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L’ammontare del patrimonio incide sulla determinazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento – Cassazione Civile, Sentenza n. 18618/2011

Ai fini della determinazione di un assegno di mantenimento periodico ex art. 155, comma 4, novellato, il Giudice non deve necessariamente esaminare e richiamare tutti i parametri indicati, potendo in riferimento ad alcuni di essi, secondo le circostanze e la fattispecie concreta. Nella fattispecie la sentenza ha preso in considerazione le risorse economiche dei genitori (ampia disparità tra marito e moglie, il tenore di vita goduto dalle figlie in costanza di matrimonio, e attraverso esso le attuali esigenze delle figlie stesse.

(© Litis.it, 16 Settembre 2011 – Riproduzione riservata)

Cassazione Civile, Sezione Prima, Sentenza n. 18618 del 12/09/2011

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 20/1/2004, B.L. chiedeva dichiararsi separazione personale dal coniuge R.R., con addebito a quest’ultimo; chiedeva altresì l’affidamento delle figlie minori, l’assegnazione della casa coniugale ed un assegno mensile per sé e per le figlie.
Costituitosi regolarmente il contraddittorio, il R. chiedeva l’addebito alla moglie, dichiarandosi disponibile a corrispondere assegno di Euro 1.200,00 mensili per le figlie.

Il Presidente del Tribunale di Rimini autorizzava i coniugi a vivere separati, affidava le figlie minori alla madre, cui assegnava la casa coniugale; disponeva a carico del R. assegno di mantenimento a favore delle tre figlie per l’importo di Euro 516,00 per ciascuna di esse, nonché un assegno di mantenimento per la moglie per l’importo di Euro 700,00 mensili.
Con sentenza del 7/10/2008, il Tribunale di Rimini determinava assegno mensile a carico del R. per le figlie in misura di Euro 600,00 per ciascuna e quello per la moglie in Euro 800,00 mensili.

B.L. interponeva appello avverso la predetta sentenza, con ricorso depositato in data 20/5/2009, chiedendo elevarsi l’assegno per sé e per le figlie.
Costituitosi il contraddittorio, il R. chiedeva rigettarsi l’appello e, in via incidentale, ridursi l’assegno per le figlie ad Euro 400,00 per ciascuna, escludendosi quello per la moglie.

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza 26/6 – 9/7/2009, in parziale accoglimento dell’appello principale, elevava l’assegno per le figlie all’importo di Euro 1.000,00 per ciascuna, nonché quello per la moglie all’importo di Euro 1.200,00 mensili.

Ricorre per Cassazione il R. sulla base di 7 motivi.

Resiste, con controricorso, la B.

Entrambe le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

Motivi della decisione

Per ragioni sistematiche si esaminerà dapprima il motivo inerente l’addebito e successivamente quelli relativi all’assegno per le figlie e per la moglie.
Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione circa l’esclusione dell’addebito della separazione alla moglie, essendovi la prova che la B. non aveva mai cessato, dopo la riconciliazione, una pregressa relazione extraconiugale, mentre la nuova convivenza non avrebbe integrato l’effettiva riconciliazione.

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Come è noto, l’addebito nella separazione, previsto dall’art. 151 c.c., presuppone la violazione di doveri derivanti dal matrimonio e il nesso di causalità tra tale violazione e l’intollerabilità della convivenza, che deve essere provato dal richiedente. Con motivazione adeguata e non illogica (e sulla base di una valutazione di fatto insuscettibile di controllo in questa sede), la sentenza impugnata si riferisce alla riconciliazione tra i coniugi, con ripresa della convivenza e rinnovata comunione spirituale e fisica, durata da settembre-ottobre 2001 ad aprile 2003; ne deriva necessariamente l’irrilevanza dei comportamenti pregressi, e in particolare della relazione extraconiugale che il marito addebitava alla B. Il R. sosteneva che la moglie non aveva interrotto la relazione, nonostante la ripresa della convivenza con lui, ma – secondo il Giudice a quo – di ciò egli non ha fornito prova, né si è offerto di fornirla, articolando le sue istanze istruttorie solo con riferimento al periodo precedente la riconciliazione.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 147, 148, 155 e 155 quater c.c., art. 30 Cost.; omessa considerazione delle concrete esigenze delle tre figlie, senza tener conto delle loro diversità per età e bisogni di vita; determinazione del loro assegno di mantenimento, sulla base della mera comparazione delle posizioni economiche dei coniugi, senza applicare i parametri indicati dall’art. 155 c.c.; omessa considerazione circa la valenza economica dell’assegnazione della casa, ai fini dell’assegno per le figlie. Con il secondo motivo, vizio di motivazione nel disporre l’aumento dell’assegno per le figlie, che, sommato a quello per la moglie, sarebbe superiore al reddito netto dell’obbligato, nonché sull’errata statuizione di retroattività dei due assegni. Con il terzo motivo, vizio di motivazione sulla determinazione dei due assegni (per le figlie e per la moglie) in base alle risultanze della C.T.U. sui redditi e sul patrimonio dell’onerato, senza tener conto dei rilievi svolti dal C.T. di parte.

I motivi, che possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, vanno rigettati, in quanto infondati.

Correttamente il Giudice a quo ha considerato la “situazione personale ed economica dei genitori”, correlando ad essa le esigenze delle figlie, che aspirano ad un livello di vita elevato, stante la “grande consistenza patrimoniale paterna”.

Come precisa la giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, da ultimo, Cass. n. 11772 del 2010) le condizioni economiche dei genitori hanno rilievo non soltanto per indicare proporzionalmente il contributo per i figli, a carico di ciascuno di essi, ma anche in funzione diretta del soddisfacimento delle esigenze dei figli stessi, posto che bisogni, aspirazioni e più in generale prospettive di vita risentono necessariamente dell’ambiente economico-sociale in cui si collocano le figure del genitori. Vi sono quindi bisogni essenziali sicuramente comuni a tutti i figli minori, altri collegati all’ambiente cui essi appartengono, altri ancora specifici ed individualizzati (così ad. es. un minore disabile o malato che necessiti di cure, un altro che abbia particolari capacità ed aspirazioni: sport, musica, ecc… : solo in tal caso il giudice del merito dovrebbe analizzare e distinguere le singole posizioni.

E’ appena il caso di precisare che ai fini della determinazione di un assegno periodico ex art. 155, comma 4, novellato, il Giudice non deve necessariamente esaminare e richiamare tutti i parametri indicati, potendo in riferimento ad alcuni di essi, secondo le circostanze e la fattispecie concreta. La sentenza impugnata ha richiamato le risorse economiche dei genitori (ampia disparità tra marito e moglie, e su tale profilo si tornerà, trattando dell’assegno per la B.), il tenore di vita goduto dalle figlie in costanza di matrimonio, e attraverso esso le attuali esigenze delle figlie stesse.

Va altresì precisato che, ai sensi dell’art. 155 quater c.c., l’assegnazione della casa coniugale, che viene effettuata nell’interesse dei figli (minori o maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente), per evitare modifiche coattive e radicali del loro ambiente di vita familiare e di relazione, assicurando la continuità dell’habitat domestico, quale centro di affetti, interessi e consuetudini di vita, può rilevare solo nella comparazione dei rapporti economici tra i coniugi (sul punto, Cass. n. 4520 del 2010). L’articolo predetto testualmente recita:
“dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori”, e di ciò è riprova la circostanza che l’assegnazione della casa coniugale non è inserita tra i parametri dell’assegno per i figli, indicati dall’art. 155 c.c., comma 4. La sentenza impugnata ha disposto l’aumento dell’assegno per le figlie (ma pure per il coniuge) retroattivamente a far data dal gennaio 2005: si censura, al riguardo, come si è detto, vizio di motivazione.

Va precisato che il giudice a quo non doveva fornire specifiche motivazioni, avendo applicato regole generali, confermate dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte Cass. n. 13623 del 2010 n. 28987 del 2008, per figli; n. 6612 del 1994 per il coniuge), circa la decorrenza dalla domanda dell’assegno alimentare, ai sensi dell’art. 445 c.c. e la retroattività degli effetti di ogni provvedimento giurisdizionale fino alla domanda, considerata la necessità di conservazione del contenuto reale del credito, fatto valere con la domanda stessa. Solo l’assegno per il coniuge in sede di divorzio, costituisce eccezione dettata dalla natura costitutiva della pronuncia, ma anche in tal caso, come è noto, il legislatore ha soddisfatto l’esigenza di far retroagire la decorrenza, pur in assenza di specifica domanda.

Sulla quantificazione dell’assegno per le figlie (e per la moglie) la sentenza impugnata fornisce motivazione adeguata e non illogica, richiamando le risultanze della consulenza tecnica: un patrimonio del R. ammontante ad Euro 3.713.836,52 tra immobili, quote societarie, depositi bancari e crediti. E’ appena il caso di precisare che i genitori devono adempiere all’obbligo di mantenimento per i figli, ai sensi dell’art. 30 Cost. e art. 148 c.c., in proporzione alle proprie sostanze e alle capacità di lavoro professionale e casalingo, senza limitazione alcuna al riguardo.

Per l’assegno al coniuge – l’art. 156 c.c. precisa che l’entità è commisurata alle circostanze e ai redditi dell’obbligato, e la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che pure rilevano le “sostanze”, oltre che i redditi, sulla base del combinato disposto degli artt. 156 e 143 c.c., (tra le altre, Cass. 6773 del 1990; n. 17136 del 2004): in tal senso, ove i redditi dell’obbligato fossero inferiori proporzionalmente rispetto ad un cospicuo patrimonio (nella specie, il R. afferma che le società, oggetto di partecipazione, distribuiscono pochi utili o non ne distribuiscono per ricapitalizzarli), l’assegno stesso dovrebbe quantificarsi anche con riguardo a tale patrimonio, e l’obbligato sarebbe tenuto alla corresponsione, eventualmente liquidando una parte del patrimonio stesso.
Giurisprudenza consolidata di questa Corte (per tutte, da ultimo, Cass. n. 10222 del 2009) precisa che non incorre in vizio di motivazione il Giudice del merito che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti della consulenza tecnica d’ufficio.

Ove una parte richiami le critiche mosse dal C.T. di parte (ciò che nella specie era stato effettuato, come emerge dalla comparsa di costituzione in appello dell’odierno ricorrente, alcuni passi della quale sono stati riportati nel ricorso in esame, soddisfacendo così il requisito dell’autosufficienza di esso), il Giudice deve fornire una risposta. Ma ciò ha fatto la sentenza impugnata, precisando che anche se si fossero accolte le osservazioni critiche del R. sulla consulenza, le sue condizioni, quantomeno sotto il profilo patrimoniale, resterebbero invariate. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 155 quater e 156 c.c., L. n. 898 del 1970, art. 5, precisando che è stato elevato l’assegno di separazione, senza applicare i parametri legali di quantificazione, si è omesso l’accertamento del tenore di vita precedente e della mancanza da parte della moglie di mezzi adeguati, si è omessa la considerazione della valenza economica dell’assegnazione della casa ai fini dell’assegno per la moglie. Con il sesto, egli censura vizio di motivazione sulla quantificazione dell’assegno alla moglie stessa, anche in relazione alle sue potenzialità reddituali ed alla disposta retroattività. Con il settimo, violazione degli artt. 2697, 147 e 148 c.c., art. 155 c.c., comma 4, artt. 115 e 116 c.p.c., in ordine alla determinazione dei due assegni: si precisa che la stessa B. aveva indicato nel corso del giudizio come sufficiente una somma inferiore a quella dell’importo liquidato; ancora si censura l’omessa considerazione dei rilievi svolti dal C.T.U. sui redditi del marito e sulle potenzialità della moglie.

I motivi possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente connessi, e vanno rigettati in quanto infondati.
L’art. 156 c.c. precisa che il coniuge ha diritto al mantenimento in quanto non abbia redditi adeguati, e giurisprudenza costante di questa Corte (per tutte, Cass. n. 2156 del 2010) precisa che anche per la separazione l’inadeguatezza dei redditi viene valutata in funzione dell’esigenza di conservare, almeno tendenzialmente, il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.

Giurisprudenza parimenti costante (per tutte, da ultimo, Cass. n. 10222 del 2010) chiarisce che, in mancanza di prova sul “tenore di vita”, può sopperire l’ammontare complessivo del patrimonio e dei redditi dei coniugi, dando esso luogo ad una presunzione sul tenore di vita da essi goduto durante il matrimonio. Con motivazione adeguata e non illogica, il giudice a quo, come già si è detto, fa proprie le risultanze della consulenza tecnica: a fronte dell’imponente patrimonio del R., dei redditi da lui percepiti e delle notevoli potenzialità reddituali, sta l’assenza di reddito della B., proprietaria al 50% dell’immobile adibito a casa familiare, di un’auto Fiat Punto 60, di valore in sostanza irrilevante, e titolare di un deposito di conto corrente di Euro 334,04. Essa – così la sentenza impugnata – non ha mai lavorato durante la convivenza matrimoniale, durata circa vent’anni, sempre accudendo al coniuge e alle figlie: dunque – secondo il giudice a quo, che esprime una valutazione di fatto, insuscettibile di controllo in questa sede – non ha redditi e possiede una capacità di guadagno pressoché nulla.
E’ vero che l’assegnazione della casa coniugale può incidere sull’importo dell’assegno per il coniuge ai sensi dell’art. 155 quater c.c. Anche se a tale profilo la sentenza impugnata non si riferisce esplicitamente, dal contesto motivazionale, tenuto conto della notevole sproporzione delle condizioni economiche tra le parti, emerge palesemente che di ciò il giudice a quo ha tenuto conto nella quantificazione dell’assegno.

E’ appena il caso di precisare che la retroattività, correttamente disposta, come si è detto, sulla base delle regole generali in materia di assegno di mantenimento e alimentare, non può certo incidere sulla quantificazione dell’assegno stesso. Quanto all’affermazione della B., che avrebbe indicato, in un atto difensivo, come sufficiente per sé e per le figlie una somma inferiore all’importo liquidato, va precisato che, secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. n. 12411 del 2008), le dichiarazioni del difensore in scritti processuali non hanno efficacia confessoria. Utilizza il ricorrente la predetta argomentazione, per avvalorare la sua tesi circa la violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova. Ma, al contrario, come già si è precisato, il giudice a quo fonda la pronuncia sugli assegni e la loro quantificazione sulle risultanze peritali, sull’imponente patrimonio dell’odierno ricorrente e sull’assenza di reddito dell’odierna resistente.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 e Euro 200.00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2011

 

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