Tributaria

Spese di pubblicità e rappresentanza deducibili soltanto se c’è inerenza – Cassazione 17645/2013

hqdefaultÈ viziata nella motivazione la sentenza che non compie una verifica rigorosa sull’effettiva finalità dei costi sostenuti e sulla loro diretta imputabilità all’esercizio.

 

Con l’ordinanza n. 17645 del 18 luglio, la Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, dopo aver chiarito la differenza tra le spese di rappresentanza (sostenute al fine di creare, mantenere o accrescere il prestigio della società e di migliorarne l’immagine, ma che non danno luogo ad aspettativa di incremento del processo di vendita) e quelle di pubblicità (aventi come scopo preminente quello di informare i consumatori circa l’esistenza di beni e servizi prodotti dall’impresa, con l’evidenziazione e l’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfare i bisogni al fine di incrementare le vendite), ha stabilito che incorre in vizio di motivazione la sentenza che non compia una verifica rigorosa circa l’effettiva finalità della spesa e la sua diretta imputabilità.La vicenda processuale
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Ctr che, confermando la decisione di primo grado, aveva annullato un avviso di accertamento ai fini Irpeg, Irap e Iva, relativo all’annualità 2003.In particolare, per quanto di interesse in questa sede, l’Agenzia deduceva vizio di motivazione, in quanto la commissione non aveva considerato che la somma ricevuta per il credito vantato nei confronti di una società fallita, a seguito di sentenza per revocatoria fallimentare, non poteva essere portata in deduzione con riferimento al 2003, posto che quella pronuncia era stata pubblicata il 17 ottobre 2002, ed era passata in giudicato per mancata impugnazione il successivo 17 dicembre, senza che l’apposizione della formula inerente alla definitività da parte della cancelleria in data 2 aprile 2003 potesse avere alcun rilevo ai fini dell’esecutività di essa: tale componente negativo doveva considerarsi quindi di competenza del 2002.

La ricorrente lamentava vizio di motivazione anche in relazione a un altro profilo, poiché il giudice d’appello non aveva esplicitato le ragioni in virtù delle quali riteneva che le spese per i viaggi premio offerti a un gruppo di 34 persone costituissero dei costi deducibili di rappresentanza e pubblicità, nonostante che non ne fosse stata provata l’inerenza, e fossero stati sostenuti non per valorizzare l’immagine della società, ovvero incrementarne la commercializzazione dei prodotti, ma dopo che essi erano stati già ceduti, e quindi con offerta a soggetti ben individuati, e non invece alla generalità dei possibili clienti.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema corte ha accolto in toto il ricorso dell’Agenzia, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
In particolare, in merito al primo motivo, la Corte ha richiamato l’articolo 75 (ora 109) del Tuir che, in tema di imposte sui redditi, nel prevedere una deroga al principio di competenza nell’imputazione dei componenti positivi e negativi, consente la deducibilità dei costi nell’esercizio in cui si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare, cosa che, nella fattispecie concreta, si era verificata già nel precedente periodo d’imposta (2002), con il passaggio in giudicato della sentenza che aveva disposto la revocatoria fallimentare.

Anche l’altro motivo di ricorso è stato accolto, “dal momento che la CTR non indicava il percorso argomentativo, attraverso il quale riteneva che tali costi fossero inerenti e deducibili, atteso che, com’è noto, in materia di imposte sui redditi, rientrano tra le spese di rappresentanza di cui all’art. 74 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre ne restano escluse quelle di pubblicità e propaganda, aventi come scopo preminente quello di informare i consumatori circa l’esistenza di beni e servizi prodotti dall’impresa, con l’evidenziazione e l’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfare i bisogni al fine di incrementare le vendite, dovendo le medesime essere finalizzate a tale scopo e non invece essere successive, sicché i pranzi o viaggi offerti ai clienti non costituiscono spese di rappresentanza qualora sussista una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite. Di conseguenza occorre una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese e della loro diretta imputabilità, che nella specie è mancata”.

Ulteriori osservazioni
Fino al periodo d’imposta 2007 (dal 2008, infatti, per effetto della legge n. 244/2007, è stata modificata la disciplina delle spese di rappresentanza, deducibili ora interamente nel periodo di sostenimento purché rispondenti a determinati requisiti di congruità e inerenza), l’articolo 108 del Tuir (in precedenza, era l’articolo 74) distingueva, ai fini della deducibilità fiscale, le spese di pubblicità (deducibili nell’esercizio di sostenimento o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi) da quelle di rappresentanza (deducibili nella misura complessiva di 1/3 da spalmare in quote costanti per cinque esercizi).

In particolare, le spese di pubblicità sono quelle che, pur non essendo imputabili direttamente ai ricavi, vengono sostenute allo scopo di incrementare le vendite, perché si spera che consentano di acquisire nuova clientela o permettano di ampliare il fatturato nei confronti della clientela esistente. Tali spese hanno una caratterizzazione di tipo “oggettivo” poiché si basano sull’esigenza di informare i consumatori circa l’esistenza di beni e servizi prodotti da una determinata azienda, con l’evidenziazione e l’esaltazione delle relative caratteristiche (Cassazione 17602/2008). Ne consegue che i costi allo scopo sostenuti sono spesso tendenzialmente rivolti a creare una vera e propria aspettativa d’incremento delle vendite, sensibilizzando preventivamente (e non successivamente alla vendita, come nella fattispecie oggetto dell’ordinanza in commento) l’interesse dei consumatori mediante iniziative e campagne di promozione destinate pertanto a svolgere un ruolo decisivo sullo sviluppo degli affari (e dunque sul fatturato) dell’azienda (Cassazione 14350/1999 e 7803/2000).

Le spese di rappresentanza sono, invece, quei costi sostenuti per creare, mantenere o accrescere il prestigio della società e per migliorarne l’immagine, ma che non danno luogo ad aspettativa di incremento del processo di vendita: tali spese hanno quindi una connotazione di tipo “soggettivo”, perché loro obiettivo principale è l’esaltazione dell’immagine della società che le sostiene.

Le controversie tra contribuente e Agenzia delle Entrate si basavano, quindi, sulla corretta interpretazione di tali operazioni, da cui discendevano effetti evidentemente diversi in tema di determinazione del reddito fiscale.

La pronuncia in oggetto rientra in questo filone di controversie e, non potendo entrare nel merito della questione, si limita a censurare l’iter motivazionale della sentenza di secondo grado che, per la soluzione del thema decidendum, avrebbe richiesto una verifica rigorosa dell’effettiva finalità delle spese sostenute per poterne affermare l’eventuale inerenza.

Francesco Brandi, nuovofiscooggi.it

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