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L’età del minore non influisce sulla determinazione del contributo di mantenimento – Cassazione Civile, Sentenza n. 13630/2011

In presenza di un genitore che dimostra di possedere rilevanti risorse finanziarie, il contributo in favore del figlio non può essere diminuito sulla base della sola età infantile. Ed invero, proprio perché si tratta del contributo di un genitore, debbono venire in considerazione una serie di parametri che, all’esito di una valutazione olistica e comparata, debbono portare a una individuazione dell’apporto di natura economica che essenzialmente tenga conto delle esigenze del minore stesso. Esigenze che, pur correlate all’età, non possono prescindere – nel rispetto del principio di proporzionalità che presiede all’obbligo di mantenimento – dalle risorse economiche dei genitori, dal tenore di vita già goduto e, in definitiva, dalle aspettative che derivano o possano derivare dalla collocazione sociale della famiglia.

L’interesse della prole, sotto il profilo economico (che non è mai fine a se stesso, comportando una serie di opzioni e possibilità che potranno ripercuotersi sulle possibilità educative, di crescita intellettuale, di realizzazione in ambito lavorativo e sociale in genere), non può essere individuato sulla base di un dato come l’età, isolato dalle aspirazioni, dalle capacità del minore e dal contesto socio-economico della famiglia.

Giova in proposito richiamare il principio secondo cui, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento a favore del figlio minore, le buone risorse economiche dell’obbligato hanno rilievo non soltanto nel rapporto proporzionale col contributo dovuto dall’altro genitore, ma anche in funzione diretta di un più ampio soddisfacimento delle esigenze del figlio, posto che i bisogni, le abitudini, le legittime aspirazioni di questo, e in genere le sue prospettive di vita, non potranno non risentire del livello econoinico – sociale in cui si colloca la figura del genitore (Cass., 13 luglio 1995, n. 7644; Cass. 2 maggio 2006, n. 10119; Cass. 24 aprile 2007, n. 9915).

(© Litis.it, 24 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

Cassazione Civile, Sezione Prima, Sentenza n. n. 13630 del 21/06/2011

Svolgimento del processo
 
1 – Con sentenza in data 22 aprile 2004 il Tribunale di Grosseto pronunciava la separazione personale dei coniugi M.G. e P.F., ponendo a carico del primo un assegno di mantenimento nei confronti della moglie pari ad Euro 300,00 e un contributo, nella misura di Euro 700,00 mensili, oltre alla metà delle spese straordinarie di natura medica scolastica e ricreativa, per il mantenimento del figlio minore Ma.

 La Corte di appello di Firenze, con la decisione indicata in epigrafe, pronunciando sull’appello proposto dal M., il quale aveva chiesto accertarsi l’insussistenza dell’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e una riduzione del contributo per il figlio, rigettava il primo motivo, ponendo in evidenza, con riferimento allo svolgimento, da parte dell’appellante, della professione di odontoiatra e all’inattendibilità del reddito dichiarato, una condizione patrimoniale di grande rilievo, di certo superiore a quella, pur agiata, della P., come era dato di desumere dall’elevato tenore di vita del M., caratterizzato dal possesso di autovetture di lusso, di un’imbarcazione e di un bene immobile. La decisione di primo grado veniva, al contrario, riformata in relazione al contributo in favore del figlio Ma, ritenendo la Corte territoriale che “in considerazione dell’età del minore (sette anni) e per essere soltanto un contributo (non essendo la madre priva di redditi)” la somma di Euro 700,00 mensili apparisse eccessiva, tanto da doversi ridurre ad Euro 500,00 mensili.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la P., deducendo un motivo, illustrato con memoria. Resiste con controricorso il M.
 
Motivi della decisione
 
2 – Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del controricorso sollevate dalla P. nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

2.a – La questione prospettata in base alla formulazione della procura speciale, in cui manca uno specifico riferimento al giudizio di legittimità, è all’evidenza infondata, in quanto la delega alla difesa “nella presente procedura in ogni sua fase e grado”, ancorché generica, risultando apposta a margine del controricorso, non può non riferirsi che al presente giudizio. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, infatti, la collocazione a margine del ricorso rivela uno specifico collegamento tra la procura ed il giudizio di legittimità (Cass., 13 dicembre 2010, n. 25137; Cass., 5 settembre 2005 n. 17768; Cass. 18 marzo 2005, n. 5953; Cass. 19 aprile 2002 n. 5722), quale che sia il tenore dei termini utilizzati per la formazione dell’atto (Cass., Sez. Un., 10 aprile 2000, n. 108).

2.b – Quanto alla questione relativa alla sottoscrizione apposta dal difensore per autenticare la firma del controricorrente, vale bene richiamare il principio secondo cui l’identità di tale segno grafico rispetto a quello apposto in calce al controricorso – in corrispondenza, per altro, al nome scritto a stampa del difensore Avv. G. – comporta una presunzione di appartenenza della sottoscrizione al difensore medesimo, ragion per cui deve escludersi che tale firma possa essere attribuita a persona non identificabile (Cfr, per un caso affatto speculare, Cass., 16 luglio 2004, n. 13170).

2. c – Nessun vizio è emerso, infine, in relazione alla notifica del controricorso, eseguita, in virtù di specifica autorizzazione, ai sensi della l. 21 gennaio 1954, n. 53.

2.1 – Con unico motivo la P. deduce la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c..

Si sostiene, formulandosi all’uopo idoneo momento conclusivo di sintesi, omologo del quesito di diritto, che la decisione in esame, dopo essersi diffusa, anche in maniera eccessiva, sulle elevatissime capacità reddituali del M. , abbia tuttavia ritenuto di ridurre il contributo per il mantenimento del figlio, così come determinato nella decisione di primo grado (da settecento a cinquecento Euro), sulla base di un mero riferimento all’età del minore stesso. Il motivo è fondato.

La Corte territoriale, dopo aver evidenziato, nell’esaminare il motivo, poi rigettato, inerente all’esclusione dell’assegno in favore dell’appellata, le cospicue capacità reddituali e patrimoniali del M. , “dentista dal tenore di vita vistosamente elevato”, ha ritenuto “eccessiva” la somma determinata a titolo di concorso nel mantenimento del figlio, “in considerazione dell’età del minore (sette anni) e per essere soltanto un contributo (non essendo la madre priva di redditi)”.

È evidente la ricorrenza del denunciato vizio logico, in quanto non è dato di comprendere come, in presenza di un genitore che dimostra di possedere rilevanti risorse finanziarie, il contributo in favore del figlio debba essere diminuito, per altro considerando, senza fornire alcuna specificazione al riguardo, la sola età infantile (a prescindere dal tautologico riferimento alla circostanza che si tratta di un contributo).

Ed invero, proprio perché si tratta del contributo di un genitore, debbono venire in considerazione una serie di parametri che, all’esito di una valutazione olistica e comparata, debbono portare a una individuazione dell’apporto di natura economica che essenzialmente tenga conto delle esigenze del minore stesso.

Esigenze che, pur correlate all’età, non possono prescindere – nel rispetto del principio di proporzionalità che presiede all’obbligo di mantenimento – dalle risorse economiche dei genitori, dal tenore di vita già goduto e, in definitiva, dalle aspettative che derivano o possano derivare dalla collocazione sociale della famiglia.

L’interesse della prole, sotto il profilo economico (che non è mai fine a se stesso, comportando una serie di opzioni e possibilità che potranno ripercuotersi sulle possibilità educative, di crescita intellettuale, di realizzazione in ambito lavorativo e sociale in genere), non può essere individuato sulla base di un dato come l’età, isolato dalle aspirazioni, dalle capacità del minore e dal contesto socio-economico della famiglia.

Giova in proposito richiamare il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento a favore del figlio minore, le buone risorse economiche dell’obbligato hanno rilievo non soltanto nel rapporto proporzionale col contributo dovuto dall’altro genitore, ma anche in funzione diretta di un più ampio soddisfacimento delle esigenze del figlio, posto che i bisogni, le abitudini, le legittime aspirazioni di questo, e in genere le sue prospettive di vita, non potranno non risentire del livello econoinico – sociale in cui si colloca la figura del genitore (Cass., 13 luglio 1995, n. 7644; Cass. 2 maggio 2006, n. 10119; Cass. 24 aprile 2007, n. 9915).

Appare quindi evidente come la motivazione della sentenza impugnata, oltre ad essere connotata, in parte qua, dalla totale inosservanza dei criteri stabiliti dall’art. 155 c.p.c., comma 4, sia affetta dal denunziato vizio di contraddittorietà, per aver disposto la riduzione del contributo – per altro non particolarmente cospicuo – concernente il mantenimento del figlio, dopo aver magnificato, perfino ironizzando sulle deduzioni inerenti a una deteriore situazione economica del Dott. M. (”un caso doloroso, forse estremo in tutta la categoria nell’ambito della Toscana, di disadattamento professionale”), le risorse patrimoniali e reddituali dell’obbligato.

All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze che, in diversa composizione, esaminerà la questione senza incorrere nel rilevato vizio motivazionale, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
 
P.Q.M.
 
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.
 
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2011

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