Diritto e Procedura Civile

Questioni Relative Alla Legittimazione Passiva Nell’ambito Dei Procedimenti Di Opposizione Alla Stima In Sede Di Espropriazione Per Pubblico Interesse O Utilità

imageE’ indirizzo consolidato in giurisprudenza che in tema di determinazione delle indennita’ di esproprio, nell’ambito dei procedimenti di opposizione alla stima in sede di procedure espropriative, il soggetto legittimato passivo in sede di reclamo sul quantum e sull’an di indennità sia il soggetto beneficiario provvisorio e definitivo del decreto di occupazione e dell’esproprio.
In ordine a tale procedura si pone la necessità di verificare chi sia il soggetto legittimato attivo e passivo, ed il riferimento normativo a tali giudizi di opposizione alla stima è l’articolo 54 del DPR 327/2001.


Tale differenziazione rileva anche ai fini processuali.

Difatti, si ritiene secondo consolidato orientamento giurisprudenziale che è necessario distinguere tra la legitimatio ad causam attiva e passiva e l’eccezione relativa all’effettiva titolarità del rapporto dedotto in giudizio: mentre il difetto della prima è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto si qualifica come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio concerne il merito e pertanto non è rilevabile d’ufficio ma resta affidata alla disponibilità delle parti e deve essere formulata tempestivamente nel termine decadenziale.
La Corte aggiunge pertanto che chi aziona tale diritto potestativo in ordine alla titolarità sostanziale del rapporto giuridico propone una questione sul merito della controversia (ex multis Cassazione Civ, Sez. II n. 14177/2011; Cass. Sez. Civ. n.11284/2010;Cass. Sez.Unite n. 27346/2009;n.12832/2009;Cass.Civ. n.8699/2009).
Tale differenza risponde al principio espresso all’articolo 24 Costituzione secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri interessi legittimi, pertanto si impone coerentemente la regola secondo cui possono farsi valere i diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità passiva si afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda.
Con particolare riferimento al soggetto attivo e al soggetto passivo legittimato ad instaurare il procedimento in parola si ritiene che il soggetto legittimato passivo sia esclusivamente il soggetto beneficiario del decreto di esproprio, e che pertanto l’atto di opposizione alla stima vada a quest’ultimo notificato salve ipotesi derogatorie. Una di esse è quella di cui al comma 4 del citato articolo 54 in cui si afferma che l’atto di opposizione vada notificato al concessionario dell’opera pubblica, se a quest’ultimo sia stato affidato il pagamento delle indennità (siano esse provvisorie o definitive).
Inoltre si ritiene che qualora attraverso atti amministrativi o in virtù di legge, dal decreto di espropriazione emerga che sia delegato un ente o enti ulteriori al compimento in nome proprio delle procedure di acquisizione delle aree e al compimento delle necessarie procedure espropriative, i delegati stessi saranno legittimati passivi in tale procedura ( in tale senso Cass. civ., sez. I, 02 dicembre 2011, n. 25862. In tema di espropriazione per pubblico interesse o utilità, parte del rapporto espropriativo ed obbligato al pagamento dell’indennità nei confronti del proprietario espropriato e come tale legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima promosso è il soggetto espropriante, a favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione, anche nell’ipotesi di concorso di più enti nella realizzazione dell’opera pubblica, dovendo egualmente aversi riguardo, a detti fini, esclusivamente al soggetto che, nel provvedimento ablatorio, risulta beneficiario dell’espropriazione, salvo che dal decreto stesso non emerga che ad altro ente, in virtù di legge o di atti amministrativi, siano stati conferiti il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti e di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative).

La Giurisprudenza in merito ha distinto le varie tipologie di deleghe, nel senso che la rilevanza “esterna” del rapporto si appalesa nel caso della c.d. concessione traslativa, laddove legittimato passivo deve ritenersi il concessionario che agisce quale organo indiretto dell’Amministrazione concedente (Cass. sez. I 21.05.2003, n. 7950; ss.uu. 12.10.2000, n. 1094; 09.05.2000, n. 299; 06.07.2000, n. 466; 16.06.2000, n. 8246; 15.10.1998, n. 10192; 13.05.1998, n. 4821). Diversa la fattispecie della delega, per la quale occorre distinguere caso per caso se si tratta di delegazione intersoggettiva vera e propria (con trasferimento della titolarità della funzione amministrativa) o semplice delegazione amministrativa (con trasferimento della legittimazione all’adozione di atti). Talvolta si distingue, poi, ai predetti fini, gli istituti di cui sopra dalla figura dell’affidamento in senso proprio, ricorrente nei casi in cui l’Ente titolare incarica gli organi tecnici di un altro Ente di curare una parte del procedimento ablatorio, eventualmente adottando atti preparatori o conseguenti: trattandosi di rapporto a rilevanza interna,e si conclude per la sua irrilevanza ai fini della individuazione della legittimazione passiva, che rimane in capo all’affidante (in questo senso Cardillo, La legitimazione passiva nelle vertenze sull’indennità di espropriazione per pubblica utilità. Questioni e problemi sollevati dalla recente evoluzione giurisprudenziale, Giur. merito, 1995, 4 808 ss.). Infine, in più occasioni la giurisprudenza ha escluso la rilevanza “esterna” dell’attività di finanziamento, in quanto tale inidonea ad influire sulla identificazione del soggetto espropriante (Cass. sez. I 06.03.1993, n. 2741; 13.01.1988, n. 176).
Tale circostanza è in linea con il convincimento espresso da un’isolata pronuncia secondo cui legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima è soltanto chi si è presentato ( o chi è apparso) nei confronti dell’espropriato come il soggetto tenuto al pagamento dell’indennità; e ciò in ragione della tutela dell’affidamento e della buona fede dell’espropriato che, in quanto espressivi di un principio generale dell’ordinamento, che dovrebbe indurre a privilegiare ragioni di giustizia sostanziale rispetto a quelle di legalità formale.
Pertanto ai fini del corretto inquadramento delle parti in giudizio sarà possibile far riferimento al contenuto del decreto di esproprio in cui è fatto riferimento al beneficiario di tale procedura espropriativa in uno con la verifica ed il controllo degli ulteriori atti con cui l’originario beneficiario ha delegato enti differenti dal beneficiario per il completamento dell’opera in nome proprio.

Alla luce di tali considerazioni, qualora un soggetto chiamato ad intervenire in giudizio ritenga sulla base delle risultanze emergenti dagli atti di non essere legittimato passivo potrà azionare la richiesta di estromissione dal giudizio e il giudice ove decida per l’accoglimento di tale domanda ne dichiarerà l’inammissibilità della stessa disponendo la continuazione del giudizio soltanto tra le parti sostanzialmente legittimate dal lato attivo e passivo e condannando alle spese le parti soccombenti.
Questioni relative alla competenza funzionale nel caso in cui beneficiario sostanziale di un decreto di esproprio sia una società dichiarata fallita
Per quanto concerne invece la competenza funzionale del tribunale fallimentare in luogo della Corte d’Appello cui è devoluta la competenza funzionale in tale tipo di causa si può rilevare quanto segue:
Il tema della competenza giurisdizionale per la riassunzione è inscindibilmente connesso all’annosa questione giuridica della vis attractiva concursus di cui all’art. 24 l.f., che attribuisce al Tribunale che ha dichiarato il fallimento la competenza a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.

Dunque, il Tribunale fallimentare attrae a sé tutte le cause relative alla procedura e quelle che possono influenzare la soddisfazione paritetica dei creditori anche in deroga ai normali criteri della competenza per valore e per territorio, allo scopo di riunire davanti ad un solo giudice tutte le cause dipendenti dal fallimento.

Ne risulta che la competenza deve ritenersi radicata in capo al Tribunale ordinario in quei casi in cui l’azione non deriva né è collegata al fallimento o che non siano in alcun modo influenzati dalla procedura, con la sola peculiarità della sostituzione, nel processo, del curatore al fallito.

In particolare, la Cassazione, nella sent. N. 11189/95 aveva già chiarito che la ratio dell’art. 24 l.f. è quella di attribuire al Tribunale fallimentare la cognizione delle azioni che derivano dalla dichiarazione di fallimento solo in considerazione del fatto che queste azioni sono originate dallo stato di dissesto o comunque influenzate dal fallimento  e debbono svolgersi nella procedura fallimentare per assicurare l’unità dell’esecuzione e la par condicio creditorum.

Inoltre, è opinione giurisprudenziale consolidata che la riassunzione di un giudizio dichiarato interrotto debba essere effettuata dinanzi al giudice che ha dichiarato l’interruzione (cfr. ex plurimis, Cass., n. 11319/1990).

La vis attractiva di cui all’art. 24 l.f., trova però un limite invalicabile nel principio della perpetuatio iurisdictionis, in base al quale le circostanze determinanti la competenza devono essere valutate con riguardo al momento della proposizione della domanda a nulla rilevando eventi successivi, per cui il giudizio promosso dinanzi ad un giudice diverso da quello fallimentare nei confronti di un’impresa poi fallita prosegue dinanzi allo stesso, dovendo però essere riassunto, a seguito dell’interruzione, nei confronti del curatore.
Cio’ posto, ove ricorrano i presupposti, la società fallita per il tramite del suo curatore, potrebbe eccepire il difetto di legittimazione passiva chiedendo l’estromissione dal giudizio, venendo meno anche i presupposti per ritenere sussistente la competenza funzionale del tribunale fallimentare in luogo del tribunale ordinario.

A cura della dottoressa Maria Giliberti
Dottore di ricerca presso Università “Federico II” Napoli
Abilitata all’esercizio della Professione Forense
Docente a contratto presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali Università “Federico II” Napoli

Se hai necessità di ottenere una consulenza su questo argomento puoi utilizzare il pulsante qui sotto per metterti in contatto con uno specialista della materia.

richiedi-consulenza

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *