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ANCHE IL LUNEDÌ È CALCIO (Puntata 4) – di Angelo G. Abbruzzese

456040788_10Siamo giunti al primo turno infrasettimanale della stagione e, dunque, sarebbe stato più opportuno titolare nominando il giovedì anziché il lunedì. Ma non è questa la cosa importante. Si parte con l’anticipo del martedì, con il Milan impegnato al Castellani di Empoli per riscattare la sconfitta casalinga contro la Juventus che ha, in qualche modo, tarpato le ali ai rossoneri. E, a giudicare dal primo tempo contro i toscani, le ali parevano davvero spezzate. Il gioco dell’Empoli è spumeggiante, Verdi inventa tra le linee e, dopo vari tentativi, arriva il gol del vantaggio, con la zuccata di Tonelli (al primo gol in Serie A).

La manovra milanista, al contrario, è lenta, prevedibile, carente di qualità. E, come se non bastasse, Van Ginkel si fa male, costringendo Inzaghi ad inserire Bonaventura e a cambiare modulo. Ma, dieci minuti prima della sostituzione, la squadra di Sarri trova il raddoppio al termine di un riuscitissimo schema su calcio di punizione che consente anche a Pucciarelli di realizzare la sua prima marcatura in Serie A. E c’è da aggiungere che, in entrambi i gol, c’è lo zampino di un Bonera davvero disastroso. Anche Tavano e Vecino sfiorano il gol, ma una menzione particolare la merita il giovane Verdi, scuola Milan, che fa letteralmente impazzire la retroguardia avversaria, andando anche vicino alla prima rete stagionale con un colpo di testa in corsa. Poco Milan, quindi. Ma, in chiusura di tempo, Torres, schierato titolare, realizza un gol capolavoro sull’assist (il terzo in campionato) di Abate. E in avvio di ripresa la rincorsa si consolida, anche se si parte con il grossolano errore da due passi di Ciccio Tavano. Da ora in poi, però, è dominio Milan. Persino Honda si sveglia dal letargo e infilza Sepe con un mancino in controtempo, dal limite dell’area (e ancora su suggerimento di Abate). Sembra il preludio al sorpasso, che non arriva solo a causa della traversa, colpita in pieno da Menez dopo l’ennesima serpentina in area di Torres. L’ex Chelsea va vicino alla doppietta ma calcia fuori di punta, Honda ci riprova su punizione senza fortuna. Nel finale l’Empoli – che comunque in contropiede ha qualcosa da dire – rimane in dieci per il rosso fulmineo (due gialli in sessanta secondi) a Valdifiori, ma l’assalto finale non genera occasioni vere. In questo pari rossonero c’è un po’ di tutto: dubbi, preoccupazione, errori, coraggio, persino qualche rimpianto. Ma, soprattutto, davvero un bel caratterino.

La Juventus continua imperterrita la sua corsa, sbarazzandosi anche del Cesena e andando a vincere la quarta partita su quattro, stabilendo un nuovo record: nessuno, infatti, era mai riuscito a trionfare nelle prime quattro giornate senza subire nemmeno un gol. Allegri aveva promesso di non stravolgere la squadra, ma attua, comunque, un modesto turnover, lasciando in panca Tevez e Pogba (al loro posto Giovinco e Pereyra), rinunciando ancora una volta agli infortunati Barzagli e Pirlo e potendo nuovamente contare, dal 1’, su Arturo Vidal. Ed è il cileno, insieme a Giovinco, il grande protagonista del match. L’ex Leverkusen sblocca la gara al 18’ su calcio di rigore (calciato, peraltro, maluccio) e raddoppia quarantacinque minuti più tardi, con un gran destro sul quale Leali nulla può. E pensare che non si trattava nemmeno del miglior Vidal. Giovinco, invece, crea continuamente scompiglio nella difesa romagnola, che è costretta a fermarlo solo con i falli. Dribbla, inventa, calcia: la Formica Atomica si prende la Juve sulle spalle, recupera un rapporto “civile” con i suoi tifosi e ha anche il tempo di disperarsi per un pallone che non ne vuole proprio sapere di entrare. Grandi parate di Leali, mira imprecisa, legno nel finale: la fortuna, insomma, pare proprio essere un’acerrima avversaria del prodotto del vivaio bianconero. Nel centrocampo della Juventus, poi, c’è un’altra variabile estremamente interessante, grande sorpresa di questo avvio di campionato e diventato praticamente insostituibile. Stiamo parlando di Roberto Pereyra, che, contro il Cesena, sfoggia un’altra prestazione di livello e si conferma in forma smagliante. La difesa, infine, è un vero e proprio bunker, con un Ogbonna pienamente a suo agio sul centro-destra e un Buffon mai impegnato, se non con un velleitario tiro da fuori di Marilungo. Il risultato finale, per la cronaca, è di 3 a 0, perché nel finale Lichtsteiner, servito da Padoin, conferma l’ottimo feeling con il gol che da sempre lo contraddistingue. L’unico neo di questo avvio di stagione juventino è, forse, lo 0 nella casella “reti segnate” per ciò che concerne Llorente. Lo spagnolo ci prova, gioca di sponda (anche elegante, come il tacco per Lichtsteiner), si sbatte, lavora molto per la squadra ma, sotto porta, pecca di una insolita allergia al gol. Poco male, il “Navarro” di Pamplona saprà come sbloccarsi. Per ora Allegri può soltanto godersi una squadra che continua a vincere e a macinare punti e che si prepara al meglio per un altro tour de force: le gare contro Atalanta, Atletico e Roma hanno già un sapore particolare.
La Roma, appunto. A proposito di squadre che giocano bene e che sanno soffrire. La trasferta per gli uomini di Garcia non è facile, perché a Parma, da sempre, soffrono più o meno tutte le squadre. E infatti così è, perché il Parma, come si suol dire, vende davvero cara la pelle. Una nota di merito va fatta sicuramente all’eterno capitano giallorosso, quel Totti che vede cose che noi umani possiamo soltanto immaginare, come la gemma che mette in porta Ljajic per lo 0 a 1. Il Parma è sempre stata la sua vittima preferita e ha nuovamente rischiato di azzannarla, ma il suo sinistro sul risultato di 1-1 è terminato alto sopra la traversa. Già, perché De Ceglie è stato il primo calciatore a bucare la porta di De Sanctis in questo campionato (colpo di testa su angolo battuto da Lodi). La prova della Roma è stata comunque di grande spessore, nonostante le pesanti assenze di Iturbe e De Rossi, contando sulla crescita costante di Manolas e Yanga-Mbiwa, sul buon esordio sulla sinistra di Holebas, sulle geometrie di Keita e sulla genialità di capitan Totti. E una prestazione convincente non poteva certo chiudersi con un “banale” punticino. Così, a questo punto, ci ha pensato Miralem Pjanic a tirar fuori quel famoso coniglio dal cilindro, andando a piazzare sotto l’incrocio un calcio di punizione davvero perfetto. Tant’è che Totti, dopo la partita, ha ammesso di avere un debole per il bosniaco. E non è l’unico.
L’Inter, dopo il pareggio di Palermo, torna a vincere e lo fa tra le mura amiche, dove cade la bestia nera di questi ultimi anni, vale a dire l’Atalanta. Colantuono rinuncia a Denis e Boakye preferendo loro Bianchi e Moralez e queste scelte frenano, e non poco, i bergamaschi. Mazzarri recupera Palacio (al posto di Osvaldo) e manda ancora in panchina Hernanes, confermando Guarin in mediana. Kovacic continua a giocar bene, creando sistematicamente superiorità numerica in avanti, mentre il recuperato Fredy Guarin, in gran forma, è il solito elemento anarchico che ogni tanto fa impazzire il pubblico mentre tante altre volte fa imprecare il tecnico. I nerazzurri di Milano viaggiano a un ritmo doppio rispetto a quelli di Bergamo, ma è da palla inattiva che arrivano i pericoli maggiori. Il primo porta la firma di Vidic, che sugli sviluppi di un corner colpisce il palo di testa; poi, alla mezz’ora, Benalouane trattiene in area Ranocchia e provoca un calcio di rigore, che, però, Palacio si fa respingere da Sportiello. E questa non è l’unica nota negativa del primo tempo interista, perché intorno al 25’ Icardi si vede costretto ad abbandonare il campo, perché colpito da una ginocchiata di Benalouane. Ma è tutto apparente perché, paradossalmente, è proprio questo il momento che cambia la partita. Osvaldo sostituisce l’ex Sampdoria e, dopo circa un quarto d’ora, sblocca il risultato con una strepitosa mezza rovesciata che Sportiello tocca soltanto.
L’Atalanta, sin qui mai in partita, rischia grosso in avvio di ripresa col palo di Palacio e trova un po’ d’energia soltanto dopo gli ingressi in campo di Boakye e Gomez. Ed è proprio dell’ex Catania l’unico tiro in porta dei bergamaschi in tutti i 90 minuti (destro respinto da Handanovic). Come detto in precedenza, Hernanes parte dalla panchina e Mazzarri decide di concedergli solamente gli ultimi 25 minuti. Stavolta, però, il brasiliano dà immediatamente segnali di vita, cercando subito la porta, desideroso di ristabilire la gerarchia con Guarin. E dopo qualche guizzo spentosi sempre sul fondo, il Profeta azzecca la punizione a tre minuti dal termine: un destro dal limite dell’area che si incastra all’incrocio dei pali. Mentre Juve e Roma scappano via a punteggio pieno, c’è un’Inter che – ancora imbattuta e con 10 gol fatti e 1 subito – irrompe decisa in zona Champions.
Higuain in panchina. Stanchezza, questa la versione ufficiale. Quella a cui ovviamente bisogna credere, lasciando da parte inutili dietrologie: nessun caso, nessuna conseguenza dopo il rovente finale di Udine. Il Pipita riposa e Benitez dà, dunque, fiducia a Zapata. Il resto, sulla trequarti napoletana almeno, è invece controrivoluzione rispetto al Friuli: Hamsik dietro il colombiano, Callejon e Mertens (Insigne riposa) ai lati dello slovacco. Scelte logiche, scelte che sembrano pagare, nell’immediato almeno, fintanto che il Palermo – assai coraggioso nel suo schieramento con Vazquez alle spalle di Belotti e Dybala – si ricorda di iniziare a giocare e il Napoli viene invece risucchiato nelle tante paure e nelle troppe amnesie di questo inizio di campionato. Un blocco psicologico, verrebbe da dire. Difficile spiegare altrimenti l’atteggiamento di una squadra che in undici minuti segna due gol e costruisce altre tre grandi occasioni e poi alla minima reazione degli avversari si scompone e scoraggia a tal punto da paralizzarsi e venire rimontata. Ma tant’è, questo è il Napoli di oggi e questa la cronaca che arriva dal San Paolo. Una cronaca che doverosamente racconta di uno Zapata versione fenomeno che prima costringe Sorrentino all’angolo da cui nasce il vantaggio di Koulibaly – grande stacco del francese con la difesa siciliana colpevolmente immobile – e poi realizza il 2-0 approfittando di un break nato da un errore di Barreto e finalizzando l’assist di Hamsik. Prima e dopo il raddoppio ci stanno anche un sinistro insidioso dello stesso slovacco e una percussione di Zapata che Sorrentino deve respingere ancora in angolo. Sin qui, dunque, partita a senso unico. Non chiusa, però, perché il primo gol di Belotti all’esordio da titolare in Serie A risveglia il Palermo che graziato da Doveri (netto il fallo di Bamba su Zapata al 20’, forse iniziato fuori area ma sicuramente da sanzionare col cartellino rosso) ritorna pienamente in partita quattro minuti più tardi. Ghoulam sbaglia il disimpegno, Morganella affonda e pesca Vazquez a centro area: 2-2 e terzo gol in campionato per “El Mudo”. Esultano i siciliani e fischia il San Paolo. Tutto da rifare e tutto tremendamente complicato. Perché l’inerzia del match cambia, perché il Palermo prende campo, crea gioco e sfiora addirittura il vantaggio. Ma la logica, nel calcio, spesso è fatta per essere sovvertita: e così, a dieci secondi dal riposo, Gargano si inventa assist-man e Callejon ritrova la perduta puntualità realizzativa e permette al Napoli di rientrare negli spogliatoi con un 3-2 che smorza la montante contestazione del tifo azzurro. Smorzata, è vero, ma sempre pronta a riesplodere la rabbia del San Paolo. Perché, come sempre, le amnesie difensive della squadra di Benitez sono prontissime a riemergere. Dopo quindici minuti di una ripresa sin lì tranquilla, il Napoli prima sfiora il poker con Zapata, ma poi si perde nuovamente nella sua incompiutezza. Al 61’ è, infatti, il palo a salvare Rafael e negare la doppietta a Belotti, ma sessanta secondi più tardi non c’è nulla da fare per l’estremo difensore brasiliano: Dybala scappa sulla sinistra, lo stesso Belotti sfugge ai due centrali azzurri e stavolta può meritatamente esultare. Reazione Napoli? No. Decisamente no, nonostante l’ingresso di Higuain e nonostante tanto cuore. Il Palermo controlla, prova persino a pungere e nel finale (senza Iachini, espulso), quando serve, sa anche spazzare. Il pari è perfetto per i siciliani, non per il Napoli, ancor meno per i suoi tifosi: fischi e cori contro tutti. Squadra, allenatore, presidente: dopo quattro partite e quattro punti, la crisi è sempre più profonda.
Anche la Fiorentina di Montella non sta attraversando un momento particolarmente positivo. Dopo l’infortunio di Rossi in avvio di stagione, la maledizione-attaccanti colpisce ancora una volta anche Mario Gomez. E così, contro il Sassuolo, in avanti ci vanno Joaquin e Babacar, al fianco di Cuadrado. Senza attaccanti di ruolo, per la Fiorentina diventa importante anche il contributo dei centrocampisti. Aquilani lo sa e dopo solo due minuti fa tremare Consigli con un gran botta da fuori: palla di poco a lato. Lo schema della partita è chiaro: i viola attaccano e il Sassuolo aspetta. Dopo un tiro insidioso di Kurtic, la squadra di Montella va un passo dal vantaggio con Cuadrado, il più ispirato dei suoi. Il colombiano si libera sulla sinistra e colpisce il palo. Il monologo dei padroni di casa continua, gli emiliani sono troppo passivi. La Fiorentina prova ad approfittarne, ma manca la zampata finale. Babacar è ben contenuto da Antei e Cannavaro, mentre Joaquin si dà un gran da fare ma manca di lucidità quando si tratta di concludere. Il Sassuolo si limita a difendere e gioca con undici uomini dietro la linea del pallone. Nella ripresa la musica non cambia, si gioca sempre ad una porta. Borja Valero prende in mano la squadra: prima sfiora la rete di testa e poi stampa il pallone sul palo dopo un ottimo scambio con Babacar. Ed è il secondo legno per la Fiorentina. La squadra di casa spinge, sostenuta dai suoi tifosi, ma, nonostante il grande sforzo, non riesce a farsi pericolosa dalle parti di Consigli. La tattica di Di Francesco non cambia, anzi diventa ancora più difensiva: fuori una punta, Floro Flores, e dentro un esterno di difesa, Gazzola. Montella le prova tutte per svoltare la partita: prima inserisce Bernardeschi per Joaquin, poi cambia Cuadrado con Ilicic e il colombiano non la prende bene. Né il talento ex Crotone né il fantasista sloveno riescono, però, a regalare i 3 punti alla formazione toscana. Il Sassuolo porta a casa un buon punto, ma nelle prossime gare sarà importante anche l’apporto degli attaccanti per tenersi lontano dalle zone basse della classifica. Per la Fiorentina, appuntamento rimandato con la vittoria davanti al proprio pubblico. E pare stia diventando proprio un “mal di Franchi”.
Verona-Genoa termina con un 2-2 che accontenta tutti. Forse un po’ meno Matri, autore della doppietta del momentaneo 0 a 2 in favore del Grifone.
Mandorlini lancia dal primo minuto Saviola nel tandem con Toni. Difesa a tre con Marques, al fianco di Marquez, dal primo minuto. Agostini preferito a Brivio nel ruolo di esterno sinistro. Benussi, deputato a giocare per l’infortunato Rafael, accusa un problema in riscaldamento: al suo posto gioca Gollini. Nel Genoa non c’è Burdisso: Gasperini fa ampio turnover schierando Antonini, Rosi e Sturaro a centrocampo e il trio d’attacco composto da Lestienne, Iago e Matri. Gli ospiti hanno un buon avvio di match: al 3’ Matri si divora il vantaggio calciando debolmente nel cuore dell’area di rigore. La risposta degli scaligeri non si fa attendere: Martic, su azione da calcio d’angolo, manda alto. Il match vive una fase spezzettata fino al 24’, quando Lestienne s’inserisce sulla sinistra e scalda i guantoni di Gollini. Due minuti più tardi Saviola sul cross di Agostini si fa ipnotizzare da Perin. La partita è vivace: al 29’ Roncaglia ci prova dalla distanza ma sbatte sul muro del Verona. Cinque minuti più tardi Toni regala il pallone del vantaggio a Ionita, ma Perin ancora una volta risponde egregiamente. Sul capovolgimento di fronte arriva il vantaggio del Genoa: cross dalla sinistra di Marchese per il colpo di testa vincente di Matri. Nel finale di frazione ancora protagonista Perin che salva il vantaggio di 1-0 al 37’ su Saviola e Ionita. Al 45’, nello scontro testa contro testa con Antonini, Martic è costretto a uscire dal campo in barella per poi venire trasferito in ospedale. Ad inizio ripresa, al suo posto, entra Juanito Gomez: Mandorlini cerca di dare la scossa ai suoi ma al 48’ subisce il doppio svantaggio con un errore evidente di Marquez sul pressing di Matri. L’attaccante ruba palla al messicano, s’invola verso la porta avversaria e beffa Gollini sul primo palo. Lo 0-2 dura pochi minuti, perché al 52’ Ionita sfonda sulla sinistra e scarica per il mancino vincente di Tachtsidis, sul quale c’è un’impercettibile deviazione di Saviola. La Lega opta per l’assegnazione del gol al greco, con buona pace dei possessori del “Conejo” al Fantacalcio. I veneti spingono e al 59’ solo una scivolata miracolosa di Roncaglia su Toni salva il risultato. Il pari è ritardato di soli sei minuti: cross di Toni dalla destra per Ionita che di testa fa 2-2, per quello che è il suo secondo gol consecutivo in stagione. La formazione di Mandorlini ora crede nella vittoria, ma concede troppi spazi per le ripartenze: in sequenza Kucka, Bertolacci e Matri sfiorano il 2-3. La gara, però, finisce in pareggio.
Le ultime due partite del mercoledì di cui ci accingiamo a parlare terminano entrambe per due reti a una e riguardano le importanti vittorie di Sampdoria, contro il Chievo, e Torino, a Cagliari. A Genova accade poco nei primi venti minuti, con i blucerchiati che faticano a trovare spazi contro un Chievo molto compatto. Il primo tiro pericoloso è il diagonale di Soriano che termina alto di poco. La pressione degli uomini di Mihajlovic, a poco a poco, cresce e, dopo un tiro di Bergessio parato da Bardi, è Krsticic a schiacciare di testa, trovando, però, la pronta risposta del portiere clivense. Gli ospiti si fanno vedere solo al 40’ quando Hetemaj mette a lato da distanza ravvicinata un pallone servitogli da Paloschi. Al 45’ ecco il vantaggio doriano: dagli sviluppi di un corner, Romagnoli serve Gastaldello che, stoppato il pallone di petto, lo mette alle spalle di Bardi con un preciso sinistro. La ripresa è molto spigolosa, piena di scorrettezze e interruzioni. I blucerchiati sembrano accontentarsi del minimo vantaggio e lasciano campo al Chievo che, con gli ingressi di Botta e Birsa, si fa sempre più insidioso. Al 62’ l’argentino in prestito dall’Inter difende caparbiamente il pallone in area e calcia in porta da posizione ravvicinata: Viviano si salva di piede. Al minuto 74 il portiere doriano protegge ancora la propria porta deviando in angolo un gran tiro di Birsa. La Samp si rivede in avanti all’80’, trovando il raddoppio ancora da corner: Okaka, sul primo palo, prolunga di tacco il pallone dalla parte opposta, dove sbuca Romagnoli, lesto a realizzare di testa il 2-0. La gara sembra chiusa, ma la riapre Paloschi al 90’ con un bellissimo pallonetto dal limite che sorprende Viviano. Inutili, però, gli assalti finali dei gialloblù: i padroni di casa tengono duro e difendono il vantaggio fino alla fine.
Al “Sant’Elia” è buona la partenza dei sardi, che sbloccano il risultato dopo dieci minuti di gioco: Padelli sbaglia un rinvio regalando un assist perfetto per Cossu, che ha tutto il tempo di penetrare in area e insaccare. Il vantaggio rossoblù dura, però, appena dieci minuti, perché al 21’arriva il pareggio del Toro firmato Glik. Il capitano granata, alla sua centesima presenza con la maglia granata, fulmina Cragno con un bel colpo di testa sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Gli ospiti crescono col passare dei minuti e al 23’ creano un’altra azione da gol con Quagliarella che manca di poco lo specchio della porta. Ma è solo il preludio alla rete, che lo stesso numero 27 sigla al 29’. Gazzi su calcio piazzato cerca El Kaddouri, che di tacco serve un assist meraviglioso a Quaglia: l’attaccante aggancia e a due passi dalla porta non sbaglia. Il Cagliari soffre e rischia addirittura di capitolare quando Giuseppe Vives, al 43’, sfiora la terza rete. Nella ripresa i sardi provano a cambiare passo puntando soprattutto sul tandem Cossu-Ibarbo, sempre pericoloso dalle parti di Padelli. Al 54’ tocco filtrante del colombiano per il 7 rossoblù, che manca di poco l’aggancio vincente. Al 57’ sempre Cossu tenta il tiro dal limite, ma la difesa granata ribatte. Il Cagliari si spinge in avanti lasciando gioco forza scoperta la propria area e al 58’ rischia di soccombere quando El Kaddouri dalla distanza lascia partire un gran tiro che si infrange sulla traversa. I rossoblù insistono e al 73’ hanno un’altra palla gol con Ekdal, che, però, non inquadra lo specchio. A nulla valgono gli sforzi dei padroni di casa nel finale, visto che i granata amministrano bene il vantaggio ottenendo così, i primi gol e il primo successo stagionali. Altra brutta batosta, invece, per la squadra di Zeman, che subisce la terza sconfitta consecutiva e rimane ultimo in classifica con un solo punto in quattro giornate.
Il programma del 4° turno si chiude con il posticipo del giovedì tra Lazio e Udinese. Pioli deve fare i conti con le assenze di Biglia, Gentiletti e Basta (recuperato solo per la panchina) e preferisce ancora una volta Felipe Anderson a Keita, riproponendo Klose dal 1’; Strama, invece, ancora galvanizzato per la bella vittoria sul Napoli, tiene a riposo Di Natale schierando Muriel e Thereau insieme a Kone. Ed è proprio l’attaccante francese ex Chievo l’uomo decisivo della gara, segnando al 26’ su assist di Widmer. Questa è una vittoria di prestigio per l’Udinese, perché le consente di issarsi al terzo posto alle spalle delle super potenze, Juventus e Roma. Eppure la Lazio ha avuto la partita in mano per parecchio tempo, sfiorando il gol in parecchie occasioni ma creando rare situazioni di estrema pericolosità. Candreva si è reso pericoloso soprattutto con tiri da fuori, mentre sono stati gli ingressi di Djordjevic e Keita a cambiare la marcia nell’attacco biancoceleste. Anderson ha fatto poco e Klose ha pagato una serata no. Pioli, forse, avrebbe dovuto puntare dall’inizio sulla classe dello spagnolo, perché in poco più di un quarto d’ora era difficile fare miracoli. Per l’Udinese, invece, tante le note positive, a cominciare dalla strepitosa prestazione in mezzo al campo di Allan e dalla sicurezza mostrata dal sempre più positivo Karnezis. Strama, dopo aver fatto piangere il Napoli, mette in ginocchio anche la Lazio e vola in classifica, cominciando, forse, anche a sognare un po’.
Juve e Roma, dunque, primissime con 12 punti conquistati su 12 disponibili, seguite dall’Udinese a 9 e da Inter, Sampdoria e Verona a 8, mentre, per ciò che riguarda la classifica marcatori, guidano ben sei calciatori: gli interisti Osvaldo e Icardi, Vazquez del Palermo, Cassano del Parma e, infine, Honda e Menez del Milan.

I TOP

Andrea Belotti (PALERMO): Il futuro italiano è suo. Un gol di testa, un palo dalla distanza, il raddoppio da vero rapace d’area. Mostra tutto il repertorio che dovrebbe avere un attaccante completo. Non bisogna lasciarselo sfuggire. QUANDO IL GALLO CANTA…

Miralem Pjanic (ROMA): Della punizione abbiamo già parlato poc’anzi. E il suo racconto è eloquente: “Me la sentivo…”. In mezzo al campo è sempre fondamentale e sotto la guida di Garcia cresce di partita in partita. Moderno e impeccabile. AFRODISIACO.

Sebastian Giovinco (JUVENTUS): Stavolta è lui l’uomo in più della Juventus. È chiamato a sostituire un colosso come Tevez e svolge il suo ruolo egregiamente, sfiorando più volte una rete che non arriva soltanto per sfortuna. Non me ne voglia Vidal, ma, dopo una partita così, la Formica Atomica merita un piccolo premio. IMPRENDIBILE.

I FLOP

Daniele Bonera (MILAN): Passano gli anni, passano gli allenatori ma lui resta sempre. E, purtroppo per il Milan, continua a collezionare clamorosi errori difensivi. Anche contro l’Empoli, stecca alla grande. PIAGA.

Gregoire Defrel (CESENA): Viene schierato da Bisoli a supporto di Marilungo per via dell’assenza di Brienza, ma non ripete le buone cose mostrate contro l’Empoli. Anzi, il pallone non lo tocca praticamente mai. CHI L’HA VISTO?

Joao Pedro (CAGLIARI): L’ex Estoril continua a faticare moltissimo e disputa un’altra gara praticamente pessima, venendo anche fischiato dal pubblico. Se il Cagliari vorrà riprendersi, ci sarà bisogno di maggiore imprevedibilità davanti. E tra Sau, Ibarbo e lo stesso Joao Pedro, per ora, non si intravedono troppe cose positive, anzi. SPAESATO.

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