Giustizia

Onida “La politica deve uscire dal Csm Vale per le correnti e anche per i laici”

La Repubblica intervista al presidente emerito della Consulta


ROMA – Il traffico delle nomine del caso Palamara? Sono «fatti gravi».  Non ha dubbi l’ex presidente della Consulta Valerio Onida, sottolinea il quotidiano La Repubblica,  che sulle correnti della magistratura dice «agiscano come aggregazioni culturali, e non come gruppi di potere».

Per Onida i consiglieri laici del Csm dovrebbero comportarsi come i giudici della Consulta, «rispondere solo alla Costituzione e alla loro coscienza, non agli schieramenti politici che li hanno indicati».

Dal caso Palamara deriva un’indiscutibile delegittimazione di tutte le toghe. Il malcostume investe il Csm e ne inficia la trasparenza. Lei che idea si è fatta? «Sembrano emergere fatti gravi: una modalità di scelta dei titolari di incarichi direttivi guidata da trattative fra correnti e da interlocuzioni con esponenti politici, più che da un esame spassionato dei meriti e delle attitudini. Come se le qualità fondamentali di un magistrato che aspira a una carica consistessero più nella sua appartenenza a una corrente o nella abilità nel trattare dei suoi sponsor che non nella capacità dimostrata di saper guidare un ufficio».

Mattarella esclude di poter sciogliere il Csm. E lei? «Nell’accenno del presidente allo scioglimento “ove venga meno il numero legale dei componenti”, potrebbe perfino essere letto, volendo, un invito all’attuale Csm a considerare l’ipotesi di dimissioni anticipate, motivate dall’opportunità di “ricominciare da capo” dopo la revisione parlamentare delle norme sull’elezione». Come impedire il mercato delle nomine dei capi degli uffici? «Queste decisioni non dovrebbero esser affatto politiche nel senso usuale, e dunque ogni interferenza o tentativo di influenza da parte di esponenti politici o guidato da criteri politici su singole scelte è del tutto improprio e gravemente scorretto».

Possibili rimedi? «C’è un organo politico, vale a dire il ministro della Giustizia, che per legge è chiamato a esprimere il suo “concerto” sulle proposte di nomina dei capi degli uffici. Naturalmente non dovrebbe introdurre proprie preferenze di parte, ma potrebbe far valere le proprie valutazioni sulle capacità e attitudini organizzative e direttive dei candidati».

Non ricordo un simile intervento di un Guardasigilli…
«La cosa singolare è che i ministri della Giustizia per lo più non sembrano essere stati molto capaci né interessati a esercitare bene questa funzione di “concerto” che pure si attiva sempre. Il Csm segue le proprie logiche interne, e il ministro non si oppone».

Come giudica la presenza dei politici al tavolo delle trattative? «I politici dovrebbero rimanere rigorosamente estranei alle scelte che fa il Csm, tanto più quando si tratta di un politico che è a sua volta magistrato, magari esponente di punta di una corrente, collocato fuori ruolo perché ha assunto un ruolo politico, di parlamentare o di membro del governo».

Ma il Csm non è politicizzato per natura? Basti pensare alle trattative in Parlamento sul voto per i membri laici…
«La “spoliticizzazione” del Csm passa anche per una diversa disciplina e prassi nella scelta dei laici, fra cui è scelto il vicepresidente. A dare le indicazioni saranno pur sempre i partiti, ma si tratta non di “mandare” al Csm dei loro rappresentanti, bensì di eleggere dei laici esperti di diritto che portino valutazioni istituzionali, anche per compensare tendenze corporative che possono emergere tra i togati».

Chiede ai laici del Csm la “spoliticizzazione” che vivono i giudici costituzionali? «Proprio come loro, i membri laici dovrebbero rispondere solo alla Costituzione e alla loro coscienza».

Le correnti della magistratura vanno sciolte? «Parlare di scioglimento non ha senso, perché sono solo delle libere aggregazioni di magistrati. Ma devono agire come aggregazioni culturali, non come gruppi di potere». Davigo e la sua frase in tv: “Qui non si dimette mai nessuno per la notizia di essere indagato”. Come la giudica? «I procedimenti penali e disciplinari devono fare il loro corso, con tutte le garanzie. Ma nel frattempo è possibile e doveroso trarre conseguenze dagli scandali emersi, là dove la verità di certi fatti (non necessariamente di rilievo penale) appaia irrefutabile, e innegabile l’esigenza di cambiare: quindi anche di dimettersi o di invitare a dimettersi. Ricordando sempre che anche i colpevoli ritenuti tali per sentenza rimangono persone. E che nessun reo “è” solo il reato che ha eventualmente commesso».


Fonte: La Repubblica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *