e astratta del numero complessivo di professori della Facoltà ove operava l’odierno appellato(, valutazione che di per sé non poteva giustificare il diniego di prolungamento del servizio): ne derivava la illegittimità del provvedimento impugnato, per non aver considerato tutti i presupposti previsti dalla legge e per carenza di valutazione “individualizzante”.

La sentenza è stata appellata dall’amministrazione originaria resistente che ne ha contestato la fondatezza proponendo articolati motivi di impugnazione ed evidenziando che del tutto apodittico appariva l’iter motivazionale seguito dal primo giudice con la appellata statuizione.

La sentenza doveva essere annullata in quanto, tra l’altro, non aveva tratto le conclusioni dalla (esatta) premessa della sussistenza in capo all’amministrazione di potere discrezionale, giungendo alla (palesemente errata) conclusione che, soltanto a cagione di una valutazione della esperienza professionale del richiedente in termini non lusinghieri potesse discendere il diniego alla richiesta di trattenimento in servizio.

Con ciò si ribaltava la categoria giuridica, qualificando in capo al richiedente un inesistente diritto potestativo condizionato.

Al contrario, mentre la scelta di consentire la permanenza in servizio necessitava di puntuale valutazione discrezionale l’opposta opzione necessitava unicamente della indicazione delle esigenze organizzative e funzionali dell’Ateneo.

L’appellato ha depositato articolati scritti difensivi chiedendo la reiezione dell’appello ed affermando la esattezza della statuizione del Tribunale amministrativo regionale che aveva constatato come fosse stata obliata ogni valutazione soggettiva della posizione del richiedente e come si fosse pervenuti, da parte dell’appellante Ateneo ad una revoca “automatica” che attingeva genericamente la posizione dei professori richiedenti.

La posizione dell’Ateneo appellante era unicamente supportata da generiche esigenze di economia di spesa; nessuna motivazione era stata resa sulla particolare qualificazione dell’appellato, il cui curriculum avrebbe legittimato uno specifico esame ed, eventualmente, una motivazione reiettiva individualizzante.

Ha poi riproposto tutti i motivi di censura contenuti nel mezzo di primo grado ed assorbiti dal primo giudice, ed in particolare i profili di illegittimità costituzionale e comunitaria della normativa applicata ove interpretata nel senso patrocinato dall’appellante amministrazione e la censura di incompetenza fondata sulla circostanza che l’atto impugnato era soltanto formalmente ascrivibile al Rettore, ma di fatto era stato adottato sula scorta di deliberazioni assunte dal Senato Accademico e dal Consiglio di Amministrazione dell’Università ed era a questi ultimi riferibile.

Con memoria conclusionale datata 17 aprile 2011 l’appellato ha ribadito e puntualizzato le proprie argomentazioni ribadendo la carenza di alcuna valutazione individualizzata della propria posizione e delle funzioni assistenziali esercitate ( queste ultime essenziali per i professori di materie cliniche, dotate di autonoma rilevanza e connesse sia alla ricerca che alla didattica).

Alla camera di consiglio del 12 ottobre 2010 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione con la ordinanza cautelare n. 4711/2010 ha accolto l’appello cautelare alla stregua della considerazione per cui “che i criteri di cui si è dotata l’Università di Firenze al fine di valutare le istanze di trattenimento in servizio di cui all’art. 16 del d.lgs. 503 del 1992, pur se caratterizzati da un notevole tasso di rigidità, non sembrano aver tralignato nei profili di abnormità ed irragionevolezza ravvisati dai primi Giudici.

In particolare, non appare irragionevole né il criterio con cui si è riconosciuta preponderanza all’attività scientifica rispetto a quella didattica, né il criterio con cui si è parametrata la nozione di ‘insostituibilità’ del docente al livello di intero Ateneo.Si osserva, inoltre, che i provvedimenti impugnati in prime cure non appaiono prima facie illegittimi neppure per la parte in cui hanno fatto applicazione dei richiamati criteri anche in relazione nell’ambito dell’attività di revisione di cui al comma 9 dell’art. 72, d.l. 112 del 2008.”

Alla odierna pubblica udienza del 10 maggio 2011 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e deve essere accolto, nei termini di cui alla motivazione che segue con conseguente riforma della appellata sentenza, reiezione del ricorso di primo grado e salvezza degli atti impugnati.

2. Il Collegio non condivide la ricostruzione ermeneutica tracciata dal primo giudice e volta a tracciare un discrimen tra la previsione normativa di cui al comma 7 e quella di cui al comma 9 dell’art. 72 del d.l. n.112 del 2008.

Per connesse ragioni non condivide del pari le valutazioni rese dal Tribunale amministrativo con riferimento ai criteri adottati nelle delibere del senato accademico del 19 novembre 2008 e del 4 marzo 2009.

3. Quanto al primo profilo, questa Sezione del Consiglio di Stato ha già in passato affermato (vedasi la recente decisione n. 479/2011 del 3 dicembre 2010 pubblicata il 24 gennaio 2011) il convincimento per cui la previsione normativa di natura transitoria di cui al comma 9 dell’art. 72 del d.l. n. 112 del 2008 non pone agli atenei, in ipotesi di reiezione della domanda di trattenimento in servizio, alcun onere di “rafforzata motivazione” rispetto alla fattispecie a regime di cui al comma 7 del medesimo articolo (comma, quest’ultimo, peraltro espressamente richiamato in seno al comma 9).

3.1. Come già rilevato nella sopracitata decisione, deve in proposito brevemente rammentarsi che in passato la normativa in materia di prosecuzione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti era regolata dall’art. 16 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (emanato in attuazione della delega dell’art. 3 l. 23 ottobre 1992, n. 421), recante norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici.

Tale disposizione prevedeva semplicemente che “è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio […] per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi” .

Essa pertanto, per pacifica giurisprudenza, riconosceva ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (compresi i professori universitari) un vero e proprio diritto potestativo a permanere in servizio per il periodo riposo descritto (Cons. Stato, IV, 21 febbraio 2005, n. 573).

Avvalendosi della facoltà offerta da detto art. 16, l’odierno appellato aveva presentato istanza di trattenimento in servizio e l’Università aveva conformemente provveduto (relativamente al biennio dall’1 novembre 2009 all’1 novembre 2011).

Prima però che egli avesse compiuto il settantesimo anno di età (avesse raggiunto, cioè, l’età di collocamento a riposo secondo l’ordinamento di appartenenza), l’art. 16 d.lgs. n. 503 del 1992 è stato integralmente sostituito dall’art. 72, comma 7, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modifiche dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, il quale, introducendo parametri di determinazione positiva, prevede ora che: “È in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento”.

Questa normativa sopravvenuta non contempla più un diritto soggettivo alla permanenza in servizio del pubblico dipendente (e su tale effetto dello jus superveniens ha concordato anche il primo giudice) ma prevede che l’istanza che il dipendente ha facoltà di presentare, vada valutata discrezionalmente dall’Amministrazione ( la quale ha facoltà di accoglierla), e che essa possa avere accoglimento solo in concreta presenza degli specifici presupposti individuati dalla disposizione, i primi dei quali sono legati ai profili organizzativi generali dell’amministrazione medesima (“in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali”) e i seguenti alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del richiedente (“in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi”).

Avuto riguardo al periodo (biennio dall’1 novembre 2009 all’1 novembre 2011) per cui avrebbe dovuto spiegare effetti il provvedimento (rectius: la presa d’atto) con il quale era stato permesso all’appellato di permanere in servizio, viene in rilevo la norma transitoria di cui al citato art. 72, comma 9, che così prevede: “Le amministrazioni di cui al comma 7 riconsiderano, con provvedimento motivato, tenuto conto di quanto ivi previsto, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009”.

La tesi della appellante Amministrazione è nel senso che i provvedimenti di cui all’art. 72, comma 8, d.l. n. 112 del 2008 vanno motivati analiticamente e con riguardo ad entrambi i parametri enunciati nella norma, soltanto allorché l’amministrazione intenda, a suo discrezionale giudizio, giovarsi della facoltà di accordare la domandata permanenza in servizio. Ma non anche se non intende avvalersi di una tale facoltà.

Va considerato, invero, che la permanenza in servizio oltre i limiti ordinari di età è istituto che, medio tempore, ha subito una radicale trasformazione rispetto alla configurazione che aveva avuto dall’art. 3 l n. 421 del 1992. Infatti, con l’innovazione introdotta dall’art. 72, comma 7, d.l. n. 112 del 2008 (da qui applicare perché governante, ai sensi del comma 9, la fattispecie in relazione al tempo “dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009”), è divenuto istituto da considerare ormai eccezionale a causa delle esigenze generali di contenimento della spesa pubblica espressamente perseguito con la manovra di cui allo stesso decreto-legge, e segnatamente con le disposizioni del Capo II, tra cui è quella in esame. Pertanto la sua determinazione in concreto va sorretta, se nel senso della protrazione del servizio, da adeguate giustificazioni in relazione ai parametri di valutazione indicati dalla disposizione, la cui ragione va puntualmente esternata. Tra questi, dominante nel singolo caso, e dirimente, è la considerazione delle effettive “esigenze organizzative e funzionali” dell’amministrazione, rispetto a cui “la particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti” rappresenta un criterio giustificativo necessario, ma ulteriore, e non già la ragione determinante.

Si tratta infatti di dar corso ad un’ipotesi eccezionale di provvista di docente, che deve essere adeguatamente giustificata da oggettivi e concreti fatti organizzativi, tali da imporre che si faccia ricorso ad un tale particolare strumento. L’esternazione di una tale giustificazione della scelta – insieme a quella sugli altri elementi richiesti, a seguire, dalla disposizione – è necessaria per dar conto del come e perché l’Amministrazione si determini, derogando alle esigenze di risparmio perseguite dalla legge, a seguire questa speciale via. Non così è quando l’Amministrazione si determini negativamente, ricorrendo allora la situazione ordinaria di normale estinzione del rapporto lavorativo per raggiungimento dei limiti di età, che non richiede una speciale esternazione circa la particolare esperienza professionale dell’interessato. La ratio della nuova norma è infatti essenzialmente di contenimento finanziario e questo prevale, perché così vuole questa legge, sulla qualità professionale del docente: sicché è nella prima valutazione che va incentrata la scelta e ne va, se positiva rispetto alla disponibilità offerta dall’interessato, manifestata la ragione.

Non v’è chi non veda, del resto, che una diversa opinione comporterebbe la rappresentazione di una valutazione che sarebbe essenzialmente incentrata – se non addirittura come in passato sulla mera volontà del docente – su detta esperienza professionale, dalla cui “particolarità”, piuttosto che dalle oggettive esigenze organizzative dell’amministrazione, verrebbe a dipendere una protrazione di rapporto che la nuova norma vuole ormai in principio limitare perché va ad incidere negativamente sulle esigenze di contenimento della spesa pubblica.

Questa è la ragione della stessa ipotesi dell’art. 72, comma 9, sul doveroso riesame (tale è il significato di “riconsiderare”) dei provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati, imposto direttamente dalla disposizione: l’àmbito della cui motivazione, per questa evidente identità di funzione, è il medesimo di quello del comma 7.

I parametri sono dunque gli stessi.

È stata dunque, con l’innovazione del 2008, introdotta nuova disciplina, che ha invertito il rapporto tra regola ed eccezione della legislazione del 1992. L’uso del termine “facoltà” per descrive ora null’altro che la possibilità, da parte dell’interessato, di domandare all’Amministrazione il trattenimento in servizio, ma non più un diritto all’ufficio. La struttura della fattispecie definita dalla nuova disposizione si configura come eccezionale e soggetto a rigorose condizioni l’accoglimento.

Nella specie, i criteri adottati nelle delibere del senato accademico del 19 novembre 2008 e del 4 marzo 2009 sembrano al Collegio coerenti con quanto qui appena detto, esaustivamente motivati, rientrano, quanto ai parametri ivi considerati, nella piena discrezionalità dell’amministrazione.

Il Collegio perciò, in base alle considerazioni ora esposte, non ritiene che ricorra la denunciata violazione di legge (neppure con riferimento all’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241) né un eccesso di potere per carenza o insufficienza di motivazione posto che, per le anzidette ragioni, sulla determinazione impugnata non gravava l’obbligo di soffermarsi funditus sulla insussistenza della ipotesi eccezionale.

Il criterio seguito dall’appellante Ateneo (ed anche il fine di contenimento delle spese ivi trasparente) appare al Collegio sufficiente corredo motivazionale: il che non implica, ovviamente, sottovalutazione del ricchissimo e ragguardevole curriculum dell’appellato, ma solo non si sono ravvisate le esigenze eccezionali che avrebbero legittimato la deroga al criterio generale.

3.2. Il primo giudice, quindi, ha tracciato una differenza tra l’ipotesi applicativa di cui all’art. 72 comma 7 citato e quella (applicabile alla fattispecie) di cui al comma 9 che non appare condivisibile al Collegio per più ragioni.

Sotto il profilo letterale, perché il comma 9 richiama proprio i criteri di cui al comma 7; e perché il termine “riconsiderare” ivi utilizzato non appare espressivo di alcuna necessità di “supplemento motivazionale”, ma fa senz’altro riferimento alla circostanza che una precedente richiesta di trattenimento, avanzata nel quadro della previgente legislazione, era stata favorevolmente esitata.

Sotto il profilo logico, si introduce per via interpretativa una disparità di trattamento nel sistema, che non ha ragione d’essere sol che si concordi sulla circostanza che – nel quadro dell’antevigente legislazione- si era in presenza di un diritto potestativo del dipendente.

Nei casi di cui al comma 9 non vi è alcuna necessità di una motivazione “rafforzata” rispetto a quella prevista per le fattispecie (comma 7 dianzi citato) in cui la domanda di trattenimento in servizio viene esaminata per la prima volta.

Invero non si è in presenza di una ipotesi riconducibile al paradigma classico dell’autotutela per due ordini di ragioni.

In primo luogo perché l’onere di “riconsiderare” i precedenti provvedimenti concessori è imposto direttamente dalla norma predetta; in secondo luogo, perché i precedenti decreti accoglitivi che vengono “riconsiderati” non erano espressione di discrezionalità valutativa, ma vere e proprie “prese d’atto” dell’esercizio di una facoltà, del dipendente (sulla consistenza di tale posizione soggettiva nella antevigente legislazione qual diritto potestativo v’è pieno accordo in giurisprudenza, sia civilistica, che di legittimità: ex multis,Cass. civ., sez. lav., 21 agosto 2007, n. 17776, Cons. St., sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 573).

Non ricorrendo la necessità di riesercitare discrezionalità valutativa (in passato mai esercitata, lo si ribadisce) ma di applicare i presupposti di cui al comma 7 dell’art. 72 citato, cui il comma 9 espressamente richiama, non v’è ragione di imporre oneri motivazionali non previsti da tali disposizioni.

L’argomentazione (che traspare nel controricorso dell’appellato) sottesa alla affermazione del primo giudice muove dall’utilizzo da parte del legislatore della voce verbale “riconsiderare” (reputata indizio della necessaria espressione di potere/dovere valutativo) e viene legata ad un supposto onere motivazionale “diverso ed ulteriore”.

Detta tesi, però, non persuade il Collegio, sia perché un obbligo motivazionale, a ben guardare, è scolpito nella disposizione predetta (e concerne l’ipotesi in cui si ravvisi una eccezionale esigenza tale da integrare possibile deroga alla prescrizione legislativa generale) sia perché il pregresso provvedimento accoglitivo non si considerava quale frutto di valutazione discrezionale ma qual presa d’ atto dell’esercizio di un diritto potestativo.

Ne discende che la “riconsiderazione” di una presa d’atto non può che riguardare unicamente i presupposti della legge superveniens e che nessun “affidamento” del dipendente (diverso dalla generica aspettativa dei consociati nel mantenimento di disposizioni legislative ad essi favorevoli) doveva essere tutelato

Il criterio seguito dall’appellante Ateneo, finalizzato al contenimento delle spese sul medesimo gravanti appare al Collegio sufficiente corredo motivazionale il che non implica, ovviamente, sottovalutazione del ricchissimo curriculum dell’appellato: implica che non si siano ravvisate le esigenze eccezionali che avrebbero legittimato la deroga al criterio generale.

E indizio ulteriore a comprova che il criterio relativo al contenimento della spesa debba costituire il primario profilo di verifica anche laddove l’amministrazione si risolva ad accogliere le istanze di permanenza in servizio (ovvero a “confermare”, previa riconsiderazione, quelle già accolte) si ricava anche dal recente intervento normativo di cui al decreto legge 10 novembre 2008 convertito nella legge 9 gennaio 2009 n.1 che ha ridotto il fondo di Finanziamento Ordinario delle Università imponendo significativi tagli alla spesa del personale.

3.3. Da quanto finora affermato consegue la recessività delle argomentazioni critiche riproposte dall’odierno appellato ed utilizzate dal primo giudice con riferimento ai criteri adottati nelle delibere del senato accademico del 19 novembre 2008 e del 4 marzo 2009 proprio perché essi, contrariamente a quanto affermatosi nella impugnata sentenza, appaiono (oltre che non illogici con riferimento alla valutazione della ricerca ) esaustivi e non necessitanti di ulteriori specificazioni con riferimento ai docenti latori di provvedimenti di trattenimento in servizio con decorrenza nell’anno 2009.

Sotto altro profilo (si vedano le argomentazioni contenute alla pag. 57 del controricorso in appello depositato dal professore [OMISSIS] con riguardo alla offerta della Casa di cura S. Chiara e tenute presenti dal primo giudice a pag. 11 dell’appellata decisione ) neppure l’offerta da parte della Casa di cura di corrispondere il trattamento economico all’appellato poteva essere presa in considerazione dall’Ateneo, introducendosi altrimenti nel sistema una intollerabile discriminazione fondata sulla esistenza – o meno- di soggetti estranei alla organizzazione accademica disponibili a consentire la permanenza in servizio di taluno dei docenti accollandosene il relativo trattamento economico (il che finirebbe con l’incidere, oltre che sulla posizione di altri docenti non altrettanto fortunati, sull’autonomia delle istituzioni universitarie).

4. Appare doveroso adesso soffermarsi sui motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal primo giudice e riproposti dall’appellato nel proprio controricorso.

Deve senz’altro essere respinta la censura di incompetenza.

Ritiene il Collegio di poter condividere l’assunto contenuto nel recente arresto del Consiglio di Stato (sez. VI, 05 febbraio 2010, n. 524) laddove si afferma appartenere “all’esclusiva competenza del Rettore l’adozione del provvedimento di gestione della posizione di impiego del docente universitario anche in sede di emissione del “contrarius actus” di annullamento di precedente provvedimento”. Nel caso di specie il provvedimento è ascrivibile sostanzialmente (e non solo formalmente) al Rettore, così come previsto dalla legge; la circostanza che siano stati dettati criteri generali, ad opera del Senato Accademico e del Consiglio di amministrazione dell’Università non “degrada” la deliberazione del Rettore a mera presa d’atto, così come apoditticamente affermato dall’appellato che, peraltro, non contesta che sia stato rispettato il canone formale, in quanto il provvedimento reiettivo impugnato è ascrivibile al Rettore .

La doglianza va quindi respinta in quanto infondata.

4.1. Non persuadono il Collegio neppure le questioni di legittimità costituzionale prospettate dall’appellato quanto all’art. 72 citato.

Come già evidenziato in premessa – e fatti salvi i diritti quesiti rispetto ai soggetti non già semplicemente autorizzati al trattenimento, ma ormai in regime di trattenimento in servizio in deroga al limite massimo di età – non appare infatti irragionevole la scelta del legislatore di sottoporre il precedente diritto potestativo al mantenimento in servizio alla positiva valutazione dell’Amministrazione. Al contrario di quanto sostenutosi l’inversione di prospettiva risulta coerente non solo con il principio del buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 Cost., ma anche ai principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa desumibili dall’ordinamento e che informano (indipendentemente dal regime giuridico del singolo rapporto di lavoro) anche l’organizzazione degli uffici e l’attività della P.A. (d.lgs. n. 165/2001).

La normativa censurata incide infatti unicamente sull’aspettativa, di mero fatto, di durata della vita lavorativa, essendo dato al legislatore ridisciplinare i rapporti di durata con salvezza dei diritti quesiti come affermato in passato in più occasioni dalla Corte costituzionale (ex multis, si veda Corte costituzionale, 14 luglio 1999, n. 296).

Le tesi prospettate appaiono manifestamente infondate sia laddove valutate sotto il profilo dell’operatività temporale delle disposizioni citate (canone della irretroattività che, salvo la materia penale, non è principio tutelato dalla Carta fondamentale) sia con riguardo al richiamato principio di affidamento.

La Corte costituzionale è stata costante nel ribadire il potere del legislatore di incidere, modificandoli, sui rapporti di durata, purché nei limiti della logicità e ragionevolezza, se non quando la situazione sia divenuta di diritto con il collocamento in quiescenza. Ciò comprova che, la modifica della disciplina dell’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 ( che ha reso un diritto soggettivo del dipendente pubblico al prolungamento biennale del servizio una scelta discrezionale dell’Amministrazione) non può ritenersi né illogica né irragionevole, né risultano sacrificati affidamenti qualificati.

La Corte costituzionale,infatti, rispetto al limite di età per il collocamento a riposo o ad altri istituti che incidono sulla posizione del dipendente rispetto alla cessazione del servizio, ha sempre fatto riferimento all’effettivo momento di collocamento a riposo ( ad esempio per la posizione in materia previdenziale). Ancora di recente ( sentenza n. 236 del 2009 sulla riduzione del fuori ruolo dei professori universitari) essa ha affermato il principio secondo cui il legislatore, in materia di successione di leggi, dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo – in caso di norme retroattive – il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, Cost., e comunque a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis, sentenze n. 162 del 2008; n. 74 del 2008; n. 11 del 2007; n. 409 del 2005; n. 374 del 2002 e n. 525 del 2000).

Rispetto alla materia previdenziale, la Corte costituzionale ha affermato che l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica non impedisce al legislatore di emanare norme modificatrici della disciplina dei rapporti di durata in senso sfavorevole per i beneficiari, quando tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti; in particolare salvaguardando solo le fattispecie pensionistiche già giunte a compimento con il collocamento in quiescenza (sent. n. 393 del 2000).

Neppure si può ravvisare alcuna violazione del buon andamento della Amministrazione, in quanto la norma ha modificato (non già il regime ordinario del collocamento a riposo ma) solo una facoltà che era stata attribuita ai pubblici dipendenti, nel 1992, di rimanere in servizio, oltre il limite di età, già stabilito, per il collocamento a riposo (rispetto al quale, dunque, l’Amministrazione doveva aver già predisposto la propria organizzazione al fine del collocamento in quiescenza del dipendente), subordinando l’esercizio di tale facoltà alle esigenze organizzative e funzionali dell’Amministrazione.

Va peraltro rammentato che il legislatore ha operato una graduazione nell’applicazione della riforma in considerazione:

– a) dei diritti quesiti consolidati dai soggetti autorizzati che si trovano già, per aver superato l’età massima, in regime di “trattenimento” in deroga alla permanenza in servizio comma 8 art. 72 cit.);

– b) dei soggetti già (meramente) autorizzati alla permanenza in servizio con decorrenza 1 gennaio – 31 dicembre 2009 per i quali, attesa la pendenza – alla data di entrata in vigore del d.l. 112/2008 – del novellato termine entro il quale è oggi ridisegnato l’intervallo temporale in cui è possibile presentare la domanda di trattenimento, è stato previsto l’obbligo per la P.A. di riconsiderare (senza necessità di nuova domanda da parte degli istanti) i provvedimenti già adottati, da valutare alla stregua dei nuovi parametri;

– c) dei soggetti già autorizzati alla permanenza in servizio con effetto a decorrere dal 1 gennaio 2010 per i quali è stata ritenuta ope legis decaduta l’autorizzazione già resa con onere di ripresentare una nuova domanda nei termini di cui al precedente co. 7..

La norma in parola piuttosto ripristina (fatti salvi i diritti quesiti di quanti già si trovano in regime di trattenimento in servizio oltre il limite di età) il principio di uguaglianza asseritamente leso, garantendo a tutti i soggetti in identica condizione di età e lavoro identiche possibilità di ottenere il trattenimento in servizio.

Altresì, infondate sono le censure relative alla violazione del principio comunitario di affidamento ed alla supposta discriminazione in base all’età. La modifica dell’art. 16 del d.lgs. n. 503 operata dall’art. 72 del d.l n. 112 del 2008 non ha inciso, infatti, su coloro che avevano già esercitato concretamente la facoltà di prolungamento biennale del servizio, ma su coloro che non avevano ancora compiuto il normale limite di età per il collocamento a riposo. Inoltre, ha salvaguardato la posizione di coloro che avevano una aspettativa qualificata, prevedendo la salvezza non solo dei trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del decreto, ma anche di quelli disposti con riferimento alle domande di trattenimento presentate nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del decreto ( art. 72 comma 8).

Quanto alla discriminazione fondata sull’età, all’evidenza la tesi dell’appellato appare priva di qualsiasi referente normativo, risolvendosi nell’affermazione per cui al Legislatore nazionale sarebbe precluso dettare requisiti di accesso all’impiego (e di mantenimento dell’impiego) legati all’età, addirittura implicando la discriminatorietà delle legislazioni nazionali in punto di attribuzione del trattamento previdenziale.

Ne deriva la manifesta infondatezza delle proposte censure di illegittimità costituzionale e delle censure di incompatibilità della disciplina nazionale applicata con la legislazione comunitaria, di guisa che neppure si pone la questione della disapplicazione della prima, né appare accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale formulata in seno al sesto motivo del controricorso in appello (pag.66).

Si ricorda a tal proposito che anche i giudici di ultima istanza non sono tenuti a sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie se questa non è pertinente (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull’esito della lite), se la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o se comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso, o se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (cfr. C. giust., CE, 6 ottobre 1982, C 283/81, Cilfit).

Ciò premesso, si rileva che con riferimento alla compatibilità comunitaria, la questione dell’asserito contrasto con la direttiva 2000/78 CE (e delle invocate disposizioni del Trattato Ce -art 13- del Trattato Ue –art. 6- e della Carta di Nizza – art. 21-) non è pertinente, trattandosi di norme che non disciplinano la fattispecie, qui in esame, dei requisiti previsti dalla legislazione nazionale in materia di accesso, conservazione, e cessazione dell’ impiego. L’interpretazione di tali disposizioni risulta chiara in modo tale da non lasciare incertezze, ma soprattutto, per le già chiarite ragioni non v’è alcun affidamento da tutelare (perché la antevigente legislazione italiana non subordinava il trattenimento in servizio da una valutazione individualizzante della posizione del dipendente, ricorrendo la ipotesi di una mera presa d’atto a fronte dell’esercizio del diritto potestativo).

La “discriminazione” in base all’età denunciata, poi, non rileverebbe in pregiudizio di altri cittadini comunitari versanti in analoghe situazioni, ma, secondo la stessa formulazione della doglianza da parte dell’appellato, con riferimento ai pubblici dipendenti che hanno già fruito della facoltà di godere del diritto potestativo di rimanere in servizio: essa è palesemente inaccoglibile, postulando la permanente immodificabilità di una disciplina di favore (contrariamente ai ripetuti arresti della Corte costituzionale in materia), e peraltro prendendo in esame una situazione disomogenea (in quanto se taluni dipendenti hanno potuto fruire della antevigente legislazione ciò è dovuto proprio alla circostanza della diversa anzianità di servizio ed anagrafica rispetto all’appellato).

5. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere accolto con conseguente riforma dell’appellata decisione, reiezione del ricorso di primo grado e salvezza degli atti impugnati.

6. La condanna al pagamento delle spese degli onorari del giudizio segue la soccombenza e l’appellato deve essere pertanto condannato al pagamento, in favore dell’appellante Ateneo, in relazione ad entrambi i gradi di giudizio, di euro mille (€ 1000/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 8310 del 2010 come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma dell’appellata decisione, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellato al pagamento delle spese e degli onorari di entrambi i gradi del giudizio, nella misura di euro mille (€ 1000/00), oltre accessori di legge, se dovuti in favore dell’appellante Ateneo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente FF
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011

 

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