Norme & Prassi

Attività di tenuta del registro degli organismi di mediazione ed enti di formazione. Si applica la disciplina del silenzio assenso

Il procedimento di iscrizione nel registro degli organismi di mediazione e degli enti di formazione è regolato dalla disciplina del silenzio assenso. Ne consegue che il trascorrere del termine di quaranta giorni dalla data di presentazione dell’istanza, ovvero del termine di venti giorni dalla data di ricezione della documentazione integrativa richiesta, assume una valenza giuridica propria, in quanto comporta il prodursi di effetti analoghi all’accoglimento dell’istanza di iscrizione, tanto che l’amministrazione è tenuta comunque all’iscrizione>>. Ciò non vuol dire però che <<l’amministrazione non possa, in seguito, intervenire sugli effetti dell’atto, ripristinando la situazione di legittimità nel caso in cui l’istanza non risulti adeguatamente supportata dai requisiti di legge previsti.

Ministero della Giustizia, Circolare 13 giugno 2011

il Direttore generale della Giustizia civile
visto l’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28;

visto il decreto interministeriale del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico 18 ottobre 2010 n. 180, pubblicato sulla G.U. 4 novembre 2010 n. 258,  con efficacia dal 5 novembre 2010, con il quale è stato adottato il “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del Decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28”;

 visto l’art.3 del suddetto decreto interministeriale che prevede che il registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione è tenuto presso il Ministero della Giustizia e ne è responsabile il direttore generale della giustizia civile(o suo delegato);

 visto l’art.17 del suddetto decreto interministeriale, che prevede che l’elenco degli enti di formazione abilitati a svolgere l’attività di formazione dei mediatori è tenuto presso il Ministero della Giustizia e ne è responsabile il direttore generale della giustizia civile;

 visto l’art.5 del medesimo decreto interministeriale (cui fa richiamo l’art.19 del medesimo decreto relativamente agli enti di formazione), secondo cui il responsabile del registro approva i modelli di domanda di iscrizione e fissa le modalità di svolgimento delle verifiche, con la indicazione degli atti, dei documenti e dei dati di cui la domanda deve essere corredata;

 visto l’art.10 del medesimo decreto interministeriale, secondo cui spetta al responsabile del registro, per le finalità di cui ai commi 1 e 2, l’esercizio del potere di controllo, anche mediante l’acquisizione di atti e notizie, che viene esercitato nei modi e tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti;

 visto il parere dell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia del 6 giugno 2011;

 adotta la seguente CIRCOLARE

In sede di concreta attuazione dell’attività di tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco degli enti di formazione, si ritiene necessario dare specifica indicazione sul profilo problematico inerente i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi che si attivano a seguito delle diverse istanze proposte a questa direzione generale e, in particolare, sulla applicabilità della disciplina del silenzio assenso.

Le previsioni normative di riferimento
Secondo la previsione di cui all’art.5 del decreto interministeriale di cui all’oggetto, il procedimento di iscrizione degli organismi di mediazione nel registro tenuto presso il Ministero della Giustizia deve essere concluso entro quaranta giorni, decorrenti dalla data di ricevimento della domanda. La richiesta di integrazione della domanda o dei suoi allegati può essere effettuata  per una sola volta. Dalla data in cui risulta pervenuta la documentazione integrativa richiesta decorre un nuovo termine di venti giorni. Quando è scaduto il termine di giorni quaranta (ovvero il termine di venti giorni nel caso in cui sia stata formulata la richiesta di integrazione ed essa sia pervenuta) senza che si sia  provveduto, si procede comunque all’iscrizione.

L’art.19 del medesimo decreto interministeriale, poi, estende la medesima previsione sopra citata anche al procedimento di iscrizione nell’elenco degli enti di formazione.

 Le suddette previsioni normative, dunque, chiariscono espressamente l’applicazione della disciplina del silenzio assenso relativamente al procedimento di iscrizione nel registro degli organismi di mediazione e degli enti di formazione: il trascorrere del termine di quaranta giorni dalla data di presentazione dell’istanza, ovvero del termine di venti giorni dalla data di ricezione della documentazione integrativa richiesta, assume una valenza giuridica propria, in quanto comporta il prodursi di effetti analoghi all’accoglimento dell’istanza di iscrizione, tanto che l’amministrazione è tenuta comunque all’iscrizione.

 Il problema
Nei procedimenti amministrativi di competenza, questa direzione generale non si limita unicamente a valutare la sussistenza dei presupposti per la iscrizione nel registro degli organismi di mediazione ovvero nell’elenco degli enti di formazione.

 Si inserisce, infatti, nell’ambito delle attività di controllo e vigilanza di questa direzione generale, anche la verifica di legittimità delle ulteriori richieste che un organismo di mediazione od un ente di formazione già iscritti sono tenuti a formulare, in forza della previsione di cui all’art.8 del decreto interministeriale sopra citato.

 Più segnatamente, ciascun organismo di mediazione od ente di formazione iscritto è tenuto a comunicare a questa direzione generale qualunque vicenda modificativa dei requisiti, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione; ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui un organismo od ente intende modificare le proprie sedi, il regolamento, il numero dei mediatori, il numero dei formatori, e così via.

 Su ciascuna delle suddette richieste questa direzione generale è tenuta a compiere una valutazione di legittimità, dovendo controllare la sussistenza dei requisiti. In sostanza,  come all’atto della domanda di iscrizione si compie la valutazione della sussistenza dei suddetti requisiti , così parimenti, tale attività va compiuta anche quando l’istanza è successiva al momento della iscrizione. La direzione generale, in tali ipotesi, in caso di regolarità delle modifiche richieste, adotta un provvedimento di modifica del precedente, il quale costituisce, dunque, nell’ambito del rapporto tra la amministrazione vigilante e l’ente od organismo istante, l’atto regolativo e legittimante l’attività che può essere svolta dai soggetti interessati.

 È dunque indubbio che, anche in questo caso, deve ragionarsi in termini di procedimento amministravo attivato a seguito di una istanza di un privato: la legittimità della variazione richiesta, infatti, può derivare solo a seguito del compiuto controllo da parte di questa direzione generale.

 Il problema è che, relativamente a tali istanze, non vi è alcuna espressa indicazione, in sede di regolamento interministeriale n.180/2010, dei tempi di chiusura del procedimento né degli effetti della mancata adozione di un provvedimento espresso entro il termine previsto.

 Ciò a differenza di quanto espressamente detto  relativamente alle istanze di nuova iscrizione dagli artt. 5 e 19 del regolamento interministeriale.

 L’applicazione della disciplina del silenzio assenso di cui alla l.241/90
Sotto il profilo normativo, la soluzione che si ritiene di dovere applicare, in linea con il parere espresso dall’ufficio legislativo, consiste nella applicabilità, ai procedimenti amministrativi in esame, delle previsioni normative in materia di procedimento amministrativo di cui alla l. 7 agosto 1990 n.241, segnatamente nella parte in cui ha generalizzato l’istituto del silenzio assenso ad ogni procedimento amministrativo, salvo specifiche esclusioni. In particolare, il riferimento normativo è dato: a.dall’art.2, secondo cui 1.Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. 2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni; b.dall’art. 20, secondo cui 1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

In tali casi, pertanto, se nel termine di trenta giorni non viene adottato il provvedimento formale di autorizzazione, trova applicazione la disciplina del silenzio assenso, con la conseguenza che, ad esempio, l’organismo può operare nelle ulteriori sedi, può applicare il nuovo regolamento, può utilizzare i nuovi mediatori o formatori di cui ha chiesto l’inserimento negli elenchi e così via.

 Va precisato che, a tal proposito, il legislatore del 2005, nel modificare la previsione contenuta nell’art.20 della legge 241/90, ha inteso generalizzare l’istituto del silenzio assenso a tutti i procedimenti amministrativi, salvo eccezioni di cui al comma quarto, non riconducibili alla presente fattispecie.

 Ed è proprio la scelta legislativa di rendere generale la applicazione della previsione del silenzio assenso per tutti i procedimenti amministrativi che induce a non propendere per la diversa tesi, pur prospettata da parte della dottrina e da una giurisprudenza minoritaria, secondo cui l’effetto, consistente nella legittimazione a svolgere l’attività, si determina in forza di legge e pertanto solo ove ricorrono tutte le condizioni previste dalla legge per il legittimo rilascio del provvedimento favorevole; sicchè, in mancanza di tali condizioni, la fattispecie del silenzio assenso non si potrebbe perfezionare, con la conseguenza che il privato si troverebbe a svolgere l’attività in via di mero fatto in mancanza di un titolo abilitativo.

 Secondo tale impostazione, occorrerebbe, sempre ed in ogni caso, una previa valutazione da parte dell’amministrazione vigilante, con la conseguenza che non potrebbe operare l’effetto del silenzio assenso nel caso di inutile decorso del termine di conclusione del procedimento.

 Se, da un lato, tale soluzione consente alla amministrazione vigilante di mantenere un potere di controllo che deve necessariamente estrinsecarsi attraverso un suo atto formale di accoglimento dell’istanza, d’altro lato, è confliggente, per come detto, con il dato normativo di riferimento, secondo cui, comunque ed in ogni caso, il privato che abbia attivato un procedimento amministrativo per lo svolgimento di una attività, deve essere messo in condizioni di potere operare nel senso richiesto una volta che il termine di conclusione sia trascorso senza adozione di un atto formale.

 La applicazione, dunque, delle previsioni normative in esame consente di: a.non impedire agli istanti di potere operare nel senso della richiesta compiuta una volta decorso il tempo di giorni trenta dalla presentazione dell’istanza; b.porre comunque l’amministrazione nella possibilità di intervenire in un momento successivo o in via di autoannullamento o, comunque, attivando quei poteri che sono da porre in relazione alla propria funzione di vigilanza, dovendo questa direzione generale controllare costantemente che ciascun organismo od ente svolga l’attività nel rispetto delle previsioni di legge, primaria e secondaria, oltre che delle direttive date.

La tutela dell’interesse pubblico ed i poteri dell’amministrazione vigilante
Se, dunque, l’unica via percorribile nella questione in esame è quella della applicabilità della disciplina del silenzio assenso come modalità di possibile conclusione del procedimento amministrativo, d’altro lato ciò non vuol dire che l’amministrazione non possa, in seguito, intervenire sugli effetti dell’atto, ripristinando la situazione di legittimità nel caso in cui l’istanza non risulti adeguatamente supportata dai requisiti di legge previsti. A tutela dell’interesse pubblico a che l’attività che l’interessato può svolgere, per effetto del silenzio assenso, rientri nell’ambito della corrispondenza alle previsioni di legge, presiedono tre diverse previsioni normative: 1.l’art.20 della l.241/90, secondo cui l’amministrazione tenuta alla adozione del provvedimento espresso può, nel caso in cui ha operato il silenzio assenso, assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt.21 quinquies e 21 nonies: cioè, revocare l’atto amministrativo formatosi per silenzio assenso (in caso di mutamento delle situazioni di fatto o per sopravvenuto interesse pubblico); annullare l’atto amministrativo illegittimo (sussistendo le ragioni di pubblico interesse). 2.l’art.21, comma 2 bis, della legge 241/90, secondo cui restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste dalle leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli artt.19 e 20; 3.l’art.21, comma 1, della legge 241/90, secondo cui con la denuncia o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato. Al secondo comma è poi previsto che “le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente”.

Il potere di intervento successivo dell’amministrazione e la responsabilizzazione della parte istante
 È proprio su tali poteri di intervento successivo da parte della pubblica amministrazione che si intende fare alcune precisazioni, in modo da rendere chiaro quali siano i limiti della effettiva e corretta applicazione della disciplina del silenzio assenso.
 In primo luogo, come si è visto, sussiste il potere dell’amministrazione di procedere alla revoca dell’atto ove, successivamente alla sua adozione ovvero al maturarsi del silenzio assenso, sopravvengano fatti nuovi od un nuovo interesse pubblico che inducono a non rendere più produttivo di effetti l’atto (anche tacito) adottato.
 In secondo luogo, l’amministrazione vigilante può intervenire con un atto di annullamento di ufficio ove sussistano ragioni di pubblico interesse. Tale ultimo contesto, in particolare, sembra riconducibile, ad esempio, al caso in cui sia stata formulata istanza di approvazione di un nuovo regolamento di procedura che contenga nuove indicazioni rispetto a quello in precedenza adottato.

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