Tributaria

La tutela della buona fede del contribuente è salvaguardabile solo a specifiche condizioni – Cassazione Civile, Sentenza n. 5402/2012

In tema di legittimo affidamento del contribuente, affinché una situazione sia tutelabile, ai sensi dell’articolo 10, commi 1 e 2, legge 212/2000 (Statuto del contribuente), sono imprescindibili l’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, esplicata in senso favorevole al contribuente, nonché la buona fede di quest’ultimo. Questo il principio ribadito dalla Corte suprema nella sentenza 5402 del 4 aprile scorso, in occasione di una controversia relativa a illegittime compensazioni del credito di imposta per investimenti agevolati nel mezzogiorno.

La vicenda tra norme e fatti
L’Agenzia delle Entrate recupera una compensazione del credito di imposta, previsto dall’articolo 8 della legge 388/2000, ritenuta illegittima poiché esorbitante l’ammontare del debito esposto in dichiarazione, nonché l’arco temporale utile per l’operazione. La società contribuente oppone che dal disposto della normativa sugli investimenti agevolati nel mezzogiorno non si evincono limiti né temporali né quantitativi all’utilizzo del credito.
La questione giunge alla Corte di cassazione che, conformandosi ai propri precedenti, precisa che la condizione per il riconoscimento del credito va ricercata nell’effettivo pagamento del costo del bene durante il periodo di imposta nel quale il contribuente si avvale della relativa agevolazione fiscale, a nulla valendo eventuali accordi diversi con il fornitore per differimenti di corresponsione del prezzo. Tale principio si basa sulla necessità di legare l’agevolazione concessa a un costo realmente sostenuto, rimanendo estranei alle finalità della legge i crediti per costi futuri e di incerto sostenimento.

Dal principio di collaborazione e buona fede alla tutela dell’affidamento
La contribuente solleva, con il secondo mezzo di impugnazione, un’interessante questione di più ampio respiro, legata al principio di buona fede e al legittimo affidamento.
Sostiene che l’applicazione delle sanzioni sarebbe illegittima poiché la società si sarebbe “ispirata” a indicazioni contenute in una nota illustrativa della direzione centrale Gestione Tributi dell’Agenzia delle Entrate.
Va subito detto che le difficoltà maggiori, in questo campo, risiedono nel dare una precisa definizione a categorie giuridiche generali, che mal si adattano a essere imbrigliate in schemi precisi. Tuttavia, dottrina e giurisprudenza hanno cercato di tracciare i contorni fondamentali di tali concetti, avendo cura di precisare che le relative situazioni di tutela disciplinate (per intenderci quelle propriamente dirette all’esclusione di sanzioni e interessi) vadano intese come meramente esemplificative, poiché maggiormente ricorrenti, e, per tale ragione, non esaurienti della portata complessiva delle norme.

Come sopra anticipato, a regolare la materia è l’articolo 10 dello Statuto del contribuente, che dedica il primo comma alla collaborazione e alla buona fede e, il secondo, all’esplicazione del legittimo affidamento e delle dirette conseguenze.
Collaborazione e buona fede sarebbero il risultato di un unico principio sintetizzato nel comma 1 dell’articolo, diretto a governare i rapporti tra Amministrazione e contribuente, che richiamerebbe i principi di buon andamento, efficienza e imparzialità dell’azione amministrativa tributaria, nonché il dovere delle parti di comportarsi in modo coerente e collaborativo (buona fede oggettiva).
L’affidamento del contribuente sarebbe conseguenza e svolgimento di tale principio e provocherebbe, in determinate situazioni, l’esclusione in capo allo stesso dell’applicazione di sanzioni e interessi.

Riassumendo: da un lato, l’Amministrazione finanziaria ha il dovere di esercitare la propria attività e di adottare le proprie decisioni in modo legittimo e in maniera “coerente”; dall’altro il contribuente ha l’onere di non porre in essere comportamenti “scorretti”.
Corollario: l’Amministrazione non può emettere atti impositivi contrari a proprie precedenti indicazioni sulle quali il contribuente abbia fatto legittimo affidamento.

Va da sé che il divieto si esplica non solo se l’atto impositivo è contrario a precedenti indicazioni ma qualora l’affidamento del contribuente sulle stesse risulti legittimo, nonché sussistano circostanze obiettive provanti tali presupposti.
Tali ultime circostanze devono essere individuate e accertate in modo esauriente rispetto alle singole e concrete fattispecie. Tra le stesse vengono annoverate, ad esempio, “la situazione normativa astrattamente idonea a disciplinare la concreta fattispecie, nella quale si inseriscono le “condotte” dell’Amministrazione finanziaria e del contribuente, e sulla quale potrebbe incidere il principio del legittimo affidamento; ovvero, lo stesso fluire del tempo, quale indice della “coerenza” dell’azione amministrativa tributaria e/o dell’affidamento del contribuente e/o del “consolidamento” della situazione giuridica soggettiva favorevole a quest’ultimo” (Cassazione, sentenza 17576/2002).

L’applicazione del principio di diritto al caso
In sintesi, i requisiti necessari a generare una situazione di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, così come individuati dalla sentenza in esame, sono:
– una situazione di “apparente” legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione svolta in senso favorevole al contribuente
– la conformazione “in buona fede” (in senso soggettivo) da parte di quest’ultimo alla situazione giuridica “apparente”, accompagnata e sorretta da una condotta dello stesso (“buona fede” in senso oggettivo) conforme al generale dovere di correttezza gravante sul medesimo
– l’eventuale presenza di circostanze specifiche del caso concreto e “rilevanti”, idonee, cioè, a costituire altrettanti “indici” della sussistenza o dell’insussistenza dei predetti presupposti.

Nel caso, come osserva la Corte, la sola considerazione che il comportamento del contribuente è conseguenza di esternazioni riconducibili all’Amministrazione – non accompagnata dall’indagine volta ad accertare la sussistenza del requisito della legittimità apparente dell’operato dell’Amministrazione e della buona fede del contribuente – non è di per sé sufficiente a generare una situazione tutelabile ai sensi del legittimo affidamento.

La Cassazione chiarisce, inoltre, che, vi sono almeno due argomenti che militano nel senso opposto. Il primo concerne l’operato dell’Amministrazione e il secondo quello del contribuente.
La Corte afferma, infatti, che qualora le note dell’Amministrazione avessero prospettato una lettura in contrasto con il dato normativo, si sarebbero, per tale ragione, poste contra legem e si sarebbero, pertanto, rivelate inadatte a generare legittime aspettative. D’altro canto, la condotta accertata del contribuente, che ha utilizzato un credito di imposta per compensare debiti inesistenti, si è posta, invece, in palese inosservanza del dovere di correttezza discendente dal principio di buona fede.

Ramona Marchetto
nuovofiscooggi.it

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