GiurisprudenzaPenale

Risponde di lesioni colpose il proprietario del cane che non si accerta della tenuta della recinzione – Cassazione Penale, Sentenza n. 29957/2011

Per valutare il comportamento del soggetto tenuto alla custodia di animali ed accertarne “in positivo” la colpa, può e deve aversi riguardo a quanto stabilito dall’articolo 672 cod.pen., che, a prescindere dall’intervenuta depenalizzazione, costituisce valido termine di riferimento per la valutazione della colpa, con la precisazione che, in proposito, non sarebbe sufficiente rifarsi alla presunzione di responsabilità stabilita dall’articolo 2052 del codice civile, che stabilisce principi che rilevano solo in sede civile, ma con l’ulteriore, doverosa precisazione che compete pur sempre al soggetto onerato della custodia l’onere di fornire la prova del “caso fortuito”, ossia dell’essersi verificato un fatto assolutamente improvviso, imprevedibile e non evitabile dal custode, il quale pur facendo uso di ogni diligenza, risulti essere stato impedito di adeguare la propria azione alla situazione creatasi, rendendo fatale la verificazione dell’evento, in assenza di colpa, anche minima (cfr., per riferimenti, Sezione V, 6 agosto 1991, Moscatelli e Sezione IV, 9 ottobre 2007, lacovella).

Da ciò deriva, tanto per esemplificare, la configurabilità della colpa allorquando l’animale sia custodito in un luogo privato o recintato, ma in tale luogo risulti possibile l’introduzione inconsapevole di persone estranee (cfr. Sezione IV, 1° marzo 1988, Pierleoni; nonché, Sezione IV, 14 marzo 2006, Proc. gen. App. Roma in proc. Panzarin ed altro).

Analogamente, la colpa del custode ricorre quando l’animale sia ricoverato in un luogo inidoneo a prevenirne la fuga (cfr. Sezione IV; 9 ottobre 2007, lacovella, che, quindi, ha ravvisato la responsabilità dell’imputato che aveva rinchiuso il cane in un cortile da cui peraltro l’animale era facilmente scappato per un’apertura nella recinzione, così provocando un sinistro stradale).

(© Litis.it, 1 Agosto 2011 – Riproduzione riservata)

Cassazione Penale, Sezione Quarta, entenza n. 29957 del 27/07/2011

Ritenuto in fatto

[OMISSIS] ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che lo ha riconosciuto colpevole del reato di lesioni colpose provocate, secondo la contestazione, a due bambini dai propri cani, che, custoditi senza le cautele necessarie, erano usciti dalla proprietà dello S. aggredendo le giovani vittime.
Si accertava, già in primo grado, che i cani erano riusciti ad uscire dalla proprietà dello S. approfittando dello “scardinamento” del cancello provocato dal forte vento di scirocco.

Il giudice di appello confermava tale ricostruzione, pur inquadrando giuridicamente l’addebito colposo in termini più propri rispetto alla decisione di prime cure.

Viene in proposito ricostruita la colpa dell’imputato attraverso il richiamo alla giurisprudenza di legittimità secondo cui per escludere la colpa del custode dell’animale non basterebbe che lo spazio ove questo sia tenuto risulti recintato e chiuso, dovendo essere assicurata sempre
l’oggettiva idoneità della recinzione e della chiusura dei relativi ingressi ad impedire l’accesso di terzi e comunque ad impedire adeguatamente che i terzi e l’animale vengano a contatto.

E’ sulla base ditale assunto ricostruttivo che è stato ribadito il giudizio di colpevolezza.

Con il ricorso si deducono diversi motivi.

Con il primo si sostiene che lo S. sarebbe stato condannato per un fatto diverso da quello contestatogli.

Con il secondo si contesta il giudizio di responsabilità sostenendosi che le circostanza fattuali avrebbero dovuto far propendere per l’essersi verificato un evento eccezionale (il forte vento di
scirocco), che aveva provocato la rottura imprevedibile della serratura di un cancello che, in vero, doveva ritenersi funzionante e non caratterizzato da difetto di manutenzione.

Con il terzo motivo si deduce nullità della decisione perché in primo grado non era stato concesso termine a difesa al difensore nominato in sostituzione del difensore di fiducia impedito. Si afferma in proposito. Si afferma in proposito che tale questione era stata eccepita con il gravame di appello, sia pure al limitato fine di sollecitare la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

Con il quarto motivo, si duole del diniego della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale non condividendo l’assunto del giudicante sulla superfluità della deposizione della testimone di cui
si invocava la citazione, che avrebbe dovuto riferire, secondo appunto il giudice dell’appello, su circostanze non controverse e non rilevanti (l’essersi verificata l’uscita dei cani dal cancello in occasione dei fatti incriminati).

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

Destituito di fondamento è il primo motivo, ove si consideri che, attraverso la lettura della contestazione e delle due decisioni di merito, non vi è stato alcun mutamento in fatto della contestazione, che ha riguardato l’omessa custodia dei cani, che erano riusciti ad uscire dalla proprietà a seguito della rottura della serratura del cancello d’ingresso.

Il principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata (articolo 521 cod.proc.pen.) è del resto violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità di effettiva difesa. Tale principio non è invece violato quando nei fatti, contestati e ritenuti, si possa agevolmente individuare un nucleo comune e, in particolare, quando essi si trovano in rapporto di continenza (Sezione IV, 17 gennaio 2008, Romano ed altro).

Per quanto detto qui non vi è stata alcuna radicale trasformazione della contestazione, ma semmai, rispetto alla decisione di primo grado, una più pertinente ricostruzione dei profili di colpa contestati.
Ricostruzione, va osservato per incidens, pienamente in linea con i principi.

Sul punto, in termini generali, va infatti ricordato che, per valutare il comportamento del soggetto tenuto alla custodia ed accertarne “in positivo” la colpa, può e deve aversi riguardo a quanto stabilito dall’articolo 672 cod.pen., che, a prescindere dall’intervenuta depenalizzazione, costituisce valido termine di riferimento per la valutazione della colpa, con la precisazione che, in proposito, non sarebbe sufficiente rifarsi alla presunzione di responsabilità stabilita dall’articolo 2052 del codice civile, che stabilisce principi che rilevano solo in sede civile, ma con l’ulteriore, doverosa precisazione che compete pur sempre al soggetto onerato della custodia l’onere di fornire la prova del “caso fortuito”, ossia dell’essersi verificato un fatto assolutamente improvviso, imprevedibile e non evitabile dal custode, il quale pur facendo uso di ogni diligenza, risulti essere stato impedito di adeguare la propria azione alla situazione creatasi, rendendo fatale la verificazione dell’evento, in assenza di colpa, anche minima (cfr., per riferimenti, Sezione V, 6 agosto 1991, Moscatelli e Sezione IV, 9 ottobre 2007, lacovella). Da ciò deriva, tanto per esemplificare, la configurabilità della colpa allorquando l’animale sia custodito in un luogo privato o recintato, ma in tale luogo risulti possibile l’introduzione inconsapevole di persone estranee (cfr. Sezione IV, 1° marzo 1988, Pierleoni; nonché, Sezione IV, 14 marzo 2006, Proc. gen. App. Roma in proc. Panzarin ed altro).
Da ciò deriva, analogamente, (con argomenti qui rilevanti) la colpa del custode quando l’animale sia ricoverato in un luogo inidoneo a prevenirne la fuga (cfr. Sezione IV; 9 ottobre 2007, lacovella, che, quindi, ha ravvisato la responsabilità dell’imputato che aveva rinchiuso il cane in un cortile da cui peraltro l’animale era facilmente scappato per un’apertura nella recinzione, così provocando un sinistro stradale).

Per tali ragioni è inaccoglibile anche il secondo motivo, con il quale, a ben vedere, ci si limita a evocare un controllo di merito sull’apprezzamento probatorio sviluppato tra l’altro in modo conforme in primo e secondo grado, in ordine alla ricostruzione dell’accaduto e allo status dei luoghi. Apprezzamento probatorio che ha tra l’altro escluso, in modo incensurabile, la fortuità dell’accaduto.

A tacer d’altro è intempestiva è la doglianza che evoca la nullità per omessa concessione del termine a difesa in un’udienza svoltasi in primo grado.
Basti ricordare che, secondo assunto pacifico, la mancata concessione del termine a difesa previsto dall’art. 108 cod.proc.pen., anche ad ammetterla come sussistente, determina una nullità generale a regime intermedio che deve (avrebbe dovuto) essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 182 comma secondo cod.proc.pen., e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il provvedimento reiettivo della richiesta, e non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione (Sezione I, 25 febbraio 2010, Del Gaudio). Per stessa ammissione del ricorrente la doglianza è stata proposta solo in sede di legittimità e semplicemente evocata in appello ai fini della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

Non può trovare accoglimento, a fronte di una esaustiva spiegazione fornita in sentenza

sull’irrilevanza della testimonianza invocata, la doglianza sulla mancata rinnovazione del dibattimento.

Infatti, la rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, sicché non può essere censurata la sentenza nella quale siano indicati i motivi (qui in modo satisfattivo) per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non si reputi necessaria (Sezione III, 27 maggio 2009, A.)

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione da L.P.R liquidate in euro 2.000,00 e da P. P. per questo giudizio di cassazione liquidate in euro 2000,00, tutte oltre accessori come per legge.

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2011

 

 

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