Penale

Patrocinio a spese dello Stato: al bando ogni automatismo – Cassazione Penale sentenza 18591/2012

toga-giudiceNecessaria, per la Suprema corte, l’analisi della fattispecie concreta nella valutazione della domanda. In caso contrario, si rischia di violare il principio di non colpevolezza

Nell’ipotesi di domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il giudice deve operare un’attenta indagine sui redditi dichiarati dal richiedente. In particolare, non deve considerare circostanza ostativa alla relativa ammissione una sentenza di condanna non definitiva per reati dai quali possa inferirsi l’esistenza di redditi illeciti, tanto meno deve dare pedissequa applicazione alla disciplina Irpef.
È quanto si evince dalla sentenza della quarta sezione penale della Corte di cassazione n. 18591 del 24 aprile 2013.

I fatti in causa
Il giudice per le indagini preliminari rigettava la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato avanzata da un imputato condannato in primo grado per il delitto di rapina, in quanto considerava condizione ostativa alla concessione del predetto beneficio il profitto illecito conseguito dal reo.
Il Tribunale, dinanzi al quale era stata proposta opposizione, conferma la decisione del giudice per le indagini preliminari.
Il richiedente proponeva allora ricorso per cassazione, censurando, in particolare, il fatto che il giudice penale aveva attribuito rilievo, ai fini del computo del reddito per la domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, al provento derivato dalla rapina, violando in tal modo il principio di non colpevolezza.

La decisione della Cassazione
Con sentenza n. 18591/2013, la Corte di cassazione, nel dichiarare fondato il ricorso proposto dall’imputato, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “nella determinazione del reddito, da valutarsi ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al gratuito patrocinio, non si fa pedissequa applicazione della disciplina dell’Irpef, non essendo in questione un’imposta da pagare bensì un peculiare istituto che attribuisce rilevanza anche a redditi non assoggettabili ad imposta, ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell’istante” (in tal senso, cfr Corte costituzionale 144/1992, e Cassazione 22299/2008).

Tale orientamento trova, peraltro, fondamento sia nell’articolo 76, comma 3, del Dpr 115/2002, il quale, nel disciplinare le condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, prevede che “Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva”, sia nell’articolo 96, comma 2, del medesimo decreto, il quale stabilisce che “Il magistrato respinge l’istanza se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte…”.

La stessa Corte costituzionale ha rilevato che non vi è “una corrispondenza biunivoca tra il reddito rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio e quello dichiarato o accertato ai fini fiscali”; ciò in quanto, ai fini di tale valutazione, possono rilevare anche “redditi che non sono stati assoggettati ad imposta vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione”, con la conseguenza che rilevano anche i redditi derivanti da attività illecite e i redditi per i quali è esclusa l’imposizione fiscale (Corte costituzionale 386/1998).
A tal riguardo, la Corte di cassazione ha ripetutamente opinato nel senso che il giudice di merito, al fine di ricostruire la condizione economica di chi richiede l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, può utilizzare le presunzioni semplici di cui all’articolo 2729 del codice civile, fatta salva la possibilità per l’interessato di fornire la prova dello stato di non abbienza (cfr, ex multis, Cassazione 21974/2010 e Cassazione 22299/2008; per la revoca del beneficio, cfr Cassazione 127/2005).

Tali presunzioni rilevano evidentemente anche nel caso di condanne per reati dalle quali possa inferirsi l’esistenza di redditi illeciti, ma deve trattarsi pur sempre di condanne definitive e le presunzioni devono essere comunque confrontate con le peculiarità del caso concreto. La Corte costituzionale, infatti, ha affermato che la presunzione assoluta del possesso di un reddito superiore a quello minimo previsto dalla legge, la quale non consenta la prova del contrario, oltre a rendere inutili e irrilevanti eventuali indagini condotte dal giudice, è comunque irragionevole in quanto preclude la prova contraria (Corte costituzionale 139/2010).

Con la sentenza in esame, la Corte di cassazione ha quindi concluso nel senso che “l’indagine sui redditi non può… avvalersi di automatismi”, ma “richiede la disamina della fattispecie concreta e non può far leva su sentenze non irrevocabili, tanto più quando, come nel caso in esame la pronunzia riguardi proprio il procedimento cui si riferisce la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato”.
Diversamente opinando, si violerebbe il principio di non colpevolezza, in quanto si giungerebbe all’esclusione della possibilità di godere di tale beneficio da parte delle persone imputate di reati che implichino comunque qualche rilevante profitto.

Michela Grisini – nuovofiscooggi.it

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