Penale

L’amministratore di fatto risponde del reato di evasione della società – Cassazione Penale Sentenza 33385/2012

In base alla disciplina dettata dall’articolo 2639 del codice civile, l’amministratore di fatto è da ritenersi gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, con la conseguenza che egli assume la responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, ove concorrano anche le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo.
Tale principio, ribadito dalla Cassazione penale nella pronuncia n. 33385 del 29 agosto scorso, non vale solo in materia di reati fallimentari ma anche nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, in quanto l’amministratore di fatto non solo è tenuto a impedire le condotte vietate riguardanti l’amministrazione della società, ma deve anche pretendere l’esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge.
Ne consegue la legittimità del provvedimento di sequestro per equivalente dei beni dell’amministratore di fatto, anche in misura pro-quota, laddove, come nel caso di specie, gli stessi siano in comunione legale con il coniuge.

I fatti di causa
Un contribuente impugna in Cassazione l’ordinanza del tribunale che, nel confermare il decreto del gip, aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente su alcuni beni dello stesso, nella qualità di indagato per il reato continuato di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000, per aver omesso di presentare le dichiarazioni annuali Ires e Iva – anni d’imposta 2007, 2008 e 2009 – con il conseguente mancato versamento delle imposte dovute per un ammontare complessivo superiore a un milione di euro.
Nel ricorso, il contribuente lamenta la violazione del richiamato articolo 5 del Dlgs 74/2000 in quanto, sin dall’ottobre 2007 (come da risultanze del verbale di assemblea), non era più amministratore della società.

Da tale data, infatti, la carica era ricoperta da un altro soggetto, che, pertanto, era anche l’unico obbligato a porre in essere tutti gli atti stabiliti dalla legge, in nome e per conto della persona giuridica da lui rappresentata e, quindi, a rispondere del reato ipotizzato, trattandosi – quello di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000- di un reato proprio del quale possono rendersi responsabili soltanto i soggetti obbligati ai sensi della vigente normativa.

La decisione della Cassazione
Il Collegio di legittimità ritiene la doglianza non fondata.
Al riguardo, la Cassazione precisa che, in virtù del disposto di cui all’articolo 2639 cc (che equipara il soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile sia a colui che è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia a chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione), l’amministratore di fatto di una società “…è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore ‘di diritto’, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili…” (cfr, Cassazione, sentenze 15065/2011, 39593/2011 e 7203/2008).
In altri termini, secondo l’assunto dei giudici di legittimità, l’equiparazione sostanziale tra amministratore di fatto e di diritto “…assume portata generale in relazione a tutti i comportamenti commissivi o omissivi dell’amministratore di diritto, essendo tenuto l’amministratore di fatto ad impedire le condotte vietate riguardanti l’amministrazione della società ovvero pretendere l’esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge, con la conseguente responsabilità dello stesso in sede penale ex art. 40, comma secondo, c.p.” (secondo cui non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo), semprechè, ovviamente, sussistano le condizioni previste dal citato articolo 2639 cc per riconoscere nel soggetto agente la qualità di amministratore di fatto della società.

A tal riguardo, la Cassazione afferma che, come emerge dagli atti di causa, l’amministratore di diritto non ha compiuto alcun atto di gestione negli anni di imposta oggetto di accertamento, mentre gli stessi sono stati compiuti dall’odierno ricorrente/imputato che, non solo ha provveduto all’invio telematico del modello 770 per l’anno di imposta 2007, ma si è anche qualificato come amministratore e legale rappresentante della società nell’assemblea svoltasi nel giugno del 2009 (come risulta dal verbale notarile).

Osservazioni
Come dimostrato dalla notevole casistica giurisprudenziale in materia di reati societari e fallimentari, sono ormai numerose le società di persone e di capitali all’interno delle quali si registra la contestuale presenza di un soggetto formalmente investito della qualifica di amministratore, titolare dei poteri e doveri che l’atto costitutivo e la legge gli riconoscono, e di un soggetto, il cosiddetto amministratore di fatto, che, senza ricoprire formalmente tale carica, svolge in concreto compiti di gestione.
La responsabilità penale dell’amministratore di fatto, come diretto destinatario delle norme penali fallimentari e societarie per la cui applicazione non rileverebbe il dato formale della qualifica ma il concreto esercizio del potere gestorio – pienamente configurabile, a parere della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie – è stata sostenuta anche dal legislatore che, con il Dlgs 61/2002, modificando il testo dell’articolo 2639 cc, ha definito i criteri sulla scorta dei quali può giungersi all’identificazione dell’amministratore di fatto all’interno della società, in tal modo individuando come destinatari dei precetti penali societari, oltre alle persone formalmente investite delle specifiche qualifiche o titolari delle relative funzioni, anche quelle interne o esterne alla società che, di fatto, rivestono le medesime qualifiche ovvero svolgano le correlative funzioni.

Con riferimento ai criteri per vagliare la qualità di amministratore di fatto, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che per una corretta valutazione non occorre una totale sovrapposizione di funzioni esercitate dal soggetto non qualificato rispetto a quelle proprie dell’amministratore, poichè l’articolo 2639 c.c. richiede un esercizio “continuativo e significativo”, da intendersi non necessariamente come esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, richiedendo solo l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale e anzi non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Cassazione, sentenza 15065/2011).

Marco Denaro

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