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Revoca di licenza di guardia giurata e porto d’armi – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3370/2011

L’esigenza di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica impongono al titolare dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di guardia particolare giurata di avere una condotta irreprensibile e immune da censure e che, nella valutazione di tale requisito, l’autorità di pubblica sicurezza dispone di un ampio potere di apprezzamento discrezionale, in funzione della pericolosità dell’attività soggetta ad autorizzazione e della delicatezza degli interessi pubblici coinvolti, che può essere censurato solo se risultano vizi di irrazionalità e incoerenza. Nell’esercizio di tale potere l’Amministrazione deve peraltro dare puntualmente atto delle ragioni che inducono a ritenere che i fatti accertati (o il reato commesso), per tipologia e per modalità di realizzazione, abbiano fatto venir meno il necessario requisito della buona condotta (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 2010, n. 4853). E tale accertamento deve essere particolarmente rigoroso quando, come nella fattispecie, il venir meno del requisito della buona condotta si riflette direttamente sulla capacità lavorativa del soggetto interessato. I fatti che costituiscono il presupposto per l’emanazione del provvedimento di revoca, quindi, debbano essere oggetto di un approfondito accertamento che può anche nascere dalla denuncia proveniente da un terzo ma non può basarsi esclusivamente su tale denuncia, occorrendo invece l’individuazione di seri elementi ostativi, frutto (anche) di accertamenti di polizia, direttamente riferibili alla condotta della parte interessata. Ne consegue che deve essere escluso, in assenza di ulteriori elementi probatori circa lo svolgimento dei fatti e le responsabilità dell’interessato, qualsiasi automatismo tra una denuncia penale e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio della professione di guardia particolare giurata, potendosi applicare, per il periodo necessario allo svolgimento delle necessarie indagini, sempre che ne sussistano i presupposti, la misura più lieve della sospensione della licenza (ai sensi dell’art. 10 del t.u.l.p.s.).

(© Litis.it, 11 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 3370 del 06/06/2011

FATTO e DIRITTO

1.- Il signor [OMISSIS] aveva impugnato davanti al TAR per la Puglia il decreto, n. 365/P.A./AREA I, del 2 febbraio 2004, con il quale il Prefetto di Foggia aveva disposto la revoca della sua nomina a guardia particolare giurata e della licenza di porto di d’armi per difesa personale con il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti.

La revoca dei titoli di polizia era stata determinata dal venir meno dei requisiti di cui all’art. 138 del t.u.l.p.s., e per la sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 10 ed 11, a causa della gravità delle imputazioni ascritte al sig. [OMISSIS] che era stato denunciato per avere fermato e minacciato con la pistola l’ex moglie Patrizia Zammarano.

2.- Il TAR per la Puglia, dopo aver accolto, il 21 aprile 2004, la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, con la sentenza appellata, n. 5170 del 5 dicembre 2005, ha respinto il ricorso.

Il TAR, ricordato che l’onere dell’amministrazione di indicare i fatti ostativi al rilascio o alla permanenza della licenza, “anche sotto il profilo della possibilità di abuso ex art. 10 T.U.L.P.S., può ritenersi assolto mercé il riferimento alla pendenza di procedimenti penali o di prevenzione, nonché alla presentazione di circostanziate denunce” e che deve considerarsi “sufficientemente motivato il giudizio negativo mediante l’indicazione di episodi, dati e circostanze, riferiti ad un soggetto, che, secondo il comune sentire, inducono a ritenere il non possesso dei requisiti della buona condotta e dell’affidabilità”, ha ritenuto che, nella fattispecie, “nell’escludere l’esistenza della buona condotta e dell’affidabilità, richieste per lo svolgimento delle funzioni in questione, i suddetti principi sono stati correttamente applicati, con conseguente infondatezza di quanto dedotto”.

Era infatti risultato che l’ex moglie del signor [OMISSIS] aveva dichiarato oralmente di essere stata “bersagliata con messaggi offensivi” sulla sua utenza telefonica e di essere stata, in data 27 gennaio 2004, fermata dal ricorrente e minacciata con la pistola. Altri episodi di aggressione e minacce risultavano essersi verificati nel 2003.

Secondo il TAR per la Puglia, pertanto, l’episodio della minaccia con la pistola d’ordinanza del 27 gennaio 2004, riportato nel provvedimento impugnato, “indubbiamente incide sul requisito della buona condotta e sull’affidabilità ad esercitare le funzioni di guardia giurata, rendendo attuate il pericolo d’abuso ove si abbia riguardo anche all’insieme degli elementi di fatto risultanti dai rapporti di servizio redatti dall’Ufficio Polstato di Manfredonia ed allegati alla richiamata nota istruttoria 28 gennaio 2004 n.16/B/2004”, con la conseguenza che “il giudizio espresso del venir meno del requisito della ‘buona condotta’ e della capacità di abuso non è, dunque, fondato nell’atto impugnato su una sola circostanza di fatto (la denunziata minaccia) di dubbia certezza, ma trova un logico riscontro in più documentati e rilevati episodi”.

3.- Il signor [OMISSIS] ha appellato l’indicata sentenza chiedendone la riforma. In particolare, dopo aver ricordato di aver svolto il servizio di guardia giurata sempre con professionalità, di essere incensurato e che nessun seguito aveva avuto la denuncia per l’episodio del 27 gennaio 2004, il signor [OMISSIS] ha sostenuto che illegittimamente l’amministrazione aveva dato rilievo alla denuncia della ex moglie (e quindi alle dichiarazioni di una sola parte, peraltro da lui querelata per calunnia) senza svolgere ulteriori obiettivi accertamenti e senza consentirgli alcun contraddittorio. Ed erronea in conseguenza risulta la sentenza del TAR per la Puglia che ha ritenuto di dover respingere il suo ricorso facendo riferimento a tale denuncia e ad alcuni irrilevanti precedenti, peraltro non indicati nel provvedimento impugnato.

4.- A seguito del provvedimento con il quale, il 19 febbraio 2007, l’amministrazione poneva in esecuzione l’appellata sentenza, il signor [OMISSIS] ne chiedeva la sospensione che veniva concessa dalla V Sezione di questo Consiglio di Stato nella Camera di Consiglio del 13 marzo 2007.

5.- Tutto ciò premesso, si deve ricordare che, come affermato anche nella sentenza del TAR di Bari, per principio consolidato l’esigenza di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica impongono al titolare dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di guardia particolare giurata di avere una condotta irreprensibile e immune da censure e che, nella valutazione di tale requisito, l’autorità di pubblica sicurezza dispone di un ampio potere di apprezzamento discrezionale, in funzione della pericolosità dell’attività soggetta ad autorizzazione e della delicatezza degli interessi pubblici coinvolti, che può essere censurato solo se risultano vizi di irrazionalità e incoerenza (fra le più recenti, Consiglio Stato, sez. VI, 27 agosto 2010, n. 5981).

Nell’esercizio di tale potere l’Amministrazione deve peraltro dare puntualmente atto delle ragioni che inducono a ritenere che i fatti accertati (o il reato commesso), per tipologia e per modalità di realizzazione, abbiano fatto venir meno il necessario requisito della buona condotta (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 2010, n. 4853). E tale accertamento deve essere particolarmente rigoroso quando, come nella fattispecie, il venir meno del requisito della buona condotta si riflette direttamente sulla capacità lavorativa del soggetto interessato.

6.- Si deve quindi ritenere che i fatti che costituiscono il presupposto per l’emanazione del provvedimento di revoca debbano essere oggetto di un approfondito accertamento che può anche nascere dalla denuncia proveniente da un terzo ma non può basarsi esclusivamente su tale denuncia, occorrendo invece l’individuazione di seri elementi ostativi, frutto (anche) di accertamenti di polizia, direttamente riferibili alla condotta della parte interessata.

E deve essere escluso, in assenza di ulteriori elementi probatori circa lo svolgimento dei fatti e le responsabilità dell’interessato, qualsiasi automatismo tra una denuncia penale e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio della professione di guardia particolare giurata.

Mentre, per il periodo necessario allo svolgimento delle necessarie indagini, può essere adottata, sempre che ne sussistano i presupposti, la misura più lieve della sospensione della licenza (ai sensi dell’art. 10 del t.u.l.p.s.).

7.- Applicando tali principi alla fattispecie in esame l’appello risulta fondato.

Il Prefetto di Foggia ha infatti disposto, il 2 febbraio 2004, la revoca del decreto di approvazione della nomina a guardia particolare giurata e della licenza di porto di d’armi per difesa personale del signor [OMISSIS], con il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, facendo esclusivo riferimento alla denuncia della ex moglie Patrizia Zammarano per la minaccia del 27 gennaio 2004.

Nel giudizio di primo grado risulta poi depositata una informativa, in data 28 gennaio 2004, dell’Ufficio della Polizia di Stato di Manfredonia nella quale sono stati indicati alcuni episodi di minor rilievo (sempre riguardanti il rapporto conflittuale con l’ex coniuge) verificatisi nell’anno precedente.

A giudizio di questo Collegio tali elementi, nel loro complesso, non potevano giustificare il provvedimento di revoca adottato (mentre forse avrebbero potuto giustificare un meno grave e non definitivo provvedimento di sospensione della licenza) e dimostrano la mancanza di una adeguata attività istruttoria volta a dare consistenza ed attendibilità agli addebiti.

Con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo, per difetto di istruttoria e di motivazione, il provvedimento del Prefetto di Foggia, impugnato davanti al TAR per la Puglia.

8.- Tale conclusione è confortata dalla circostanza, dedotta in giudizio dal signor [OMISSIS] (e non contraddetta dall’amministrazione), che nessun seguito di rilevanza penale ha avuto la denuncia dell’ex coniuge per il citato episodio del 27 gennaio 2004.

Non è poi stato fornito in giudizio dall’amministrazione alcun ulteriore elemento (neanche riguardante fatti successivi) capace di dimostrare la non idoneità all’esercizio della funzione di guardia particolare giurata del signor [OMISSIS] che, si ricorda, per effetto delle misure cautelari disposte prima dal TAR per la Puglia e poi dalla Sezione V di questo Consiglio, in tutti questi anni ha continuato a svolgere la sua attività lavorativa di guardia giurata.

9.- Occorre a questo punto esaminare la domanda risarcitoria, riproposta anche in appello dal signor [OMISSIS].

Al riguardo si deve preliminarmente rilevare che, come si è già in precedenza accennato, i provvedimenti impugnati in primo grado hanno avuto effetti molto contenuti nel tempo in quanto sia il TAR per la Puglia, nel giudizio di primo grado, e sia la Sezione V del Consiglio di Stato, nel grado di appello, ne hanno tempestivamente sospeso gli effetti pregiudizievoli.

La richiesta, per i residui periodi non coperti dalle indicate misure cautelari, deve essere peraltro respinta non potendo ravvisarsi nella condotta dell’amministrazione quella colpa (grave) che costituisce il presupposto per il riconoscimento di un danno ingiusto e quindi risarcibile.

Si deve infatti ricordare che, ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, dovendo quindi verificarsi se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che può essere affermata detta responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negarla, invece, quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio Stato, sez. V, 26 maggio 2010, n. 3367).

10.- Per tutti gli esposti motivi l’appello deve essere accolto, la sentenza appellata deve essere annullata e deve essere anche disposto l’annullamento del provvedimento del Prefetto di Foggia, in data 2 febbraio 2004, impugnato davanti al TAR per la Puglia.

Le spese possono essere integralmente compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza definitivamente pronunciando sull’appello (n. 1303 del 2007), come in epigrafe proposto, accoglie l ‘appello e, per l’effetto, annulla la sentenza del T.A.R. Puglia, Sede di Bari, Sezione II, n. 5170 del 2005, e dispone l’annullamento del provvedimento del Prefetto di Foggia, in data 2 febbraio 2004, impugnato davanti al TAR per la Puglia.

Respinge la domanda di risarcimento dei danni avanzata dall’appellante.

Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pier Luigi Lodi, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Dante D’Alessio, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011

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