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Codice processo amministrativo. L’erronea valutazione dei fatti non necessita di rinvio al primo giudice – Consiglio di Stato, Sentenza 4910/2011

La sentenza frutto di una erronea valutazione dei fatti deve essere riformata con effetti che non postulano, in ogni caso, il rinvio al Giudice di primo grado, in applicazione dell’art. 35 della legge 6.12.1971, n. 1034 (come trasfuso nel Codice del processo amministrativo), che tale rinvio prevede per “vizio di forma o di procedura”. In base ad una consolidata giurisprudenza, infatti, sono da ritenere attinenti al contenuto della decisione – e non identificabili quali difetti procedurali (come quelli attinenti a non corretta valutazione di sussistenza, o meno, della giurisdizione) – erronee declaratorie di inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità del ricorso, con conseguente ritenzione della causa, per pronunce di quest’ultimo tipo, da parte del giudice di secondo grado.

(© Litis.it, 2 Settembre 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 4910/2011 del 02/09/2011

FATTO e DIRITTO

Attraverso l’atto di appello in esame (n. 7807/06, notificato il 12.7.2006), si contestava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, n. 11031/05 in data 11.11.2005 (che non risulta notificata), con la quale si dichiarava improcedibile il ricorso proposto dal dottor [OMISSIS], per l’annullamento della graduatoria del personale idoneo all’avanzamento al grado di condirettore (carriera direttiva, ruolo tecnico, sessione promozioni 1997), nonché dei relativi atti presupposti, fra cui il rapporto valutativo compilato per l’anno 1995/1996.

Detta improcedibilità risultava giustificata per inosservanza del termine di deposito della documentazione, attestante l’avvenuta integrazione del contraddittorio, disposta dal medesimo TAR con ordinanza n. 1984 del 7.9.1999.

In sede di appello, tuttavia, l’interessato esponeva che era avvenuta l’effettuazione sia dell’integrazione del contraddittorio per pubblici proclami, su G.U. n. 292 del 14.12.1999, sia del deposito della documentazione, relativa a tale adempimento, presso la Segreteria della I sezione del TAR del Lazio il 19.1.2000, come attestato con la nota del dirigente di tale segreteria n. prot. 248/06 del 27.4.2006.

Il medesimo adempimento, peraltro, risulta registrato sulla scheda informatica, attestante il deposito degli atti di causa.

In tale situazione, la Sezione ritiene che la sentenza appellata risulta frutto di una erronea valutazione dei fatti e deve essere riformata, con effetti che non postulano, in ogni caso, il rinvio al Giudice di primo grado, in applicazione dell’art. 35 della legge 6.12.1971, n. 1034 (come trasfuso nel Codice del processo amministrativo), che tale rinvio prevede per “vizio di forma o di procedura”.

In base ad una consolidata giurisprudenza, infatti, sono da ritenere attinenti al contenuto della decisione – e non identificabili quali difetti procedurali (come quelli attinenti a non corretta valutazione di sussistenza, o meno, della giurisdizione) – erronee declaratorie di inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità del ricorso, con conseguente ritenzione della causa, per pronunce di quest’ultimo tipo, da parte del giudice di secondo grado (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. V, 6.12.1988, n. 797; Cons. St., sez. IV, 15.1.1980, n. 13; Cons. St., sez. IV, 23.10.1984, n. 774; Cons. St., sez. VI, 17.4.2003, n. 2083; Cons. St., sez., IV, 7.6.2004, n. 3608; Cons. St., sez. V, 10.5.2005, n. 2348, 14.4.2008, n. 1605 e 2.10.2008, n. 4774).

Nel merito, tuttavia, le argomentazioni dell’appellante, reiterative di quelle proposte in primo grado di giudizio, non appaiono condivisibili.

Il medesimo appellante riconduce infatti il proprio mancato avanzamento ad un vero e proprio “blocco della carriera”, conseguente ad un parere tecnico reso nel lontano 1974, parere che sarebbe stato interpretato come un “atto ostile” nei confronti dell’Ente datore di lavoro (con conseguenze che, nel corso degli anni, si sarebbero tradotte anche in frequenti trasferimenti per asserite esigenze di servizio, mancata valorizzazione professionale e sistematica esclusione da ogni tipo di addestramento o formazione). Lo scrutinio impugnato sarebbe stato dunque illegittimo per “sviamento di potere e manifesta animosità”, con conseguente violazione degli articoli 52 e seguenti del regolamento del personale, anche sotto il profilo dello squilibrio immotivato nella valutazione dei titoli, risultando incomprensibile il basso punteggio dallo stesso riportato, nell’apprezzamento riferito a “conoscenze professionali” ed “organizzazione”.

La parte appellata, costituitasi anche nel presente grado di giudizio, ha contestato la mancata esibizione di una copia della documentazione, a suo tempo depositata, con timbro originale del TAR, con ulteriore tardività della pubblicazione intervenuta sulla Gazzetta Ufficiale, rispetto alla comunicazione dell’ordinanza con cui si disponeva l’integrazione del contraddittorio, in data 8.9.1999. Nel merito, la medesima parte osservava comunque come il dottor [OMISSIS], collocato a riposo nel 1999, avesse presentato precedenti ricorsi avverso le sessioni di promozione degli anni ‘80 – ’90, tutti respinti in primo e (in un caso di appello) secondo grado di giudizio. Nell’unico caso di parziale riforma di una sentenza del TAR da parte del Consiglio di Stato (n. 1358/1992) era successivamente stato respinto il ricorso per ottemperanza, essendo stato riconosciuto come la Banca d’Italia non avesse alcun obbligo di promuovere il ricorrente, ma solo di rivalutare e motivare più ampiamente la scelta a suo tempo effettuata, come in effetti avvenuto.

Per la carriera direttiva in questione, infine, sarebbe stata prevista una “crescente caratterizzazione manageriale delle funzioni”, con maggiore rilevanza della globale capacità di gestione rispetto alla specifica competenza in singoli settori ed ampia discrezionalità dell’Ente nell’ambito del nuovo sistema di valutazione del personale, introdotto nel 1989.

Premesso quanto sopra – e ribadito che l’appellante risulta avere fornito sufficiente documentazione, circa l’avvenuta integrazione del contraddittorio ed il deposito presso la Segreteria del TAR della relativa documentazione (posto che da tale segreteria proviene un’attestazione di “adempimento” all’ordinanza n. 1984/99) – il Collegio ritiene di poter prescindere da ulteriori accertamenti, circa la data di avvenuta recezione della comunicazione in via amministrativa dell’ordinanza stessa (non rinvenuta in atti), per una più compiuta verifica di tempestività dell’integrazione del contraddittorio per pubblici proclami, poiché le argomentazioni difensive prospettate nel merito risultano inammissibili per genericità, o riferibili ad una sostanziale situazione di “mobbing”, smentita dall’esito delle diverse impugnative in precedenza proposte e comunque non formalmente evidenziata come tale.

Attraverso le censure in precedenza sintetizzate, infatti, l’interessato contesta scelte rimesse alla discrezionalità tecnica dell’Ente datore di lavoro (insindacabile nel merito), senza puntuale enunciazione di vizi dei presupposti criteri valutativi (al di là di generiche e indimostrate affermazioni di inadeguatezza) e senza che, in ordine agli atti applicativi di tali criteri, emergano reali fattori di illogicità, contraddittorietà o erroneo apprezzamento dei fatti.

Non configurano i predetti vizi funzionali d’altra parte, affermazioni apodittiche e indimostrate, riferite a presunta “annosa discriminazione”, ovvero a “manifesta animosità”, che dovrebbero desumersi solo dal reiterato scavalcamento del dipendente in questione da parte di altri funzionari, nonostante l’elevata anzianità di servizio e l’ineccepibile curriculum del medesimo: circostanze, quelle da ultimo indicate, che avrebbero potuto costituire solo il punto di partenza per contestare, sotto ogni profilo sintomatico di eccesso di potere, la legittimità di determinazioni ampiamente discrezionali, riferite alle concrete attitudini, alla competenza ed alla personalità dei dipendenti interessati.

Lo specifico intento di danneggiare l’attuale appellante, a sua volta, appare non solo non suffragato da qualsiasi principio di prova, ma smentito dal rigetto delle diverse azioni proposte in sede giurisdizionale, avverso l’esito ugualmente negativo di altre procedure di avanzamento: un esito ritenuto di volta in volta corretto e la cui reiterazione, pertanto, non può di per sé assumersi come indice di sviamento.

L’appello deve quindi, conclusivamente, essere respinto, pur non risultando confermata la motivazione della sentenza di primo grado; quanto alle spese giudiziali dei due gradi, tuttavia, il Collegio ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto anche dei tempi di svolgimento della vicenda processuale in esame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, previa declaratoria dell’ammissibilità del ricorso di primo grado, respinge l’appello n. 7807 del 2006, nei termini precisati in motivazione.

Compensa le spese giudiziali dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 02/09/2011

 

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