Tributaria

Legittimo il ricorso all’induttivo per contabilità difforme da fatture

Se il consumo di cemento indicato nei tabulati evidenzia, con assoluta certezza, vendite a nero, la correttezza formale delle scritture non serve praticamente a nulla – Corte di Cassazione Sentenza n.16861/2014 –

cementoLe discrasie tra i dati fiscalmente rilevanti risultanti dalle fatture e le informazioni desunte da altri documenti contabili tenuti dalla società legittimano l’Amministrazione finanziaria a far ricorso al metodo di accertamento analitico-induttivo, che si sostanzia nella rettifica del reddito imponibile sempre nell’ambito della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi, attivi o passivi, di cui risulti provata l’inesattezza o la mancanza.
Questo il responso dei giudici della Corte di cassazione contenuto nella sentenza 16861 del 24 luglio 2014.

Il fatto
La controversia concerne l’avviso di accertamento emesso ai fini Ires, Irap e Iva nei confronti di una società di capitali, impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale che ha accolto il ricorso per carenza di motivazione dell’atto de qua.
Avverso la decisione di primo grado l’Agenzia delle Entrate interponeva a sua volta ricorso.
I giudici d’appello, riformando la sentenza di prime cure, hanno accolto le ragioni dell’Amministrazione finanziaria sostenendo che la Commissione provinciale non avesse tenuto in debita considerazione le difformità emerse tra le “risultanze analitiche contabili emerse dalle quantità di cemento effettivamente acquistate ed impiegate nell’impianto e … quelle risultanti dalle fatture di vendita”.

Con particolare riguardo alla fondatezza dell’avviso di accertamento, i giudici della Commissione tributaria regionale hanno rilevato come nel corso del controllo fosse emersa un’incongruenza contabile tra i dati riportati nelle fatture di vendita e quelli contenuti nella contabilità della società accertata, in un tabulato denominato “sommatorie di produzione”, con conseguente ricorrenza delle condizioni previste per l’applicazione delle disposizioni di cui “all’art. 39, lett. d) del D.P.R. 600/1973.”
Il ricorso per cassazione proposto dalla società è stato respinto dai giudici della Suprema corte che hanno deciso per la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’ufficio.

La decisione
La società ha lamentato l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza della Ctr nel punto in cui è stato ritenuto legittimo l’accertamento emesso ai sensi “dell’art. 39, lett. d)” del richiamato decreto, “non avendo i giudici specificato se il riferimento fosse al primo comma (accertamento analitico) o al secondo comma (accertamento induttivo)”.

La ricorrente ha lamentato, altresì, come l’ufficio avesse proceduto a un accertamento del reddito con metodo induttivo, “pur in assenza del previo rilevamento e della previa contestazione dell’inattendibilità delle scritture contabili”.
In altre parole la società ha sostenuto che i giudici di appello hanno riconosciuto la legittimità dell’accertamento emesso ai sensi dell’articolo 39 del Dpr 600/1973, pur non specificando nella sentenza se il metodo usato dall’ufficio per la rettifica del reddito fosse di tipo analitico o induttivo.
L’assenza di tale specificazione, che si è sostanziata nel mancato richiamo al primo o al secondo comma del citato articolo 39, ha indotto la società ricorrente a ritenere – diversamente dal giudizio di merito – di aver subito un accertamento di tipo induttivo e che, in quanto tale, l’atto fosse illegittimo perché non preceduto dalla contestazione d’inattendibilità delle scritture contabili.

Nel caso in esame, l’accertamento era stato emesso come conseguenza della rilevazione di una serie di incongruenze relative all’impiego giornaliero di cemento utilizzato per la produzione di diverse tipologie di calcestruzzo.
Secondo le determinazioni dell’ufficio, i dati relativi al consumo giornaliero della materia prima, recati nel tabulato tenuto dalla società, non avevano trovato rispondenza in quelli contenuti nelle fatture emesse e tale difformità aveva determinato la rettifica in aumento del reddito imponibile.
In base a tale analisi è evidente che l’accertamento effettuato dall’Ufficio è di tipo analitico-induttivo, perché fondato sulla contabilità – le fatture di acquisto del cemento e le fatture di vendita del calcestruzzo – e non di tipo induttivo-extracontabile, come asserito dalla società, e ciò quand’anche i giudici d’appello avessero omesso di richiamare espressamente nella motivazione il primo comma dell’articolo 39 del Dpr 600/1973.
Se ne deduce che, trattandosi di rettifiche compiute sempre nell’ambito della contabilità, l’atto impositivo deve ritenersi pienamente legittimo, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare (cfr sentenze 1647/2010, 17408/2010, 21697/2010, 7184/2009 e 5977/2007).

Al contrario, soltanto in presenza di una contabilità inattendibile l’Ufficio avrebbe potuto trascurare, in tutto o in parte, le risultanze contabili e determinare il reddito mediante un accertamento di tipo induttivo o extracontabile, secondo le disposizioni di cui al comma 2 del citato articolo 39.
La Corte ha così enunciato il principio di diritto secondo cui le difformità tra i dati fiscalmente rilevanti risultanti dalle fatture e le informazioni desunte da altri documenti contabili tenuti dalla società legittimano l’Amministrazione finanziaria alla rettifica del reddito imponibile mediante il metodo analitico-induttivo, in quanto “la determinazione del reddito viene effettuata sempre nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi, attivi o passivi, di cui risulta provata l’inesattezza o la mancanza”.
Il metodo analitico-induttivo trova applicazione sia ai fini delle imposte dirette, ai sensi del comma 1 lettera d) dell’articolo 39 del Dpr 600/1973, che ai fini Iva (ex articolo 54, comma 2 e 3 del Dpr 633/1972), laddove la determinazione dell’imponibile “è ancorata alle risultanze delle registrazioni contabili e la rettifica concerne singoli corrispettivi relativi ad operazioni imponibili non dichiarate o non risultanti dalla contabilità.”

La sentenza fornisce altresì indicazioni utili a chiarire ulteriormente le differenze esistenti tra l’accertamento condotto con il metodo analitico-induttivo e quello condotto con metodo induttivo vero e proprio, il cui discrimine è “nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili”.
In particolare, nel primo caso l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza dei dati dichiarati non assurgono a una gravità tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili e perciò l’Ufficio accertatore può soltanto completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della “dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 cod.civ.”.
Nel secondo caso, invece, risultando le omissioni, le false o inesatte indicazioni tali da inficiare l’intera contabilità, seppur apparentemente regolare, l’ufficio è legittimato a “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti e determinare l’imponibile in base a elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 cod.civ.”.
Emiliano Marvulli, nuovofiscooggi.it

Allegato PDF:

Cassazione Civile, Sezione V, Sentenza 16861/2014 del 30/05/2014

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