GiurisprudenzaPenale

Chi assume atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del minore sconfina nei maltrattamenti – Cassazione Penale, Sentenza n. 36503/2011

La Corte di Cassazione con la sentenza n.36503/11 si è pronunciata relativamente alle ipotesi di esistenza o meno del delitto di cui all’art 572 cp. (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli). Il caso a cui è stato sottoposto la Corte è quello di un nonno materno e madre del minore, imputati del delitto di cui all’art 572cp, in concorso tra loro , quali conviventi con il minore, per avere assunto atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del medesimo. Tali atteggiamenti consisterebbero fra gli altri nel non fare frequentare con regolarità la scuola al minore, nell’impedire la sua socializzazione, nel’impartire regole di vita tali da incidere sullo sviluppo psichico del minore con conseguenti disturbi deambulatori.
Per i giudici di merito, gli atti di maltrattamento del nonno materno e della madre del minore nei confronti di quest’ultimo si sono materializzati, in atteggiamenti iperprotettivi qualificati come “eccesso di accudienza”, in deprivazioni sociali e psicologiche che valutate nel loro complesso sono idonee a ritardare gravemente nel minore sia lo sviluppo  psicologico relazionale, sia l’acquisizione di abilità in attività materiali e fisiche, anche elementari.
La difesa degli imputati sostiene che i Giudici di merito,con la loro decisione  hanno rimodellato la struttura del reato di maltrattamenti stravolgendone la natura e gli elementi costitutivi, al fine di rendere applicabile la norma a condotte non riconducibili all’elemento oggettivo della norma de quo.Gli atteggiamenti degli imputati- secondo la difesa-   consisterebbero in atteggiamenti di iperprotezione e di ipercura, che non possono farsi rientrare   nel concetto di ” maltrattamenti”. Maltrattamento è ad esempio, il consentire al minore di vivere in stato di abandono in strada per chiedere l’elemosina.Pertanto esisterebbe una incompatibilità strutturale insanabile, tra chi maltratta e iperprotegge il minore, ispirato se non altro da intenzioni lodevoli.
Il Collegio ritiene che il difensore parti da una “Posizione riduttiva” nella lettura del dettato normativo, in quanto nel reato di maltrattamenti di cui all’art.572 cp l’ogetto giuridico non è costituito solo dal’interesse dello stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti ma anche dalla incolumità fisica e pschica delle persone indicate nella norma (Cassazione penale sez.6 37019/2003).
Se in un primo momento madre e nonno possano aver agito in buona fede nella scelta dell’educazione da impartire al minore, successivamente non aveva motivo continuare in quella direzione  dopo i ripetuti interventi di esperti dell’età evolutiva e dell’autorità giudiziaria. Pertanto secondo la Cassazione “al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, segnala la pacifica ricorrenza in capo agli accusati della intenzionalità che connota il delitto ritenuto nei termini correttamente ribaditi dai giudici di merito”.

Avv. Anna Sabia

(© Litis.it, 19 Ottobre 2011 – Riproduzione riservata)

Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza n. 36503 del 10/10/2011

[OMISSIS] e [OMISSIS] rispettivamente madre e nonno materno del minore [OMISSIS] (nato il [OMISSIS] ricorrono, a mezzo del loro comune difensore, avverso la sentenza 19 ottobre della corte d’apello di Bologna (che li ha condannati per il delito di cui all’art.572 cp, confermando la decisione di condanna 17 magio 207 del GUP del Tribunale di Ferrara), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1) L’accusa e le conformi decisioni dei giudici di merito.
[OMISSIS] (nonno materno e madre del minore), sono imputati:1 del delitto p. e p dall’art.572 cp, per avere, in concorso tra loro, quali conviventi con il minore [OMISSIS], nato il [OMISSIS] mediante atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del minore medesimo, consistenti fra gli altri nel non fare frequentare con regolarità  la scuola allo stesso, nell’impedire la sua socializzazione (il minore ha conosciuto suoi coetanei solo in prima elementare), nell’impartire regole di vita tali da incidere sullo sviluppo psico del minore con conseguenti disturbi deambulatori, prospettandogli, inoltre la figura paterna come negatiav e violenta tanto da imporgli di farsi chiamare con il cognome materno, sotoponendolo a tutte dette vessazioni, maltrattato il minore Reato commesso in ferara fino al mese di ottobre 2004.
Con sentenza 17 maggio 2007 del Gup di Ferrara, all’esito di giudizio abbreviato, gli odierni ricorrenti sono stati dichiarati responsabili del reato ascritto e condannati alla pena di un anno e mesi quattro di reclusione ciascuno (pena base anni 3, in ragione della speciale gravità delle condotte e della loro prosecuzione per anni, ridota ad anni 2 per le generiche ed ulteriormente come a dispositivo per la scelta del rito). Il Gup ha negato la chiesta sospensione condizionale della pena, che è stata peraltro interamente condonata.
Con sentenza 19 ottobre 2010 la Corte di Appello di Bologna su gravame degli imputati ha confermato le statuizioni del GUP di Ferrara in data 17 maggio 2007.
Per i giudici di merito gli atti di maltrattamento, nei confronti del minore, convivente con la madre ed il nonno nella casa di questi, si sono materializati:
a) in atteggiamenti iperprotettivi qualificati come ” eccesso di accudienza”, mantenuto e proseguito in età preadolescenziale, con imposizione di atti riservati all’età infantile, nonchè nell’esclusione del minore da attività anche didatiche istituzionali, inerenti la motricità;
b)in deprivazioni sociali(impedimento di rapporti con coetanei) e psicologiche (rimozione della figura paterna);
condotte tutte contestatae come commesse fino all’ottobre 2004.
Tali condotte, una volta accertate, sono state nel loro complesso valutate come concretamente idonee a ritardare gravemente nel minore sia lo sviluppo psicologico relazionale (con i coetanei e la figura paterna) sia l’acquisizione di abilità in attività materiali e fisiche, anche elementari (come la corretta deambulazione).

2.I motivi di impugnazione
Il ricorso è articolato in quattro diffusi motivi di doglianza, i primi dei quali attengono all’azione esecutiva e ai profili soggettivi del delitto di maltrattamenti, mentre l’ultimo rigurda l’entità della sanzione irrogata.
Con un primo motivo di impugnazione i ricorenti deducono inosservanza ed erronea applicazione dela lege, nonchè vizio di motivazione in punto di agermazione dela penale responsabilità, erronea applicazione della legge penale sostanziale, errata qualificazione giuridica del fatto, soto il profilo dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art.572 cp.
Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in un punto di penale responsabilità, erronea applicazione dela legge penale sostanziale, errata qualificazione giuridica del fatto sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art.572cp.
Con un terzo motivo si prospetta manifesta illogicità della motivazione in punto di responsabilità ex art.572 cp per difetto del dolo.
Con un quarto motivo si evidenzia l’illogicità della motivazione posta a fondamento del trattamento sanzionatorio, con il riconoscimento di una condizione di supremazia del padre ricorente sulla figlia, cui non è corrispostauna equa riduzione della sanzione, e a cui si è accompagnata una motivazione sulle condotte successive dei condannati desunta da una pronuncia di colpevolezza per fatti successivi e non coperta da giudicato.

3) Le ragioni della decisione di rigetto della Corte di legittimità.
Prima di esaminare analiticamente il tenore del gravame va precisato che nella verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale corelazione con la sentenza del primo giudice, dal momento che entrambe risultano svilupate e condotte secondo linne logiche e giuridiche pienamente concordanti.
La difesa degli imputati sostiene che la Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza di prime cure, maturando un giudizio di diritto che non può essere condiviso, in quanto per confermare la decisione del Giudice di primo grado essa ha finito per rimodellare la struttura del reato di maltrattamenti, stravolgendone la natura e gli elementi costituivi, al fine di rendere applicabile la predetta norma sostanziale a condotte che non possono rientrare, invece, nell’ambito dell’elemento oggettivo richiesto dalla norma in esame.

2.1 l’elemento oggettivo del reato e la conforme azione esecutiva nella condota dei ricorrenti.
Il ricorrente, premesso l’assunto (pacifico) che i maltrattamenti di cui si sarebbero resi responsabili omosis consisterebbero sostanzialmente in atteggiamenti di iperprotezione e di ipercura, prospetta con i l primo motivo che tali condotte andrebbero considerate espressione di fenomeni patologici che non possono rientare nel concetto di maltrattamenti, così come inteso nella norma in esame, in quanto prive di una chiara connotazione negativa.
Quali esempi tipici della materialità dei maltrattamenti, il ricorso indica: il consentire al minore di vivere in stato di abbandono in strada per chiedere l’elemosina; la ripetuta esposizionedel minore a contesti erotici; l’utilizzo di mezzi e metodi trascendenti qualsiasi aspetto di liceità correttiva ed estranei a ogni plausibile scopo pedagocico formativo, sostanziati in percosse e punizioni umilianti e gratuite.
Si tratta ad avvisodel difensore di condotte tutte che si qualificano per una chiara connotazione negativa, talora violenta, talora subdolamente mortificante o ingiustificatamente punittiva, ma sempre e comunque negativa, come peraltro indica, inequivocabilmente,
la stessa rubrica dell’artr. 572 cp.
La conclusione dell’argomentare difensivo è quindi nel senso che AL CONTRARIO- GLI ATTEGGIAMENTI DI IPERPROTEZIONE O DI IPERCURA, LUNGI DAL COSTITUIRE I maltrattamenti sanzionati dalla norma, integrano la ripetizione di condotte che nascono come positive e certo ispirate da intenzioni lodevoli, salvo poi riverberare effetti negativi su chi tali condotte subisce a causa della loro weccessiva e patologica esasperazione.
Da ciò deriverebbe che l’ipercura e l’iperprotezione, addebitate ai  [OMISSIS] non possono costituire l’elemento oggettivo del reato di maltrattamenti, atteso che tra le due condotte, quella di chi maltratta e quella di chi ipercura o iperprotegge, esiste, con tutta evidenza, un’incompatibilità strutturale insanabile.
Ritiene il Collegio che lo sforzo del difensore, pur apprezzabile per il suo sviluppo dialettico, parta da una ” posizione riduttiva”  nella lettura del dettato normativo, dimenticando che nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572cp l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, connotati secondo il lessico del ricorrente da una “chiara connotazione negativa”ma anche dalla tutela della incolumità fisica ed psichica delle persone indicate nella norma (Cas. pen.sez. 6, 37019/2003 Rv 226794), interessate al rispetto integrale della loro personalità e delle loro potenzialità nello svolgimento di un raporto, fondato su costruttivi e socializzanti vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno a prescindere da condotte pacificamente vessatorie e violente.
In tale quadro, poco  conta la ” soglia di sendibilità del minore vittima”, la quale non solo per il grado di sviluppo pscico-fisico della persona offesa, ma soprattutto, perchè essa, oggettivamente disaffrerenziata dai contesti di riferimento (gruppo dei pari di età), di necessità, non può disporre di standard di peso  della negativa e deteriore realtà in cui è costretta a vivere.
In tale quadro si appalesa quindi irrilevante il riferito” stato di benessere del bambino”, tenuto conto che, non a caso, in tutti i sistemi di civiltà evoluta, lo Stato può verificare in modo intrusivo le “realtà di disagio anomalo” nela famiglia e le loro cause umane, imponendo prescrizioni ai familiari, sino alla decadenza della potestà, all’allontanamento e allo stato di adotabilità del minore stesso.
Nè miglior sorte va riservata al secondo profilo critico del ricorso, prospettato per negare la materialità dei maltrattamenti sulla base  del rilievo che il reato esige – come risultato-  che gli atti di maltrattamento (lesivi dell’integrità fisica o morale, della libertà o del decoro della vittima) siano tali da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra il soggeto attivo e la persona offesa, con conseguente necessità, ad avviso del ricorrente, di un  rapporto diretto tra colui che pone in essere le condotte di maltrattamento da un lato ed il dolore ed il disagio dell’altro, realtà che nella vicenda sarebero escluse dal manidestato benessere del minore di vivere iperaccudito nella realtà familiare.
La conclusione della difesa soffre dello stesso vizio di lettura della precedente doglianza in quanto pone, come crinale e “discimen” del maltrattamento, lesivo dei processi di crescita psicologica e fisica del minore, il grado di percezione del maltrattamento stesso ad opera della vittima minorenne.
Non è chi non veda l’insostenibilità del’assunto che fa dipendere l’oggettiva sussistenza della condotta illecita dalla “variabile soglia di sensibilità della vittima”, che, in quanto minore esige efficace tutela, anche contro la sua stessa infantile limitata percezione soggettiva.
La critica va quindi rigettata, senza dimenticare la regola che in ogni caso, a prescindere dalla minore età della vittima, il reato de quo mai può essere scriminato dal consenso dell’avente dirito, sia pure affermato sulla base di opzioni sub- culturali o come nella specie, scelte e stili pedagocici obsoleti, od in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell’ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo sanciti dall’art 2 della Costituzione, i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto familiare negli articolo 29-31 cost. (cfr. Cass. pen sezione 6, 463000/08, Fhami; Cass. penale sez. VI 339871999, Rv 215158, Bajarami).
Quanto al tema della ” deprivazione psicologica ” e quindi della ” rimozione della figura paterna” sostiene il difensore che non sarebbe emersa alcuna prova certa in ordine all’asserito condizionamento psicologico, tanto più che l’avversione del minore nei confronti del padre, ad esito del giudizio di primo grado, era già stata temporalmente e causalmente collocata con riguardo al fortissimo trauma subito in occasione dei tentativi di allontanamento ed, in generale, all’iter doloroso cui il minore si sentiva sottoposto a causa dei pur nobili intenti del padre.
il motivo, per come profilato, non supera la soglia dell’ammissibilità.
Nella specie, ci si trova difronte a due sentenze, di primo e secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti afondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente sì da costituire un unico complesso corpo argomentativo, privo di lacune, sul punto della ” rimozione della figura paterna”considerato che la sentenza impugnata , ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza.
In conclusione l’esito del giudizio di responsabilità non può essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente le quali si risolvono nel delineare una ” mirata rilettura” di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonchè nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili, oppure perchè assertivamente dotati di una migliore capACITà ESPLICATIVA, NEL CONTESTO IN CUI LA CONDOTTA SI è IN CONCRETO ESPLICATA.iL MOTIVO VA QUINDI RESPINTO IN TUTTE le sue articolazioni.

2.2) la sussistenza dei profili soggettivi del contestato delitto
Con il secondo motivo si lAMENTA VIZIO DI MOTIVAZIONE E VIOLAZIONE DI  di legge in punto di penale responsabilità , erronea applicazione dela legge penale sostanziale, errata qualificazione giuridica del fatto soto il profilo dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art.572cp.
con il terzo motivo si prospetta manifesta illogicità della motivazione in punto di responsabilità ex art. 572 cp per difetto del dolo.
I due motivi tra loro corelati vanno congiuntamente esaminati e valutati.
Il difensore, nel prendere atto che se può essere fonte di censura, o di rammarico, il modo in cui i             recepiscono gli accdimenti , nonchè ” la rigidità e la chiusura mentale che mostrano, sostiene che ” non si può esigere che tale dato, ineliminabile  e per così dire struturale, cambi nel momento in cui tutta la famiglia si sente sotto attacco”, circostanza perasltro che a suo avviso non varrebbe ad integrare il dolo richiesto dalla norma.
In buona sostanza e in altre parole:l’assunto  difensivo è che difetterebbe la seppur minima consapevolezza di creare disagio in             , in persone adulte e mature per le quali, osserva peraltro il collegio, non è stata prospettata avanti ai giudici di merito alcuna questione di non integrità dei processi di intelligenza e volontà.
L’argomento non regge.
Invero, se è ragionevole ritenere che, inizialmente, la diade “madre- nonno” possa aver agito in buona fede, sia pur secondo una falsa coscienza, nella scelta delle metodiche educative e nell’accurata attenzione  nell’impedire contatti di ogni tipo al bambino, isolando nelle sicure ” mura domestiche”, tale pfofilo soggettivo non aveva più motivo di sussistere dopo i ripetuti sinergici interventi correttivi di una pluralità di esperti e tecnici dell’età evolutiva e del disagio psichico ed i conformi interventi dell’autorità giudiziaria.
La persistenza, ciò nonostante, delle metodiche di iperaccudienza e di isolamento, in palese violazione delle indicazioni e delle prescrizioni , talora imposte e talora pure concordate, segnala, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, la pacifica ricorrenza in capo agli accusati della intenzionalità che connota il delito ritenuto nei termini correttamente ribaditi dai giudici di merito.
Il motivo va rigettato.

2.3 il trattamento sanzianatorio
Con un quarto motivo i ricorrenti evidenziano l’illogicità della motivazione, posta a fondamento del trattamento sanzionatorio, con il riconoscimento di una condizione di supremazia del padre ricorrente sulla figlia, cui non è corrisposta un equa riduzione della sanzione per la nonna, ed ala quale si è comunque accompagnata una motivazione sulle condotte successive dei condannati, desunta da una pronuncia di colpevolezza per fatti successivi e non coperta da giudicato.
Anche questo motivo non ha fondamento.
Il trattamento sanzionatorio paritario risulta efficacemente argomentato , già in primo grado, con riferimento al riconoscimento delle circostanze atenuanti generiche, attribuite al nonno per la sua incensuratezza ed alla                         (con precedenti) per il ruolo in sottordine rispetto al padre.
Quanto al richiamo alla prosecuzione della condotta illecita, utilizzato dalla corte distrettuale per ribadire ” ad abundantiam” le formulate argomentazioni, in in punto di conferma della sanzione, valorizzando in proposito anche il dispositivo di una sentenza di condanna per lostesso illecito (decisione non definitiva ed acquisita agli atti in appello dalla parte civile9, va ramentato il principio di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma secondo, Cost., vieta di assumere appunto la ” colpevolezza” a base di qualsivoglia provvedimento, fino a quando essa non sia stata definitivamente accertata, ma non viene affatto di trarre elementi di valutazione sulla personalità dell’accusato del fatto obiettivo della pendenza , a suo carico, di altri procedimenti penali. (Cass.pen.sez.1, 4878/1997Fv 208342).
Bene pertanto di tale circostanza è stato fatto uso per valutare la personalità dei rei nell’esercizio  del potere discrezionale nella determinazione della pena.
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè aprezzata la  tenuta logica e coerenza strutturale dela giustificazione che è stata formulata nelle conformi decisioni del giudici di merito
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 23 aettembre 2011
Il Consigliere estensore
Luigi Lanza                                                                               Il Presidente
Nicola Milo 9

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