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Danno da vacanza rovinata e responsabilità degli operatori turistici – di Ilaria Rubini

La fattispecie astratta del c.d. “danno da vacanza rovinata” costituisce una tematica di notevole attualità, il cui schema si configura con l’insoddisfazione del turista, con consecutiva risoluzione per inadempimento del contratto turistico, e con essa la restitutio in integrum o in parte del danno patrimoniale consistente nel corrispettivo pagato dallo stesso. Per danno da vacanza rovinata , dunque, deve intendersi il pregiudizio che può gravare sul turista da disagi psico-fisici sofferti in corso di vacanza ed idonei al limitare il pieno e sereno godimento del viaggio considerato come occasione di riposo. A proposito, si intende verificare se, oltre al c.d. “danno patrimoniale”, il turista, le cui aspettative di svago sono state ampiamente disattese, abbia diritto ad una voce di danno aggiuntiva, a carattere non patrimoniale.

Fra le prime pronunce espresse sul tema, risultano degne di novero la sentenza del Tribunale di Roma del 6 ottobre 1989 e la sentenza espressa dal Tribunale di Bologna del 15 ottobre 1992,

dopo le quali, la casistica in materia ha avuto un rilevante sviluppo e, ad oggi, le sentenze pubblicate in tema di c.d “danno da vacanza rovinata” sono circa un centinaio.

Per quanto attiene alle (plurime) opzioni ermeneutiche, spesso si tende a classificare tale tipologia di danno come non patrimoniale, benchè risarcibile a prescindere da un’ipotesi di reato, dunque fuori da quanto previsto dall’art.2059 cod.civ.

Una differente linea di pensiero inquadra il danno in analisi entro la categoria del c.d “danno biologico”, in quanto “attiene al pregiudizio subìto alla salute, intesa in senso lato, dell’individuo, avuto riguardo alla proiezione negativa sul suo futuro esistenziale delle conseguenze dell’evento dannoso, sotto l’aspetto della limitazione al libero sviluppo della personalità a causa della lesione subita nella propria integrità biopsichica, con i consequenziali risvolti deteriori anche nella vita di relazione”.

Alternativamente, si è soliti fare riferimento al c.d. “danno esistenziale” , osservando la vacanza rovinata come integrativa di un benessere psicologico che ognuno ricerca nell’ intraprendere la vacanza stessa e che consiste nel non aver ottenuto l’obiettivo prefissato.

Al fine di fornire ulteriori delucidazioni in merito, la sentenza del Tribunale di Milano del 7 febbraio 2002 ha conferito a tale tipologia di danno un carattere autonomo rispetto agli altri generi di danno non patrimoniale, statuendo che “ Il danno da vacanza rovinata va risarcito come autonoma voce di danno” .

Degna di menzione è, inoltre, la recentissima sentenza della Corte di Cassazione n.7256 dell’11 maggio 2012, depositata l’11 maggio 2012, che ha respinto il ricorso promosso da un tour operator condannato al pagamento a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e morali da vacanza rovinata subiti da due coniugi. A proposito, i giudici di legittimità hanno rimarcato che: “ la legislazione sui pacchetti turistici ha reso rilevante l’interesse del turista al pieno godimento del viaggio organizzato, come occasione di piacere o riposo, prevedendo il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali (disagio psicofisico che si accompagna alla mancata realizzazione in tutto od in parte della vacanza programmata) subìti per effetto dell’inadempimento contrattuale “ .

La Corte di Giustizia, in più, ha affermato che l’art.5 della Direttiva n.90/314/CEE “ deve essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso”.

Ilaria Rubini 

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