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Sanzione pecuniaria per pratica commerciale scorretta – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3511/2011

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 3511 del 09/06/2011

FATTO

Le epigrafate società appellanti, destinatarie di un unico provvedimento sanzionatorio di natura pecuniaria (delibera n. 19923 del 13 novembre 2008) adottato in loro confronto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato ai sensi del Codice del consumo (art. 18 e segg.) in relazione a pratiche commerciali ritenute scorrette, hanno impugnato detto provvedimento sanzionatorio con distinti ricorsi dinanzi al Tar del Lazio. Tali pratiche sono state poste in essere attraverso campagne pubblicitarie, svolte mediante diversi mezzi di comunicazione, aventi ad oggetto offerte di energia elettrica e gas per i clienti del mercato libero e pubblicizzate come offerte del c.d. “ prezzo fisso/certo/bloccato” (nell’offerta Eni: prezzo certo decrescente) e della c.d. energia “bioraria”.In sostanza, attraverso tali offerte pubblicitarie le odierne appellanti avrebbero veicolato il messaggio per cui il prezzo dell’energia e del gas non avrebbe subito modifiche per il consumatore per un dato periodo (variabile a seconda dei casi da 12 a 24 mesi), mentre in realtà era soltanto una delle componenti del prezzo a restare immutata, e quindi non il prezzo nel suo insieme, che ben avrebbe potuto subire oscillazioni nel periodo considerato; inoltre nella offerta relativa all’energia bioraria le società appellanti non avrebbero indicato esattamente in che misura la diminuzione del prezzo dell’energia per il consumatore in determinate fasce orarie (serali e notturne nonché nei giorni festivi) era compensata dal corrispondente aumento del prezzo dell’energia nelle altre fasce orarie, sì da porre gli utenti nelle condizioni ottimali per effettuare una scelta consapevole riguardo alle opzioni offerte, tenuto conto dei propri bisogni ed abitudini di vita.

Con separate sentenze, di pressoché analogo contenuto motivazionale, il Tar del Lazio ha respinto i ricorsi, ritenendo fondata la pretesa sanzionatoria dell’Autorità a fronte di condotte commerciali non corrette delle società sanzionate.

Insorgono con i ricorsi in esame le odierne appellanti (E.ON Energia spa è subentrata nel frattempo, a seguito di incorporazione, nella posizione processuale di MPE Energia spa, ricorrente di primo grado) rilevando la erroneità delle impugnate sentenze e deducendo, in sintesi che : a) la condotta scorretta loro ascritta non sarebbe in concreto sussistente per la ragione che, a seguito della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e del gas, sarebbe un fatto notorio che l’unica componente di prezzo dell’energia sulla quale le imprese possono farsi concorrenza è quella relativa alla voce del c.d. CCI (corrispettivo variabile di commercializzazione all’ingrosso) e che giammai potrebbe essere formulata un’offerta di prezzo all-inclusive, essendo alcune componenti del prezzo nella disponibilità di altri soggetti (in particolare, dell’Autorità dell’energia elettrica e del gas per ciò che attiene le voci della tariffa di distribuzione, di trasporto e di stoccaggio); b) il consumatore sarebbe stato posto comunque nelle condizioni, telefonando ad un numero verde che compariva nel messaggio pubblicitario, di conoscere ogni dettaglio dell’operazione e che, in ogni caso, prima della stipula del contratto, lo stesso sarebbe stato reso edotto dei contenuti specifici dell’offerta, anche a mezzo della consegna della c.d. scheda di confrontabilità, riportante le condizioni contrattuali offerte dalle imprese concorrenti; c) sarebbe stato in ogni caso trascurabile l’impatto che i messaggi pubblicitari avrebbero prodotto sulle scelte dei consumatori, a giudicare dal numero dei sottoscrittori di tali particolari condizioni contrattuali; d) sarebbe stata altresì irragionevole ed immotivata la determinazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato di rifiutare la proposta di “impegni” formulata dalle imprese appellanti, con il proposito di rettificare in senso ampiamente chiarificatore il contenuto delle offerte e di interrompere per tal via il procedimento sanzionatorio; e) da ultimo, sarebbe incongrua ed inadeguata le misura della sanzione pecuniaria in concreto irrogata a ciascuna società appellante. Eni spa, nel ricorso n. 550/2010, ha osservato altresì, sottolineando la specificità della propria posizione rispetto alle altre società destinatarie del medesimo provvedimento sanzionatorio, che non vi sarebbe stata alcuna omissione informativa nella propria offerta relativa al c.d. “prezzo certo decrescente” tanto più che nei propri messaggi era specificato (ancorchè con una tecnica redazionale di rimando a piè di pagina o a margine, a seconda del mezzo di comunicazione utilizzato, e con scritta a caratteri minuscoli) che restavano esclusi dalla offerta gli oneri relativi al dispacciamento, al trasporto ed alla commercializzazione della energia.

Si è costituita nei distinti giudizi l’Autorità garante della concorrenza e del mercato per resistere ai ricorsi e per chiederne la reiezione. Nel ricorso n. 550/10 si è altresì costituita, per contrastare l’appello, la società ESE Gas srl, quale autrice dell’originario esposto che ha dato la stura al procedimento sanzionatorio per cui è giudizio.

All’udienza del 29 aprile 2011 i ricorsi in appello sono stati trattenuti per la decisione.

DIRITTO

Anzitutto va disposta la riunione degli appelli in esame i quali, benché proposti avverso distinte sentenze, suppongono la soluzione di analoghe questioni di diritto e sono pertanto suscettibili di trattazione unitaria e di definizione con unica sentenza.

Gli appelli sono infondati e vanno respinti.

Con la censura principale le appellanti ripropongono in questo grado la questione della insussistenza di una pratica scorretta predicabile a loro carico in relazione ai riferiti messaggi pubblicitari rivolti alla clientela domestica del libero mercato dell’energia elettrica e del gas, sotto il profilo della piena aderenza della loro offerta alla particolare dinamica di formazione del prezzo finale dell’energia, dipendente, come anticipato, da più fattori concorrenti, alcuni dei quali completamente sottratti alla disponibilità delle società di commercializzazione.

La censura non appare meritevole di favorevole scrutinio. La stessa, che pur prende le mosse da incontestabili dati oggettivi in ordine alla variegata gamma delle componenti che concorrono a formare il prezzo della energia elettrica e del gas, trascura tuttavia di considerare l’oggettività del dato afferente la informazione parziale e fuorviante che attraverso la particolare formulazione delle offerte veniva veicolata al pubblico dei consumatori e degli utenti, e ciò pur a fronte della riscontrata possibilità, da parte di esse appellanti, di introdurre senza alcun particolare onere elementi chiarificatori capaci di rendere pienamente intellegibile il contenuto delle offerte. Non par dubbio infatti che la particolare posizione di carenza informativa in cui si trova il consumatore, in un mercato solo di recente aperto alla libera concorrenza, doveva indurre le società appellanti a configurare in termini più chiari il messaggio pubblicitario, in modo da escludere che la maggioranza dei consumatori fosse indotta a pensare che, aderendo alla offerta del prezzo fisso, detto prezzo fosse davvero invariabile in termini assoluti nel periodo di vigenza della proposta contrattuale. Né in contrario avviso potrebbe indurre il rilievo sollevato dalle appellanti secondo cui nel messaggio erano indicate le modalità ( il numero verde da chiamare a fronte di un call-center sempre attivo) per accedere ad ogni informazione supplementare sull’offerta e che, in ogni caso, gli obblighi informativi imposti dalla disciplina di settore prima della stipula del contratto avrebbero scongiurato il rischio di sottoscrizioni “ al buio” dell’offerta da parte del pubblico degli utenti.

Giova ricordare che le disposizioni normative contenute nel Codice del consumo di cui l’Autorità ha fatto applicazione nella fattispecie ( in particolare, artt. 21, 22 e 23 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, come modificato dal d.lgs. 2 agosto 2007 n. 146), in sede di precisazione della nozione di pratica commerciale scorretta, da un lato non ritengono sufficiente, per escludere che la pratica sia considerata sanzionabile, che le notizie e le informazioni veicolate siano in sé corrette e veritiere e, dall’altro, si attestano su una frontiera di protezione del consumatore che si colloca temporalmente in posizione ben più anticipata rispetto alla fase prenegoziale o negoziale vera e propria.

Tali conclusioni si desumono agevolmente dalla semplice lettura delle citate disposizioni normative, che appare opportuno richiamare nelle parti di interesse. L’art. 21 del Codice del consumo considera ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo induca o sia idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad un elemento determinante dell’offerta ( quale ad esempio il prezzo contrattuale), così da spingerlo ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso. Il successivo art. 22 è ancor più esplicito nell’indirizzare il nucleo essenziale della nozione di scorrettezza della pratica commerciale all’effetto della stessa indotto sul comportamento del consumatore piuttosto che ai suoi tratti contenutistici o formali. Vi si prevede infatti che è considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale o è tale da indurlo a prendere una decisione che non avrebbe altrimenti preso. Inoltre, nella esemplificazioni delle circostanze rilevanti ai fini appena detti nei casi di inviti all’acquisto, il quarto comma della stesso art. 22 pone in rilievo l’ importanza della informazione su tutti gli elementi che compongono il prezzo contrattuale, come ad esempio le imposte che gravano in definitiva sul prezzo finale, le spese di spedizione, di consegna o postali ovvero, se tali spese non possono essere indicate, la espressa informazioni che tali spese graveranno sul consumatore.

Come è evidente, la protezione apprestata indirettamente al consumatore attraverso la previsione dei comportamenti sanzionabili del “professionista“ è particolarmente significativa, sul piano della necessaria completezza informativa che deve accompagnare l’offerta fin dal momento in cui, attraverso il lancio pubblicitario, si stabilisce il primo contatto con il potenziale aderente alla proposta contrattuale. E’proprio in questo momento, infatti, che un’informazione incompleta su elementi rilevanti può indurre il consumatore a trovare erroneamente convincente ed utile una determinata proposta cui altrimenti, nella piena consapevolezza dei suoi contenuti concreti, non avrebbe mai aderito.

Ora, nel caso in esame, correttamente la Autorità ha ritenuto di qualificare come scorretta la pratica posta in essere dalle odierne appellanti, atteso che la stessa si è manifestata nella formulazione di un’offerta che apparentemente si traduceva nella possibilità di tener fermo il prezzo dell’energia elettrica e del gas per un certo periodo, laddove tale possibilità in concreto non sussisteva per via del possibile variare di talune voci del prezzo contrattuale. Né rileva che il consumatore avrebbe potuto approfondire, nelle successive fasi della trattativa, quali fossero le invarianti del prezzo e quali invece le voci che avrebbero potuto subire oscillazioni incidenti sul prezzo finale dato che, come detto, la disciplina normativa applicata mira a proteggere il consumatore nella fase in cui si instaura il primo contatto con l’impresa di commercializzazione, ad evitare che lo stesso possa rimanere attratto da un messaggio promozionale che percepisca come conveniente soltanto a causa della sua non piena intellegibilità. Come correttamente osservato dalla Autorità nel corpo motivazionale dell’atto sanzionatorio impugnato, la prima informazione che si impone all’attenzione del lettore è anche quella che va a rappresentare il principale elemento per la formazione della decisione di acquisto, ed è ben difficile che successive integrazioni informative possano modificare il convincimento che il consumatore abbia tratto, sulla scorta delle informazioni ritraibili dal messaggio pubblicitario iniziale, sulla convenienza della opzione contrattuale. In tal senso non appare pertinente il rilievo secondo cui, in base al codice di condotta commerciale imposto dalla Autorità per l’energia elettrica ed il gas (cfr.,in particolare, delibere AEEG n. 126/04, n.105/06 e n.110/07) a tutti gli operatori del settore, questi ultimi sono stati astretti a puntuali obblighi informativi nelle fasi precontrattuali con la clientela del mercato libero ( che postulano, tra l’altro, la consegna delle schede di confrontabilità relative alle offerte dei concorrenti); si tratta, infatti, di obblighi che attengono ad una fase in cui il consumatore è già stato trascinato, proprio in virtù del contenuto capzioso e accattivante del lancio pubblicitario dell’offerta, in una trattativa cui probabilmente sarebbe altrimenti rimasto estraneo. Ne consegue che a ragione l’Autorità appellata ha ritenuto di fare applicazione nella fattispecie della disciplina del Codice del consumo, la quale si è già detto rappresentare una tutela più accentuata del consumatore.

Quanto alla particolare posizione di Eni, che a differenza delle altre società appellanti ha formulato la propria offerta secondo la formula del “ prezzo certo decrescente”, il Collegio osserva che correttamente tale posizione non è stata ritenuta meritevole di distinta e più benevola valutazione ai fini sanzionatori, posto che anche in tal caso sono state omesse indicazioni rilevanti sulle possibili oscillazioni delle voci di prezzo diverse da quella relativa al CCI (corrispettivo variabile di commercializzazione), con il risultato che il messaggio principale ha veicolato un messaggio in larga misura fuorviante e capzioso per il consumatore (dato che, ove le restanti componenti del prezzo, aventi una rilevante incidenza percentuale sul prezzo definitivo, avessero avuto una fluttuazione significativa nel periodo considerato, l’offerta non avrebbe potuto garantire in concreto alcun “prezzo certo decrescente”). Né le informazioni ulteriori poste a piè di pagina nei messaggi veicolati attraverso la rete internet, ovvero a margine, possono in concreto aver svolto una funzione suppletiva di piena informazione del lettore, tenuto conto che dette informazioni supplementari sono state confezionate con una tecnica grafica tale da non conferire alle stesse la stessa enfasi del messaggio principale; ove mai possibile, anzi, la ben ponderata scelta di non dare lo stesso risalto grafico alle informazioni complementari relative a tutti gli altri elementi che avrebbero potuto influenzare in concreto il prezzo finale dell’energia offerta (facendolo oscillare, contrariamente a quanto promesso nel messaggio principale) attesta ancor di più della chiara intenzione della società di “ catturare” l’utente con la non corretta promessa di un prezzo certo ( decrescente il secondo anno) per l’energia elettrica e per il gas, confidando nella forza attrattiva di una proposta solo in apparenza chiara e trasparente.

A conclusioni non diverse, circa la non conformità della condotta ascritta alle società deducenti ai canoni della lealtà e della correttezza, deve pervenirsi in ordine all’altro messaggio veicolato dalle odierne appellanti, afferente la c.d. energia bioraria. Anche in tal caso, come ha diffusamente argomentato l’Autorità appellata nel provvedimento sanzionatorio oggetto della impugnativa di primo grado, il messaggio contenuto nelle offerte era centrato nel prospettare al consumatore i risparmi di spesa se questi, aderendo alla proposta, avesse concentrato la parte preponderante dei propri consumi di energia nelle ore notturne o nei fine settimana (nel messaggio Eni era specificato che almeno i due terzi dei consumi avrebbero dovuto concentrarsi in tali fasce orarie); nessuno dei messaggi tuttavia ( e quindi neanche quello veicolato da Eni) indicava a quali aumenti di spesa andava incontro chi avesse aderito all’offerta ed avesse fruito dell’energia nelle ore diurne dei giorni feriali, ciò che rappresentava sicuramente un’informazione necessaria ad assumere una decisione consapevole sulla convenienza complessiva dell’offerta; anche in tal caso quindi vi è stata un’omissione informativa, a giusto titolo ritenuta alla stregua di una pratica commerciale scorretta, in quanto suscettibile di alterare la libera formazione della volontà dell’utente. Né rileva che solo a decorrere dall’aprile del 2008 ( con delibera n. 34/08) l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas abbia statuito l’obbligo per i fornitori di indicare, nelle proposte di energia bioraria, le percentuali dei consumi (per fasce orarie) che garantiscono l’indifferenza della spesa finale rispetto all’opzione della energia monoraria, dato che tale intervento si è reso necessario proprio al fine di evitare comportamenti scorretti nella formulazione dei messaggi pubblicitari alla clientela, senza tuttavia che per il passato possa ritenersi scriminante ( ai fini della sussistenza di una pratica scorretta) la mancanza di uno specifico intervento regolatorio..

Venendo al rilievo delle appellanti secondo cui sarebbe stato in ogni caso trascurabile l’impatto che i messaggi pubblicitari avrebbero prodotto sulle scelte dei consumatori, a giudicare dal ristretto numero dei sottoscrittori di tali particolari condizioni contrattuali ed al limitato lasso temporale di pubblicizzazione dei messaggi, il Collegio non può che condividere anche sul punto i pertinenti rilievi svolti dal giudice di primo grado in ordine alla natura dell’illecito contestato alle odierne appellanti, il quale integra una fattispecie di pericolo e non di danno. Si è già detto che attraverso la individuazione delle condotte commerciali scorrette, quali appunto quelle qui oggetto di esame, il legislatore ha fissato una frontiera preventiva di tutela degli utenti, sancendo la sanzionabilità in sé di talune condotte commerciali, in quanto potenzialmente lesive della capacità del consumatore di autodeterminarsi liberamente e consapevolmente. Ai fini della sussistenza dell’illecito non appare quindi rilevante accertare, da un punto di vista quantitativo, quanti siano stati in concreto i consumatori che hanno aderito alle proposte delle odierne appellanti (la circostanza assumendo al più rilievo ai fini della graduazione della sanzione), quanto piuttosto la suscettibilità in sé del messaggio a condizionare (in modo non appropriato) la libertà di scelta del consumatore. Da tale punto di vista i messaggi relativi alle offerte del c.d prezzo fisso e dell’energia bioraria veicolati dalla società appellanti presentavano elementi di significativa incompletezza informativa su elementi determinanti (i.e., sul prezzo finale al consumo), così da risultare non funzionali alla formazione di una libera e consapevole volontà in ordine ai contenuti effettivi della offerte, ed alla loro convenienza o meno in rapporto alle particolari esigenze dell’utenza. Non è neppure importante, nella prospettiva della integrazione o meno della fattispecie di illecito per cui è causa, stabilire per quanto tempo i messaggi sono stati in concreto diffusi (pur dovendosi ricordare che le offerte, sia pur con durata variabile a seconda del mezzo di comunicazione prescelto, sono state pubblicizzate per non meno di quattro settimane) dato che, come non ha mancato di rilevare il giudice di primo grado, il particolare tenore allusivo e accattivante del messaggio veicolato (che prometteva, sostanzialmente, di porre il consumatore al riparo dalle fluttuazioni del prezzo dell’energia) era di per sé capace di condizionare la libera formazione della volontà dell’utente medio che si fosse imbattuto nella lettura del messaggio pubblicitario.

Miglior sorte non merita il motivo d’appello col quale si è reiterato il vizio di difetto di motivazione e di irragionevolezza dedotta a carico della determinazione amministrativa di rigetto della dichiarazione di “ impegno” formulata dalle società appellanti, ai sensi dell’art. 27, comma 7, del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, nel senso di modificare il contenuto dei messaggi in modo da renderli pienamente intellegibili ai consumatori. E’ noto infatti, ed anche per questa parte del ricorso vanno condivise le considerazioni dei giudici di primo grado, che l’Autorità gode di ampia discrezionalità nell’accogliere o nel respingere le offerte di impegno a cessare dal comportamento scorretto da parte dei soggetti che risultano destinatari della apertura di una procedura di infrazione. Tale lata discrezionalità, resa manifesta dalla formulazione letterale della disposizione ( secondo cui “Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. L’Autorità può disporre la pubblicazione della dichiarazione dell’impegno in questione a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all’accertamento dell’infrazione”), si estrinseca più nel dettaglio in una duplice direzione: anzitutto nell’accertare se il caso, per la sua gravità intrinseca e per la natura manifesta della scorrettezza accertata, merita in ogni caso la finalizzazione del procedimento sanzionatorio, che resterebbe altrimenti inibita dall’accettazione della dichiarazione di impegno; 2) in secondo luogo nella valutazione dei contenuti specifici della dichiarazione espressiva dello ius poenitendi. Ora, le appellanti hanno censurato la determinazione negativa soltanto sotto il profilo della congruità e della adeguatezza dei contenuti degli impegni assunti nella direzione della rimozione di ogni profilo di possibile “scorrettezza” delle loro offerte, ma hanno trascurato di considerare che l’Autorità ha valutato coerentemente la opportunità di dar seguito al procedimento di infrazione proprio in ragione della particolare pericolosità della condotta contestata ( in un mercato da poco aperto alla concorrenza) e della consequenziale efficacia conformativa ( oltre che deterrente) che l’applicazione di una sanzione amministrativa genera tra gli operatori del settore, in una fattispecie particolare quale quella in esame.

Venendo ad altro motivo sollevato da taluna delle appellanti ( in particolare cfr. ricorso ASM Energia e Ambiente srl pagg..37-40) in ordine alla pretesa non piena coincidenza dei fatti contestati nell’atto di avvio del procedimento sanzionatorio rispetto a quelli compendiati nell’atto conclusivo del procedimento ed applicativo della sanzione, il Collegio rileva che anche tale doglianza non appare meritevole di favorevole esame. Va premesso che tale non piena coincidenza oggettuale riguarderebbe non già i fatti in sé ( che sono quelli anzi descritti) ma le modalità prescelte (i.e., i mezzi di comunicazione) per la veicolazione dei messaggi pubblicitari; in particolare, mentre nell’avvio del procedimento si sarebbe fatto cenno ai messaggi veicolati attraverso internet, nell’ulteriore corso del procedimento ( ed in particolare nel provvedimento conclusivo) si sarebbe fatto riferimento anche ad altri mezzi di comunicazione per veicolare il medesimo messaggio pubblicitario. E ciò, a dire delle deducenti, in violazione dell’art. 6 del Regolamento per le procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, approvato con delibera dell’Autorità n. 17589 del 15 novembre 2007 nella parte in cui lo stesso impone di indicare, fin dall’avvio dell’istruttoria, “l’oggetto del procedimento”.

Il Collegio è del parere che la pretesa violazione procedimentale in concreto non sussiste.

La disposizione regolamentare richiamata impone infatti senz’altro all’Autorità di indicare con la massima precisione possibile l’oggetto del procedimento fin dalla comunicazione di avvio dell’istruttoria. Ma non è pensabile che in tale fase iniziale del procedimento l’Autorità disponga di ogni utile elemento per specificare ogni dettaglio oggettuale della propria indagine, che evidentemente si arricchirà di nuovi elementi soltanto nel corso dell’istruttoria ed anche grazie agli apporti partecipativi dei soggetti interessati ( come appunto nella specie, in cui è stata la società ASM Energia e Ambiente srl ad indicare, nel corso dell’istruttoria, tutti i mezzi di comunicazione utilizzati per veicolare i messaggi oggetto di contestazione). Discende pertanto che la dedotta incompletezza dell’oggetto del procedimento sanzionatorio (anche a volerne predicare nella specie la sussistenza) è da attribuire al dato oggettivo per cui l’Autorità non disponesse in concreto – ciò che è ipotesi normale – di tutti gli elementi per articolare una descrizione più dettagliata dell’oggetto del procedimento e non può ridondare pertanto in illegittimità del procedimento per omessa o non compiuta indicazione del suo oggetto ( tanto più che le interessate non hanno indicato in che modo sarebbe stato vulnerato il loro diritto di difesa in ambito procedimentale ovvero quale avrebbe potuto essere il diverso esito del procedimento).

Da ultimo, deve essere altresì respinto il motivo di appello articolato in ordine alla esosità delle sanzioni applicate. Ritiene al contrario il Collegio che la misura delle distinte sanzioni irrogate dalla Autorità sia congrua ed adeguata rispetto ai fatti ascritti alle appellanti e risulta in definitiva pienamente rispondente ai parametri a tal uopo dettati dall’art. 11 della legge 1981 n. 689 ( richiamato dall’art. 27, comma 13, del Codice del consumo).Non sussiste in particolare la dedotta disparità di trattamento, dato che la non perfetta proporzionalità delle sanzioni distintamente irrogate rispetto al fatturato specifico di ciascuna società sanzionata appare giustificata dalla non piena coincidenza dei comportamenti loro ascritti e dalla corretta distinta valutazione operatane dalla Autorità. In particolare, per quanto attiene al confronto con Eni, in relazione alla cui sanzione le altre appellanti hanno specificamente dedotto il vizio di disparità di trattamento, non può restare indifferente il dato oggettivo secondo cui il messaggio veicolato da tale società era di contenuto letterale non perfettamente coincidente – come si è osservato – rispetto a quello delle offerte delle altre appellanti e che, inoltre, nello stesso messaggio figuravano, almeno in epoca successiva all’avvio del procedimento sanzionatorio per cui è giudizio, informazioni ulteriori per il consumatore; le quali, per quanto non utili per le già indicate ragioni ad integrare gli estremi di vere e proprie esimenti della condotta scorretta contestata, nondimeno rappresentano elementi che l’Autorità ha valorizzato in sede di valutazione “dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione”. Quanto al raffronto con altre società che, pur attinte dal medesimo provvedimento sanzionatorio, non sono state parti del presente giudizio ( in particolare, Enel Energia) il Collegio ritiene che anche in tal caso sia mancata la dimostrazione da parte delle appellanti della identità delle situazioni sostanziali sanzionate, avuto riguardo ai distinti elementi presi in esame dall’Autorità, sulla base delle previsioni normative di cui al citato art. 11 della legge n. 689/81, per ragguagliare l’entità della sanzione alle concrete fattispecie oggetto di autonomo ed approfondito scrutinio.

In definitiva, gli appelli riuniti vanno respinti, con la consequenziale conferma delle impugnate sentenze.

Le spese di lite seguono la regola della soccombenza e sono pertanto poste a carico, nella misura di cui in dispositivo, di ciascuna società appellante e liquidate in favore di ciascuna parte costituita in appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li respinge previa riunione.

Condanna le società appellanti, ciascuna per quanto di competenza, al pagamento delle spese processuali di questo grado di giudizio in favore delle parti costituite intimate con ciascun appello e liquida dette spese in complessivi euro 8.000,00 (ottomila/00) per ciascuna parte appellata costituita, oltre IVA e CAP come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Coraggio, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 09/06/2011

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