Amministrativa

Diniego di rinnovo permesso di soggiorno – Consiglio di Stato sentenza n.5954/2012

sul ricorso numero di registro generale 7822 del 2012, proposto da:
XX, rappresentato e difeso dagli avv. Giuliano Gioia, Alessandra Calabresi, con domicilio eletto presso Alessandra Calabresi in Roma, piazza Camerino, 15;
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Brescia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA – SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 00510/2012, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo permesso di soggiorno nei confronti dell’appellante;

Consiglio di Stato,Sezione Terza, Sentenza n. 5954/2012 del 24.11.2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e di Questura di Brescia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2012 il Pres. Pier Giorgio Lignani e udito l’avvocato dello Stato Lumetti;
Dato avviso alle parti presenti che la causa può essere definita con sentenza immediata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, cittadino tunisino presente in Italia con permesso di soggiorno per lavoro subordinato, alla scadenza del permesso stesso ne ha chiesto il rinnovo alla Questura di Brescia.
La Questura, con atto del 21 settembre 2011, notificato il 19 gennaio 2012, ha rifiutato il rinnovo.
L’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. Brescia, ma questo ha respinto il ricorso con sentenza n. 510/2012.
Il ricorrente ha quindi proposto appello davanti a questo Consiglio; resiste l’amministrazione.
In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di Consiglio, il Collegio, sentite le parti, ritiene di poter definire immediatamente la controversia nel merito.
2. L’impugnato provvedimento di diniego del permesso di soggiorno appare basato su due distinte linee motivazionali.
La prima consiste nel richiamo a due sentenze penali riportate dall’interessato, una nel 2002, l’altra nel 2007, entrambe per reati in materia di stupefacenti; e nella considerazione che il combinato disposto dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del t.u. n. 286/1998 qualifica le condanne per questo tipo di reati come tassativamente ostative del rilascio del permesso di soggiorno, e se del caso del suo rinnovo. La seconda consiste nel riepilogo della posizione assicurativa INPS dell’interessato, ossia nella indicazione delle giornate lavorative per le quali risultano versati i contributi: e precisamente 155 giorni nel 2007, 38 nel 2008, nessuno nel 2009, 51 nel 2010, 49 nel 2011. Nel decreto questi dati sono esposti senza alcun commento, ma è trasparente l’intenzione dell’autorità emanante di richiamare il principio per cui il primo e principale presupposto del permesso di soggiorno è che lo straniero abbia regolari e sufficienti mezzi di sussistenza.
3. L’appellante sostiene, innanzi tutto, che la sua posizione dovrebbe essere regolata non in base agli artt. 4 e 5 del t.u., bensì in base all’art. 9 che tratta dei “soggiornanti di lungo periodo”, la cui aspettativa a permanere nel paese ospitante è rafforzata e tutelata dalla direttiva UE 109/2003.
Il Collegio osserva che questa tesi è infondata, in quanto il testo della direttiva 109/2003 è esplicito nel senso che i benefici da essa previsti competono al soggiornante di lungo periodo che abbia conseguito l’apposito titolo (la cosiddetta “carta di soggiorno”) che ha natura costitutiva. L’appellante non possiede questo titolo e verosimilmente non potrebbe ottenerlo, perché oltre alla lunga permanenza di fatto dovrebbe soddisfare altre condizioni (fra le quali il possesso di un reddito stabile, etc.).
4. In secondo luogo l’appellante sostiene che le due condanne penali citate nel decreto del Questore risalgono a diversi anni or sono (una del 2002, l’altra del 2007) e che quindi si rende applicabile l’orientamento giurisprudenziale, affermatosi presso il Consiglio di Stato circa il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del t.u.. Si tratta del principio per cui l’automatismo della causa ostativa viene meno (e subentra il potere-dovere di una valutazione discrezionale) quando i precedenti penali siano relativamente remoti e nel frattempo siano intervenuti uno o più rinnovi del permesso di soggiorno.
Il Collegio osserva che il principio giurisprudenziale richiamato sarebbe pertinente alla fattispecie in esame (il che non condurrebbe comunque a far ritenere irrilevanti i precedenti penali, ma solo ad eliminare l’automatismo della preclusione al rinnovo, rendendo necessaria una motivazione più articolata); ma sta di fatto che in questo caso il diniego del permesso di soggiorno si basa anche su un diverso ordine di motivazioni: e cioè la discontinuità dell’attività lavorativa dell’interessato, tale da far ritenere mancante il requisito dei sufficienti mezzi di sussistenza.
5. Ora, riguardo a quest’ultimo aspetto, le contestazioni dell’interessato sono generiche e non pertinenti. Va notato che all’analitica ricostruzione della sua posizione previdenziale l’appellante non contrappone dati diversi, che peraltro avrebbe potuto procurarsi senza alcuna difficoltà (ogni lavoratore può avere dall’INPS l’estratto della sua posizione contributiva). Si può dunque ritenere tacitamente confermata l’indicazione esposta nel provvedimento impugnato.
Ma se questo è vero, risulta non conferente e non rilevante la documentazione prodotta dall’interessato, che dimostra come nel gennaio 2010 egli abbia stipulato un contratto di lavoro subordinato. Non vi è ragione per sospettare che quel contratto fosse fittizio o simulato; ma sta di fatto che, dopo la sua stipula, l’interessato ha totalizzato in due anni solari solo 100 giornate lavorative. E ciò impedisce di ritenere che egli abbia una occupazione stabile e regolare.
6. In conclusione, il diniego del permesso di soggiorno appare legittimo, e l’appello va respinto.
Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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