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Caso Clementina Forleo. L’obbligo di astensione è applicabile anche ai procedimenti disciplinari del CSM – Consiglio di Stato, Sentenza 3587/2011

L’obbligo di astensione è in generale applicabile anche ai procedimenti amministrativi, ivi compresi quelli relativi a procedimenti disciplimari in danno di magistrati innanzi al CSM – in virtù delle previsioni dell’art. 49 del d.P.R. 10 gennaio 1957, nr. 3, e dello stesso art. 51 cod. proc. civ., che sono espressione di un principio generale di imparzialità dell’organo deliberante, la cui eventuale lesione è da verificare con riguardo alle circostanze concrete del caso specifico in cui è ipotizzata.

(© Litis.it, 3 Luglio 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3587 del 13/06/2011

FATTO

Il Ministero della Giustizia e il Consiglio Superiore della Magistratura hanno impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in accoglimento del ricorso proposto dalla dottoressa Mariaclementina Forleo, ha annullato il provvedimento di trasferimento della stessa, per incompatibilità ambientale, dalla sede in atto ricoperta presso il Tribunale di Milano.

A sostegno dell’impugnazione, le predette Amministrazioni hanno dedotto l’erroneità della sentenza:

1) nell’interpretazione data all’art. 2, comma 2, r.d.lgs. 31 maggio 1946, nr. 511, come modificato dall’art. 26 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, nr. 109, laddove prevede la possibilità di disporre il trasferimento ad altra sede dei magistrati “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa”;

2) nell’interpretazione data alla medesima disposizione, nella parte in cui richiede, quale condizione per il trasferimento, che il magistrato interessato non possa “svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”;

3) con riguardo alla ritenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 51 cod. proc. civ., in riferimento alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di ricusazione sollevata dalla difesa della dott.ssa Forleo avverso uno dei componenti la Prima Commissione del C.S.M.

Si è costituita l’appellata, dott.ssa Mariaclementina Forleo, la quale, oltre a opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello, ha riproposto come segue gli ulteriori motivi di impugnazione di primo grado rimasti assorbiti nella sentenza di accoglimento:

I) eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche; in particolare, travisamento dei fatti e manifesta ingiustizia, carenza istruttoria; difetto di motivazione; contraddittorietà;

II) vizio del procedimento; violazione e falsa applicazione della delibera del C.S.M. del 18 dicembre 1991; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, manifesta contraddittorietà e difetto di motivazione;

III) eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche , in particolare falsità della causa, difetto di presupposto, confusione e perplessità; sviamento;

IV) eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche; in particolare, difetto di istruttoria e carenza di contraddittorio; violazione delle norme sul procedimento amministrativo; contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa; difetto di motivazione.

Le parti hanno affidato ad apposite memorie le repliche ai rilievi ex adverso mossi.

All’udienza del 10 maggio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La dottoressa Mariaclementina Forleo, magistrato in servizio presso il Tribunale di Milano, ha impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio il provvedimento di trasferimento d’ufficio, adottato nei suoi confronti dal C.S.M. ai sensi dell’art. 2, r.d.lgs. 31 maggio 1946, nr. 511, per la ritenuta situazione di sua incompatibilità determinatasi a seguito di dichiarazioni rese alla stampa e nel corso di trasmissioni televisive.

Il T.A.R. ha accolto il ricorso, ritenendo che il C.S.M. avesse erroneamente applicato la disposizione di cui al precitato art. 2 la quale oggi, a seguito della modifica apportata dall’art. 26, comma 1, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, nr. 109, consentirebbe il trasferimento d’ufficio dei magistrati per le sole ipotesi di incompatibilità ambientale non determinate da colpa dell’interessato: laddove nella specie, come chiaramente evincibile dalla motivazione degli atti impugnati, il trasferimento traeva origine dalla contestazione alla ricorrente delle suindicate condotte, giudicate colpevoli o comunque deontologicamente riprovevoli.

Inoltre, non si sarebbe tenuto conto del fatto che la norma sopra richiamata, nella sua versione attuale, presuppone che l’incompatibilità del magistrato si sostanzi in una situazione tale da rendere impossibile allo stesso di esercitare le proprie funzioni con piena indipendenza o imparzialità: infatti nel caso di specie, motivandosi il trasferimento col diffuso disagio causato negli uffici giudiziari milanesi dalle dichiarazioni pubbliche della dott.ssa Forleo, si sarebbe in sostanza continuato a fare riferimento al requisito della lesione al “prestigio” dell’ordine giudiziario, secondo l’originaria previsione della norma (ormai non più in vigore).

Infine, erroneamente sarebbe stata dichiarata inammissibile l’istanza di ricusazione formulata dalla difesa dell’interessata nei confronti di un membro laico del C.S.M., prof.ssa Letizia Vacca, che a sua volta con dichiarazioni di stampa aveva anticipato il proprio giudizio sfavorevole al magistrato prima della conclusione del procedimento.

Con l’odierno appello, il Ministero della Giustizia e il C.S.M. contestano la sentenza di primo grado sotto tutti i profili appena sinteticamente richiamati, proponendo diverse interpretazioni della normativa di riferimento, o comunque approdando a conclusioni opposte a quelle raggiunte dal T.A.R.

2. L’appello va respinto, essendo la Sezione dell’avviso che la sentenza impugnata vada confermata nel dispositivo, ancorché con la precisazioni e puntualizzazioni che saranno di seguito svolte.

3. In particolare, appare opportuno invertire l’ordine delle questioni esaminate dal primo giudice, attribuendo rilievo primario e decisivo al profilo procedimentale inerente alla mancata astensione della prof.ssa Letizia Vacca, membro laico all’epoca dei fatti Vice presidente della Prima Commissione del C.S.M.

Proprio nella fase del procedimento svoltasi dinanzi a detta Commissione, la difesa dell’odierna appellata ha sollevato istanza di ricusazione nei confronti della prof.ssa Vacca, richiamando le dichiarazioni dalla stessa rese alla stampa prima ancora dell’apertura del procedimento di incompatibilità ambientale, nelle quali la medesima appellata era qualificata come rientrante nella categoria dei “cattivi magistrati” e delle “figure negative”,espressione di una “magistratura non seria” e quindi da sanzionare per un comportamento definito “devastante”.

Tuttavia, la Commissione consiliare ha dichiarato inammissibile l’istanza, evidenziando che l’istituto della ricusazione non sarebbe applicabile ai procedimenti amministrativi in assenza di una specifica normativa che lo disciplini, e che in ogni caso le cause di astensione indicate all’art. 51 cod. proc. civ. non avrebbero valore vincolante.

Al riguardo, malgrado gli sforzi esegetici compiuti dalla difesa erariale nell’analisi della giurisprudenza in subiecta materia, il Collegio condivide pienamente in via di principio l’opposta conclusione del primo giudice, il quale ha richiamato l’ampia giurisprudenza che ritiene l’obbligo di astensione in generale applicabile ai procedimenti amministrativi in virtù delle previsioni dell’art. 49 del d.P.R. 10 gennaio 1957, nr. 3, e dello stesso art. 51 cod. proc. civ., che sono espressione di un principio generale di imparzialità dell’organo deliberante, la cui eventuale lesione è da verificare con riguardo alle circostanze concrete del caso specifico in cui è ipotizzata.

A ciò può aggiungersi che già in passato questa Sezione ha affermato che anche nei riguardi del C.S.M. possono valere le cause di astensione individuate ai sensi delle norme innanzi citate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2006, nr. 1035; id., 7 marzo 2005, nr. 867).

Ne discende che giammai l’istanza avanzata nei confronti della prof.ssa Vacca avrebbe potuto essere dichiarata sic et simpliciter inammissibile, dovendo – al contrario – essere delibata al fine di verificare la sussistenza o meno, nel caso concreto, di una situazione di pregiudizio all’imparzialità dell’organo deliberante (nella specie, la Prima Commissione consiliare).

Il fatto che tale delibazione sia stata del tutto omessa rende ultronee e inconferenti le ampie digressioni svolte dalla difesa erariale, con esame della casistica giurisprudenziale, al fine di sostenere che in ogni caso le dichiarazioni di stampa della prof.ssa Vacca non avrebbero avuto alcuna incidenza sulla decisione consiliare (anche se non può sottacersi come sia lecito quanto meno dubitare di tale assunto, atteso il ruolo apicale rivestito dalla stessa all’interno della Commissione).

4. La confermata fondatezza della doglianza testé esaminata, comportando ex se il travolgimento dell’intero procedimento di incompatibilità promosso nei confronti dell’originaria ricorrente, esonererebbe dall’esame delle ulteriori censure (e, in particolare, rende superfluo l’esame dei motivi di ricorso rimasti assorbiti in primo grado e qui riproposti dalla difesa di parte appellata, tutti afferenti a pretese carenze istruttorie e procedimentali).

Tuttavia, al fine di orientare la successiva attività dell’Amministrazione – anche in sede di eventuale rinnovazione della procedura per cui è causa – la Sezione ritiene di doversi esprimere anche in ordine all’ulteriore questione esaminata dal primo giudice, relativa all’interpretazione da dare dell’art. 2, r.d.lgs. nr. 511 del 1946 nel testo novellato dal d.lgs. nr. 109 del 2006.

5. Sul punto, il Collegio condivide integralmente l’interpretazione della norma data dal T.A.R. capitolino, ma non ritiene di doverne accogliere in toto le conclusioni con riguardo al caso che qui occupa.

5.1. Per una migliore comprensione della questione, giova preliminarmente richiamare il testo dei primi due commi del citato art. 2, nella versione anteriore alla riforma del 2006: “1. I magistrati di grado non inferiore a giudice, sostituto procuratore della Repubblica o pretore, non possono essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni, se non col loro consenso.

2. Essi tuttavia possono, anche senza il loro consenso, essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni, previo parere del Consiglio superiore della magistratura, quando si trovino in uno dei casi di incompatibilità previsti dagli articoli 16, 18 e 19 dell’Ordinamento giudiziario approvato con R. decreto 30 gennaio 1941, n 12, o quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario. Il parere del Consiglio superiore è vincolante quando si tratta di magistrati giudicanti”.

Per effetto dell’art. 26, d.lgs. nr. 109 del 2006, il comma 2 innanzi citato è stato modificato come segue: “Essi tuttavia possono, anche senza il loro consenso, essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni, previo parere del Consiglio superiore della magistratura, quando si trovino in uno dei casi di incompatibilità previsti dagli artt. 16, 18 e 19 dell’Ordinamento giudiziario approvato con R. decreto 30 gennaio 1941, n. 12, o quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità. Il parere del Consiglio superiore è vincolante quando si tratta di magistrati giudicanti”.

Secondo il primo giudice, tale modifica andrebbe ricollegata alla contestuale riforma della responsabilità dei magistrati, incentrata da un lato sulla tipizzazione degli illeciti disciplinari (che sono oggi analiticamente elencati, a fronte della atipicità che connotava il regime precedente) e dall’altro sulla previsione di nuove sanzioni disciplinari, fra le quali oggi rientra anche il trasferimento coattivo (anche in via cautelare) del magistrato.

In siffatto contesto, sarebbe evidente l’intento del legislatore di rendere residuali le ipotesi di trasferimento amministrativo del magistrato, disancorandole da qualsiasi contestazione di condotte colpevoli allo stesso ascrivibili e riconducendole esclusivamente a situazioni oggettive e incolpevoli, fra le quali sono specificamente richiamate le ipotesi di incompatibilità di cui agli artt. 16, 18 e 19 del r.d. nr. 12 del 1941 (che però non esauriscono l’area delle possibili situazioni in cui può crearsi un’incompatibilità del magistrato): in tal senso dovendo leggersi l’espunzione della congiunzione “anche” prima dell’inciso “indipendente da loro colpa”.

Sul versante oggettivo, la situazione di incompatibilità si sostanzia non più nell’impossibilità di “amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario”, ma nell’impossibilità di “svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”: formula con la quale il legislatore avrebbe inteso abbandonare il riferimento a un dato meramente esteriore, connesso alla sola immagine di imparzialità e autorevolezza del magistrato, per richiamare la necessità di un’oggettiva e reale compromissione della sua serenità di giudizio.

Secondo le Amministrazioni appellanti, invece, l’inciso relativo all’indipendenza da colpa della causa di incompatibilità andrebbe letto nel senso nella non necessità di indagare se nel caso concreto la condotta ascritta al magistrato sia assistita dall’elemento soggettivo dell’illecito disciplinare, in modo da rendere la previsione in esame una sorta di “norma di chiusura” destinata a essere applicata a fatti non integranti illecito disciplinare, ma pur sempre idonei a ledere l’imparzialità e l’indipendenza della funzione giudiziaria; in sostanza, la previsione si riferirebbe in via astratta a qualsiasi fatto – ivi comprese le condotte riprovevoli del magistrato – non rilevante sul piano disciplinare.

5.2. La lettura del T.A.R. appare corretta con riguardo sia all’elemento oggettivo che a quello soggettivo della fattispecie in esame.

Ed invero, principiando dalle caratteristiche che deve presentare l’obiettiva situazione di incompatibilità in cui versa il magistrato, è a dirsi che le deduzioni dell’Amministrazione non appaiono del tutto idonee a legittimare – qualora questo fosse l’intento della parte appellante – la conclusione per cui la modifica normativa in nulla avrebbe innovato rispetto al previgente richiamo al “prestigio dell’ordine giudiziario”.

Infatti, se è certamente condivisibile il rilievo per cui ai fini che qui interessano non è irrilevante anche l’apparenza di imparzialità e indipendenza che il magistrato deve dare, oltre al suo essere effettivamente in possesso di tali requisiti, la novità del 2006 si risolve nella necessità, per l’Amministrazione che intenda disporre il trasferimento d’ufficio di un magistrato ai sensi della norma qui in esame, di non fermarsi alla mera constatazione delle conseguenze prodottesi sul piano dell’immagine esterna dell’interessato, dovendo anche evidenziare come e qualmente queste siano suscettibili di incidere in modo reale ed effettivo sull’ordinario e imparziale esercizio delle funzioni giurisdizionali.

5.3. Più delicata è la questione ermeneutica sottesa alla modifica della disposizione de qua nella parte relativa al profilo soggettivo della situazione di incompatibilità dalla stessa delineata.

Al riguardo, un fortissimo argomento testuale a favore dell’interpretazione fornita dal giudice di prime cure può trarsi dalla legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario nr. 150 del 25 luglio 2005, nella quale la previsione di modifica dell’art. 2, r.d.lgs. nr. 511 del 1946 è inserita nella stessa sedes delle disposizioni inerenti alle modifiche in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati (art. 2, comma 6), precisandosi che in base a detta norma il trasferimento d’ufficio dei magistrati possa avvenire “solo per una causa incolpevole”.

Da tale disposizione emerge con evidenza la divisata ratio legis di circoscrivere il trasferimento alle sole ipotesi di incompatibilità “incolpevole”, nel senso sopra precisato: di modo che l’opposta interpretazione proposta dalle parti odierne appellanti, contrastando col chiaro intento della legge di delega, disvelerebbe profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 76 Cost.

Al di là di questo pur rilevante profilo, l’intera materia dei trasferimenti coattivi dei magistrati va letta alla luce del principio di inamovibilità sancito dall’art. 107 Cost., in base al quale gli stessi magistrati possono essere trasferiti di sede senza il loro consenso solo “per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario”; non va obliterato, infatti, che nel sistema anteriore alla riforma il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale era stato ritenuto conciliabile con la menzionata previsione solo in quanto configurato come procedura “paradisciplinare”, nella quale al magistrato interessato spettavano garanzie difensive a fronte – quando non di vere e proprie “incolpazioni” – di censure di incompatibilità il più delle volte riconducibili a condotte (colpevoli o meno) dello stesso.

È verosimile ritenere che, con la novella del 2006, il legislatore abbia inteso superare proprio questa configurazione “ibrida” della procedura ex art. 2, r.d.lgs. nr. 511 del 1946, tracciando una demarcazione netta tra i trasferimenti che conseguono a veri e propri procedimenti disciplinari e i trasferimenti amministrativi.

Ne risulta ridimensionata la questione, su cui è contrasto fra le parti del presente giudizio, se il termine “colpa” nella disposizione de qua debba essere interpretato come un richiamo all’elemento soggettivo dell’illecito (la “colpevolezza” in senso lato, a sua volta suscettibile di atteggiarsi in dolo o colpa) ovvero nel senso generico di trasgressione di qualsiasi dovere etico o deontologico: è infatti evidente, alla luce dei rilievi che precedono, la ratio legis di ancorare la possibilità di trasferimento a situazioni oggettive, se del caso anche riconducibili a condotte del magistrato interessato, ma comunque al di fuori di ogni giudizio di “riprovevolezza” di esse.

Né può aver pregio il rilievo delle Amministrazioni appellanti, secondo cui l’interpretazione qui accolta del dato positivo produrrebbe un “vuoto normativo”, corrispondente alle plurime condotte scorrette astrattamente ipotizzabili, che tuttavia non rientrano nelle analitiche previsioni degli illeciti disciplinari; tale vuoto, se esistente, può al più essere colmato dal legislatore conferendo rilevanza disciplinare ad ulteriori condotte riprovevoli, ma non può autorizzare un’interpretazione che, restituendo al C.S.M. un generale potere di trasferimento coattivo dei magistrati per qualsiasi condotta non individuata quale illecito disciplinare, finisce per aggirare il principio di tipicità su cui si basa il nuovo sistema.

Che quest’ultimo comporti un ridimensionamento dei poteri del C.S.M. di trasferimento officioso dei magistrati appare innegabile, ma ciò evidentemente è dovuto all’intento legislativo di dare piena attuazione al principio costituzionale di inamovibilità, che costituisce garanzia di indipendenza e autonomia riconosciuta a ciascun magistrato non solo rispetto a possibili ingerenze di altri poteri statuali, ma anche all’interno dello stesso ordine giudiziario, e pertanto destinata a prevalere anche sulle prerogative dello stesso organo di autogoverno.

Né possono trovare spazio, siccome del tutto inconferenti alla fattispecie, i richiami fatti dalla difesa erariale all’ampia discrezionalità che per giurisprudenza connota i trasferimenti d’ufficio dei militari: infatti, è evidente che questi ultimi non godono della garanzia costituzionale di inamovibilità riconosciuta invece ai magistrati (per tacere della palese diversità esistente tra la disciplina che caratterizza il rapporto d’impiego del personale militare e la posizione istituzionale di autonomia dell’ordine giudiziario).

Sotto diverso profilo, non può però sottacersi che il nuovo assetto normativo in subiecta materia comporta un rafforzamento dell’autogoverno della magistratura, come è evidente sol che si ponga mente al profilo della giurisdizione sulle controversie concernenti i provvedimenti di trasferimento: infatti, la netta separazione tra i trasferimenti meramente amministrativi, indipendenti da colpa del magistrato, e quelli causati da sue condotte colpevoli determina la definitiva attribuzione alla cognizione delle Sezioni Civili della Corte di Cassazione dei ricorsi avverso i trasferimenti di tipo disciplinare, restando devolute alla giurisdizione amministrativa le sole ipotesi di trasferimento causato da oggettive e “incolpevoli” situazioni di incompatibilità.

5.4. Se questa è la lettura da dare del testo attuale dell’art. 2, r.d.lgs. nr. 511 del 1946, non appaiono invece pienamente condivisibili le conclusioni cui il primo giudice è pervenuto in ordine all’illegittimità con cui la norma è stata applicata nel caso di specie.

Sotto tale profilo, deve innanzi tutto sottolinearsi che effettivamente è possibile rinvenire nell’operato dell’Amministrazione una non chiara consapevolezza della portata innovatrice della modifica normativa sopra analizzata: ciò è evidente in numerosi passaggi della motivazione del provvedimento impugnato in prime cure, laddove chiaramente ci si sofferma, più che sull’idoneità oggettiva della condotta tenuta dall’odierna appellata a determinare una situazione di pregiudizio alla sua serenità e indipendenza, su una sorta di giudizio di riprovevolezza etica e deontologica, con poco conferenti considerazioni sul profilo caratteriale e psicologico dell’interessata.

Trattasi di motivazione certamente non coerente con l’evidenziata ratio normativa, ma ciò non esclude affatto che una condotta consistente nel rendere agli organi di stampa e televisivi dichiarazioni del tenore di quelle nella specie rilasciate dalla dott.ssa Forleo, riguardata in sé come mero fatto materiale e indipendentemente da qualsiasi giudizio che se ne dia (di liceità o illiceità, di apprezzamento o di riprovazione etc.), possa in astratto essere suscettibile di integrare il presupposto fattuale per l’applicazione della procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale; e, d’altra parte, lo stesso primo giudice ha sottolineato che la “causa indipendente da colpa” di cui al comma 2 dell’art. 2 ben può consistere anche in una condotta dello stesso magistrato interessato.

Del pari, al di là dell’essersi l’impugnata delibera soffermata esclusivamente sul dato esteriore costituito dall’allarme e dal disagio suscitato dalle dichiarazioni con le quali l’odierna appellata denunciava di aver subito pressioni da parte di “poteri forti” in relazione ad indagini di cui si era occupata, non può affatto escludersi che tale situazione possa effettivamente incidere in modo pregiudizievole sull’indipendente e imparziale esercizio della funzione giudiziaria (ad esempio, perché la convinzione dell’effettiva esistenza di tali pressioni potrebbe in vari modi nuocere alla serenità di giudizio del magistrato).

Quanto sopra si precisa per evidenziare come i rilievi svolti dal T.A.R. sulla motivazione della delibera di trasferimento vadano intesi – per l’appunto – come una censura all’approccio logico-valutativo seguito dal C.S.M. nella vicenda per cui è causa molto più che come l’affermazione di una radicale illegittimità del giudizio di effettiva sussistenza di una situazione di incompatibilità ambientale (col che risulta alquanto ridimensionato anche il pericolo di “vuoti normativi” paventato dalle Amministrazioni appellanti).

6. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, se s’impone un dispositivo di reiezione dell’appello e di conferma dell’accoglimento del ricorso di primo grado, la motivazione spesa dal giudice di primo grado va corretta e integrata nei sensi che precedono.

7. In considerazione della complessità e della novità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 13/06/2011

 

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