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Affidamento del servizio di manutenzione per le attrezzature aziendali – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3510/2011

Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 3510 del 09/06/2011

FATTO e DIRITTO

1. – L’Azienda ospedaliera San Paolo di Milano ha indetto una procedura aperta per l’affidamento quinquennale, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, del servizio di manutenzione nei confronti delle proprie attrezzature biomedicali e tecno-economali.

A tale gara hanno in concreto partecipato l’ATI di cui è capogruppo mandataria la GE Medical Systems Italia – GEMS s.p.a., corrente in Milano e l’ATI guidata dalla Ingegneria Biomedica Santa Lucia – ISBL s.p.a., corrente in Gragnano Trebbiense (PC). Quest’ultima, in esito alla gara stessa, ha ottenuto solo punti 83,98, mentre all’ATI GEMS il seggio di gara ha assegnato punti 87,71, così divenendo aggiudicataria del servizio appaltando. L’ATI ISBL ha allora adito il TAR Lombardia – Milano, il quale, con sentenza n. 1871 del 16 giugno 2010, tra tutte le censure proposte ha accolto solo quella inerente all’illegittima ed eccessivamente lusinghiera valutazione del sotto – criterio «Tempi di intervento e ripristino manutenzioni correttive».

2. – Appella allora l’ATI ISBL, ribadendo le censure disattese in primo grado e deducendo in punto di diritto: A) – la necessità, indicata nella lex specialis e non surrogabile in altro mobile, di rendere singolarmente (ossia, per ciascun amministratore) la dichiarazione in ordine al possesso dei requisiti di moralità; B) – la sussistenza, ben evincibile dal certificato della Camera di commercio, di amministratori cessati e non dichiarati dall’ATI GEMS; C) – l’irregolarità del certificato di qualità presentati dalla mandante TESI s.r.l. (perché già scaduta) e dalla mandataria GEMS (perché in lingua straniera e non tradotta), donde l’assenza, in capo a quest’ultima, del presupposto per fruire di cauzione d’importo dimezzato; D) – l’omessa indicazione delle parti di servizio spettanti a ciascun’impresa raggruppata e delle quote di composizione del raggruppamento, non sussistendo il limite d’applicabilità dell’art. 37, c. 13 del Dlg 12 aprile 2006 n. 163, cui la lex specialis di gara ha fatto più volte riferimento, ai soli appalti di lavori o ai soli raggruppamenti verticali; E) – l’omessa dichiarazione in ordine alla costituzione dell’ATI GEMS e l’omessa dimostrazione dei poteri rappresentativi del procuratore speciale; F) – l’illegittimità della valutazione rese dal seggio di gara; G) – l’illegittima composizione di quest’ultimo.

Con motivi aggiunti depositati il 26 agosto 2010, l’ATI appellante impugna altresì la rinnovazione del giudizio tecnico sul citato sotto-criterio, reso dal seggio di gara nella sede di riemanazione successiva alla sentenza n. 1871/2010, deducendo ulteriori profili di censura. Resiste in giudizio l’intimata stazione appaltante, che conclude per il rigetto della pretesa attorea. Si è costituita nel presente giudizio pure la controinteressata ATI GEMS, la quale eccepisce anzitutto la tardività dell’appello(perché soggetto al termine dimidiato ex art. 245, commi 2-quinquies e 2-terdecies del Dlg 163/2006, nel testo novellato dal Dlg 20 marzo 2010 n. 56, applicabile ratione temporis alla vicenda) e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea.

Alla pubblica udienza del 15 aprile 2011, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è stato assunto in decisione dal Collegio.

3.1. – In via preliminare, va rigettata l’eccezione di tardività della notificazione del ricorso in appello, formulata dalla controinteressata ATI GEMS.

L’eccezione muove dalla considerazione che, a detta della controinteressata, il ricorso in appello, in materia di appalti pubblici, soggiacerebbe al termine di trenta giorni ricavabile dall’art. 245, c. 2-terdecies del Dlg 163/2006 e da calcolare a partire dalla comunicazione della pubblicazione della sentenza impugnata,.

Al riguardo, la disposizione invocata è in effetti applicabile ratione temporis nella specie, poiché si tratta d’un appello notificato il 21 luglio 2010 e depositato il successivo giorno 29 e, come tale, regolato dalla novella recata all’art. 245 del Dlg 163/2006 dall’art. 8 del Dlg 53/2010 in sede di recepimento della c.d. direttiva ricorsi.

Si tratta, perciò, d’un termine decorso prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo e per il quale è appunto applicabile il regime, vigente dal 27 aprile al 15 settembre 2010, di cui al ripetuto art. 245. Il comma 2-terdecies di quest’ultimo, tuttavia, si limita a stabilire l’applicabilità delle disposizioni dei commi che precedono anche ai giudizi innanzi al Consiglio di Stato e, tra tali disposizioni, non ve ne è alcuna che sia invocabile nel caso, qual è quello in esame, del ricorso in appello avverso una sentenza non notificata. Pertanto al ricorso in epigrafe deve ritenersi applicabile il c.d. termine “lungo”, per il computo del quale occorre far riferimento al richiamo che l’art. 245, c. 2-bis del Dlg 163/2006 fa dell’art. 23-bis della l. 6 dicembre 1971 n. 1034. Tra le disposizioni dell’art. 23-bis così richiamato, è compreso pure il suo c. 7 che prevede, ai fini della tempestività dell’appello, il termine, ampiamente rispettato nella specie, di 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza.

Non vale allora invocare, come fa la controinteressata, l’art. 245, c. 2-quinques del Dlg 163/2006, in quanto esso disciplina specificamente il solo appello avverso le ordinanze cautelari e, a tutto concedere, non riguarda i casi d’appello per le sentenze comunicate e non notificate.

3.2. – Non così deve concludere il Collegio con riguardo ai motivi aggiunti del 26 agosto 2010, aventi ad oggetto essenzialmente l’impugnazione del giudizio tecnico rinnovato del seggio di gara , in esecuzione della sentenza gravata.

Tali motivi sono inammissibili, in disparte ogni considerazione sul loro tuziorismo e sul fatto che le relative doglianze han formato oggetto d’altra ed autonoma impugnazione in primo grado ed in appello (ricorso n. 764/2011 RG). Per vero, essi riguardano l’avvenuta esecuzione della sentenza n. 1871/2010 su un punto o non contestato affatto dall’appellante nel gravame introduttivo, oppure in quest’ultima sede opposto con argomenti generici e tali al più d’impingere nel merito di valutazioni tecniche, senza l’apporto di rigorose confutazioni. Sicché quel capo di tal sentenza, l’unico favorevole per l’ATI appellante, è passato in giudicato nei confronti di essa e, quindi, ogni doglianza sugli atti consequenziali vanno, se del caso (e come è in effetti accaduto), proposte nelle opportune e separate sedi.

4. – Nel merito, tuttavia, l’appello non è condivisibile e va disatteso, per le considerazioni qui di seguito indicate.

5. – Anzitutto l’ATI appellante si duole delle irregolari ed incomplete dichiarazioni rese dall’ATI contronteressata ai sensi dell’art. 38, c. 1, lett. b) e c) del Dlg 163/2006, relativamente: A) – al fatto che, per la GEMS Italia s.p.a., detta dichiarazione è stata effettuata dall’ amministratore delegato sig. [OMISSIS] pure per gli altri soggetti muniti di poteri rappresentativi; B) – all’incompatibilità di tal dichiarazione con la facoltà di cui all’art. 46 del DPR 28 dicembre 2000 n. 445; C) – al contenuto della dichiarazione stessa, perché concerne solo tre dei quattro amministratori con detti poteri; C) – all’omessa indicazione degli amministratori cessati dalla carica nell’ ultimo triennio, cosa, questa, non regolarizzabile ex post.

Ebbene, quanto al profilo sub A), soccorre la circostanza che la dichiarazione in parola, oltre ad esser definita dalla lex specialis di gara quale «dichiarazione unica sostitutiva», è stata redatta in conformità utilizzando lo schema Mod. 1), allegato al disciplinare di gara.

In relazione a ciò, non irrilevante è la modalità concreta di redazione della dichiarazione, giacché questa, nella misura in cui è considerata unica, dev’esser resa, a pena d’inammissibilità, «… dal Legale Rappresentante oda un Procuratore …» in modo unitario. Va redatto un unico documento, per evidenti ragioni di concentrazione e di facile lettura dei dati esposti, relativo a tutte le informazioni richieste, secondo la scansione voluta dal medesimo disciplinare con le lettere a), b), c), ecc. Pertanto, in ordine ai dati di cui alla lett. b) (quelli, appunto, in contestazione), la locuzione «dichiarazione… singolarmente resa», su cui l’appellante molto si spende, dev’esser non già estrapolata. Tal locuzione va intesa piuttosto con specifico riguardo al contesto, voluto dalla lex specialis, dell’unitarietà della dichiarazione da parte del legale rappresentante. Questi, dunque, dichiara egli solo, assumendosene la responsabilità di legge, la posizione propria e di ciascun altro soggetto munito di poteri rappresentativi.

Dal che, nel contesto regolatorio della gara in esame, l’impossibilità di leggere l’avverbio singolarmente quale necessità d’una dichiarazione personale di ciascun amministratore, da render cioè in modo separato l’uno dall’altro, sì da determinare, se si volesse seguire l’appellante, altrettante dichiarazioni in contraddizione evidente con la regola dell’unicità, posta per semplificare il quadro procedimentale.

Inoltre, il Giudice di prime cure correttamente rammenta come siffatta dichiarazione sia stata resa in conformità al modello all’uopo predisposto dalla stazione appaltante, per cui la predilezione della quale a favore di quest’ultimo va letta secondo gli ovvi canoni della buona fede nelle trattative. In tal senso, l’uso puro e semplice del predetto modello, da parte di ciascun’impresa partecipante, non è che l’adesione al metodo di raccolta unitaria delle informazioni richieste, certo non esclusivo, ma prescelto dallo stipulante perché il più idoneo mezzo di comunicazione per comprendere e ricevere le offerte nel loro complesso. Sicché non sono imputabili all’offerente, che se ne sia servito in modo scrupoloso, eventuali manchevolezze descrittive nella struttura del mezzo stesso.

Scolora così la pretesa difformità della dichiarazione del sig. [OMISSIS] con l’art. 46 del DPR 445/2000. Ciò avrebbe potuto aver senso se la dichiarazione fosse stata libera nelle forme, mentre nella specie era predefinita ed imposta unitariamente in capo al legale rappresentante. Sicché ogni richiamo della lex specialis alla disciplina delle dichiarazioni sostitutive si può leggere non già come rigoroso rinvio agli istituti colà contemplati, ma ai meri fini delle formalità dichiarative e solo come conformate per le esigenze di gara.

Né maggior pregio ha la pretesa dell’appellante circa l’omessa indicazione d’un quarto soggetto con poteri rappresentativi, giacché: 1) – questo fatto è insussistente; 2) – la relativa dimostrazione, con la successiva produzione dell’apposita misura camerale, è non già un’integrazione documentale indebita e postuma, bensì la prova di completezza e veridicità della dichiarazione stessa; 3) – non poteva bastare la mera allegazione d’incompletezza, giacché, per predicare l’omissione, l’ATI appellante ab origine era onerata ad offrire un serio principio di prova circa l’effettiva sussistenza dell’obbligo dichiarativo pure nei riguardi di tal soggetto.

A più forte ragione va confermata la sentenza di primo grado, laddove afferma, a fronte della pur vera circostanza che la dichiarazione dell’ATI controinteressata non ha citato le generalità degli amministratori cessati nell’ultimo triennio, la manifesta irrilevanza di tal adempimento innanzi all’assenza di tali soggetti nel periodo. Anche qui, ad avviso del Collegio, non è chi non veda come si risolva in un vacuo formalismo pretendere l’adempimento in parola a fronte dell’inesistenza del dato da dichiarare e d’ogni principio di prova contraria da parte dell’appellante e, anzi, in presenza d’una documentazione attestante la veridicità di quanto dichiarato.

6. – Da confermare è la sentenza stessa pure nella parte in cui ha respinto ogni doglianza sulla prestazione, da parte dell’ATI controinteressata, della cauzione provvisoria in misura ridotta della metà, ai sensi dell’art. 75, c. 7 del Dlg 163/2006.

In primo luogo, l’appellante non tiene conto del fatto che, in ordine al certificato di qualità UNI EN ISO 9001 2000 della mandante TESI s.r.l., è emesso in copia unica non replicabile e non riporta la data di scadenza perché l’attestazione di qualità perdura fino agli esiti delle relative verifiche periodiche e di riesame del sistema aziendale. Pertanto, è compito della stazione appaltante verificare, se del caso direttamente presso l’organismo certificatore, l’effettiva vigenza attuale dell’attestazione stessa a fronte della dichiarazione di perdurante validità e del fatto che solo il certificato inizialmente emanato è il documento spendibile in ogni procedimento amministrativo.

Affinché, dunque, ciò non si traduca in una mera petizione di principio, non basta asserire la scadenza (più che del certificato) di detta attestazione, servendo piuttosto dimostrare l’assenza attuale di quest’ultimo o, casomai, la soluzione di continuità, cronologica e/o nel livello di qualità, nel possesso del requisito. A tal scopo non è sufficiente, nella specie, affermare che l’ATI controinteressata ha fornito la prova del predetto requisito con un’attestazione successiva alla scadenza del termine per la presentazione dell’offerta, ché tal documento non sostituisce quanto irrimediabilmente non prodotto a suo tempo, ma serve a confutare in fatto, a guisa d’eccezione, l’assunto attoreo.

In tal caso pretestuosa si o appalesa l’affermazione della mancata prova sullo svolgimento della verifica triennale del 2006 (il certificato fu emanato nel 2003), né sul periodo in cui il certificato è rimasto valido. Invero, delle due, l’una: o l’attestazione è, secondo la prospettazione attorea, una tardiva integrazione d’un dato omesso e non dichiarato e, allora, l’atto è in sé indebito ai fini dell’ammissione a gara e, quindi, è irrilevante ciò che dice o non dice; oppure tal documento è solo l’eccezione a confutazione d’un assunto, come si vede, non dimostrato e, allora, sfugge la ragione per cui esso debba riportare dati non direttamente implicati nella procedura di gara.

Del pari, non essendo specificamente sanzionata con l’esclusione, la produzione d’un certificato redatto in lingua diversa dall’italiano, scolorano tutte le questioni che l’appellante fa sull’uso, o no della lingua italiana ai fini della celerità della procedura di gara, giacché tal argomento è in sé fragile e non dirimente per dimostrare l’esistenza di vulnera in sé verso la regolarità procedurale o la par condicio dei partecipanti.

Non convince la complessa argomentazione dell’appellante in ordine all’obbligo, di per sé previsto in generale dall’art. 37, c. 4 del Dlg 163/2006 anche per gli appalti di forniture, dell’obbligo di specificare, in sede d’istanza di partecipazione, le parti del servizio da effettuare e ciò per una duplice ragione. Per un verso, infatti, all’art. 4 del disciplinare di gara, al § 8) delle norme sul contenuto della busta “A” è indicato che, in caso di RTI, occorra specificare «… le imprese raggruppate, la capogruppo e i compiti svolti da ognuna…», con ciò lasciando intendere che, non avendo la stazione appaltante predefinito i requisiti minimi tecnici di qualificazione, sarebbe stata sufficiente l’indicazione non delle quote (cioè delle aliquote quantitative del servizio da svolgere), ma degli insiemi coordinati di prestazioni afferenti ad ognuna delle imprese raggruppate. Per altro verso, si può forse discettare se, innanzi all’estensione della regola, come racchiusa nel citato art. 37, c. 4, della predeterminazione in istanza delle quote anche per gli appalti di servizi e forniture, alla lex specialis residuasse, o no un’autonoma potestà di ridefinizione dell’attività delle imprese raggruppate per funzioni e non per quantità, ma allora l’ATI appellante avrebbe dovuto censurarne la scelta ab initio e ciò non è accaduto. In tal caso, correttamente il Giudice di prime cure risolve la questione attraverso il richiamo alla legge di gara non contestata, piuttosto che all’eterointegrazione di questa con il ripetuto art. 37, c. 4 (espressivo d’un principio generale valido per ogni gara ad evidenza pubblica, quand’anche non assoggettata alle norme UE), specie innanzi ad una regola di gara che non privilegia la mera applicazione della disposizione e la reinterpreta di propria volontà. E, nella specie, non si può dire che l’ATI controinteressata abbia commesso errori, essendosi in modo preciso attenuta alle modalità di confezione della documentazione da inserire nella busta “A”, né che sia dirimente per l’integrale ed esclusiva applicazione dell’art. 37, c. 4 l’obbligo di attestare «… che le prestazioni verranno fornite dalle singole Imprese raggruppate o consorziate, in conformità a quanto dichiarato nella domanda di partecipazione…», in quanto, aldilà dell’enfasi, tal obbligo nulla innova o modifica rispetto alla predetta regola della ripartizione per compiti e non per quote.

Ancor meno fondato è l’assunto attoreo, secondo cui l’offerta dell’ATI controinteressata non conterrebbe la dichiarazione di impegno alla costituzione del raggruppamento, né dimostrerebbe la sussistenza concreta dei poteri rappresentativi in capo al procuratore speciale. Invero, l’una vicenda non sussiste, in quanto, in sede d’offerta economica, le imprese raggruppate, le quali l’hanno tutte sottoscritta, hanno indicato nella persona dell’ing. Vincenzo GIRGENTI il procuratore speciale incaricato di sottoscrivere il contratto d’appalto, in caso d’aggiudicazione, e nella GEMS Italia s.p.a. la capogruppo mandataria. In tutta franchezza, sfugge allora al Collegio di quali altri ed ulteriori poteri detta Società avrebbe dovuto dar attestazione, posto che la citata dichiarazione già di per sé adempie all’obbligo ex art. 37, c. 8 del Dlg 167/2006, la cui attuazione non abbisogna di peculiari solennità. L’altra vicenda è smentita perché consta in atti la procura speciale della stessa GEMS Italia s.p.a., conferita dall’amministratore delegato all’ing. GIRGENTI ed allegata alla busta “A”, anziché nella busta “C”, onde non v’è né omissione, né inadempimento.

7. – L’ATI appellante riproduce anche in questa sede la riproposizione dei motivi primo e settimo, che essa aveva indicato come domande subordinate rispetto a quelle fin qui esaminate e che la sentenza gravata ha reputato d’assorbire. Tali motivi hanno ad oggetto l’uno la composizione irregolare del seggio di gara (per la duplice ragione della presenza di due componenti esterni e per l’assenza di competenze specifiche in capo ai restanti membri); e l’altro l’illegittimità della formula matematica per il calcolo dell’offerta economica.

Ebbene, quanto al primo motivo, riproposto per mero tuziorismo a detta dell’appellante, esso si articola in una censura sulla mancata previa ricognizione di professionalità interne ed in un’altra, relativa invece all’assenza di competenze d’ingegneria medica in capo al membro dott. Mauro MORENO. In ordine al primo aspetto, soccorre, trattandosi di appalto indetto e gestito da ente del sistema regionale lombardo, l’art. 14 della l. reg. Lomb. 19 maggio 1997 n. 14 (nel teso previgente alla recente novella ex l.r. 5 febbraio 2010 n. 7) che consente una composizione del seggio di gara in modo differente da quanto oggidì indica l’art. 84, c. 8 del Dlg 163/2006, fermo restando che l’appellante non dimostra in che si sostanzi il difetto competenza tecnica in capo ai commissari. Invero, in generale e venendo pure alla specifica posizione del componente dott. MORENO —e in disparte ogni considerazione sull’omessa intimazione diretta di questi, di cui pur si contesta il titolo a far parte del seggio di gara—, si può forse discettare se egli sia, o no esperto d’ingegneria medica, ma l’oggetto dell’appalto riguarda per la più parte strumenti chirurgici e clinici ed apparecchi biomedicali, donde la necessità d’integrare i saperi dei vari membri con quelli d’un sanitario.

Si dice anche che in più casi i membri interni abbiano sovvertito il giudizio di quelli esterni, ma la sentenza impugnata ben ricostruisce l’andamento delle votazioni a maggioranza, concludendo, con un argomentare condivisibile ed immune da mende, come ciò sia frutto d’attenta istruttoria e d’assenza di maggioranze precostituite in modo malizioso o fallace.

Per ciò che poi concerne il settimo motivo del ricorso di primo grado, rettamente il Giudice di prime cure non ha potuto esaminarne l’interesse in quella sede. Invero e in disparte la riproposizione di tal censura nel giudizio conseguente all’attività di riemanazione dopo la sentenza n. 1871/2010, detto motivo diversamente reagisce sul concreto assetto degli interessi (in termini d’irrilevanza o, se del caso, di strumento per ottenere il rifacimento ab imis della gara), solo dopo la rinnovazione del giudizio tecnico sulle offerte ed a seconda del risultato di questo.

Ripropone infine l’ATI appellante l’ottavo motivo del ricorso di primo grado, con cui lamenta le, a suo dire, numerose incongruenze che affliggerebbero il giudizio del seggio di gara.

Ora, nota il Collegio, ad una serena lettura del disciplinare di gara, come questo preveda un ben articolato complesso di criteri (5) e di sotto-criteri (17), sufficientemente dettagliati e, comunque, tali da indirizzare le valutazioni del seggio di gara, come dice il Giudice di prime cure «… all’interno di un perimetro di giudizio (tecnico) sufficientemente contenuto e circoscritto…». Dal canto suo, l’ATI appellante imputa invece alla formulazione di tali criteri e sotto-criteri, reputata «…poco meno di una flebile traccia…», la causa essenziale dell’esito (per sé) sfavorevole del giudizio della Commissione. Così non è, giacché pure per il criterio n. 5), in ordine alle migliorie da proporre e che ha formato in primo grado oggetto di specifica censura, si ha soltanto la definizione appunto affinché le imprese possano suggerire quei miglioramenti idonei a meglio corrispondere alle esigenze della stazione appaltante. Anzi, è naturalmente insito nella scelta del criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa consentire alle imprese di proporre le variazioni migliorative rese possibili dal loro possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali e l’oggetto dell’appalto (arg. ex Cons. St., V, 16 giugno 2010 n. 3806). Quanto alle restanti doglianze, che l’appellante afferma di non aver potuto dedurre in primo grado per la pretesa vaghezza del giudizio della Commissione stessa, aldilà della loro inammissibilità, sfugge al Collegio come mai, coeteris paribus, ciò sia divenuto possibile in appello.

8. – In definitiva, l’appello va in parte dichiarato inammissibile e rigettato per la restante parte.

La complessità della vicenda e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, in parte dichiara inammissibile l’appello in epigrafe e lo respinge per la restante parte (ricorso n. 6894/2010 RG).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 15 aprile 2011, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 09/06/2011

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