TRIBUNALE DI GENOVA - Sezione II Civile

Ordinanza per art. 23 L. 11.3.53 n. 87

in causa

PITERNA Roberto c. NARIZZANO Marco + 2 rg. 6135/97

 

Il Giudice designato,  sciogliendo la riserva assunta  all’udienza del 28.3.2000  sulla richiesta di condanna ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c. dei convenuti, rileva quanto segue.

Va premesso che con citazione del 14.7.97 Marco NARIZZANO ha richiesto il risarcimento dei danni subiti nell’incidente stradale così descritto : il 6.2.97 l’esponente si trovava in Genova a viaggiare quale passeggero sulla Vespa Piaggio condotta dall’amico Marco NARIZZANO, di proprietà della di lui sorella Sabrina, assicurata per r.c.a. con la ITAS ASS.NI; nella via Maiorana, nell’affrontare una curva volgente a destra, il conducente  perdeva il controllo del mezzo abbattendosi al suolo. A seguito della  caduta, l’esponente riportava contusione alla spalla ed al ginocchio destro; queste ultime lesioni si evolvevano negativamente portando a compromissione del legamento crociato e comportavano meniscectomia, con postumi invalidanti permanenti dell’8%, di cui si chiedeva il ristoro.

Mentre i due NARIZZANO restavano contumaci, il loro assicuratore ITAS resisteva alla domanda  invitando il trasportato (di cortesia)  a fornire la dimostrazione della responsabilità del suo vettore; e negando alcuna efficacia probatoria a dichiarazioni ammissive del conducente NARIZZANO, come pure alla documentazione sanitaria prodotta dal danneggiato.

La fase istruttoria si è esaurita con l’interrogatorio formale del conducente e con il licenziamento di CTU medico legale, che ha condivisibilmente concluso riconoscendo – quali diretti esiti lesivi del sinistro – le seguenti conseguenze invalidanti : giorni 20 di ITT;  giorni 20 di ITP; ed invalidità permanente nella misura del 4% originata da trauma contusivo-distorsivo del ginocchio destro con rottura del menisco interno e rottura parziale del crociato anteriore.

Ritiene lo scrivente che le piene e circostanziate ammissioni di responsabilità del NARIZZANO, in quanto riscontrate da altri elementi esterni di segno congruente con la dinamica lesiva prospettata dall’attore (vedi : documentazione sanitaria; collocazione e natura delle ferite) e con le considerazioni di  natura medico-legale sviluppate dal CTU sulla compatibilità tra prospettazione ed esiti lesivi,  valgano a costituire convincente dimostrazione della imperizia del conducente convenuto. Ciò, nel  rispetto dei principi valutativi della prova derivanti dall’art. 2733 co. 3 cod. civ., quali meglio specificati nella decisione  del Tribunale del 27.5.99 in causa BAYERISCHE ASSICURAZIONI contro GHISU Antonio, cui deve intendersi fatto rinvio.

Dalla responsabilità - su evidente base colposa – del conducente, discende a norma dell’art. 2054 c.c. quella del proprietario del veicolo e dell’assicuratore della Vespa.

Circa la liquidazione del danno, fino alla data del 28.3.2000  questo Tribunale vi avrebbe provveduto in conformità alla sentenza n. 2270  Raffaele MOLONIA contro SAPA S.p.A del  28.9.98 (rg. 3008/92),  nella quale si aderiva al metodo di calcolo “a punto tabellare” di derivazione milanese.

In tal senso, il calcolo liquidatorio avrebbe fatto riferimento ai seguenti dati accertati in sede medico-legale : Invalidità Temporanea Totale,  giorni 20; Invalidità Temporanea Parziale,  giorni 20; Invalidità Permanente, 4% della totale con un valore-punto di lire 1.900.000 per ogni  punto di IP; demoltiplicatore per età dell’infortunato alla data del sinistro (anni 24) : 0,885. Quindi l’usuale metodica liquidatoria avrebbe condotto ai seguenti esiti economici relativamente al solo danno biologico e morale da IP, ITT e ITP:

Dunque sarebbe spettata  a parte attrice a titolo di risarcimento del danno biologico e morale la complessiva somma di lire 11.407.500, oltre  rivalutazione monetaria ed interessi legali, calcolati secondo i noti dettami della decisione n. 1712 del 1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Peraltro, nella stessa data (28.3.2000) in cui è stata assunta la riserva sul provvedimento anticipatorio, è stato pubblicato sulla G.U. il decreto Legge  n. 70, il quale introduce nuove disposizioni sul calcolo liquidatorio delle piccole invalidità permanenti (“lesioni di lieve entità”).

In base a tale nuova metodica di calcolo, normativamente disciplinata, il risarcimento del danno che spetterebbe al  PITERNA per le medesime voci sopra esaminate si dovrebbe determinare come segue (ove al  PITERNA fosse accordato il massimo del danno morale):

Si assiste quindi ad una decurtazione del 52%, nella quale la differenza più evidente riguarda la misura  liquidatoria del danno da invalidità permanente, che passerebbe da lire 6.726.000 a lire 3.200.000.

Ciò posto, lo scrivente ritiene di dover sollevare d’ufficio la questione della legittimità costituzionale della nuova normativa nei seguenti termini.

Il decreto legge 17.3.2000 n. 70 interviene a disciplinare con fonte legislativa primaria la liquidazione del danno alla persona nei casi di lesioni personali con postumi invalidanti di grado inferiore al 9% (cd. “micropermanenti”) introducendo criteri che si sostituiscono all’equità del giudice, richiamata dall’art. 1226 c.c. Equità,  che i magistrati avevano tradotto in contenuti concreti  disciplinando con apposite “tabelle” liquidatorie i criteri generali cui si sarebbero attenuti nel decidere i singoli casi  loro sottoposti.

Dalla fine degli anni ’70 in avanti, e cioè da quando la risarcibilità aquiliana del danno alla salute ricevette autorevole avallo da plurime decisioni della Corte Costituzionale (vedi le decisioni n. 87 ed 88 del 1979 e 184 del 1986),  si sono sviluppati   nella giurisprudenza di merito due diversi schemi liquidatori : quelli ancorati al triplo della pensione sociale in base all’esegesi dell’art. 4 L. 39 del 1977, cui si atteneva dal 1979 anche questo Tribunale; e quelli articolati su valori economici del punto di invalidità che facevano riferimento alla media dei precedenti di merito dei decidenti (metodo cd. “a punto” o “pisano”).

Nella nota e fondamentale sentenza 14.7.86 n. 184 la Corte Costituzionale, nel ribadire la “copertura costituzionale” dell’elaborazione iniziata anche presso questo Tribunale sul danno biologico, fissò alcuni principi-cardine del sistema liquidatorio che non sono mai più stato posti in discussione, ed anzi sono stati integralmente recepiti da successive pronunce della Corte di Cassazione e dei giudici di merito.

Si legge in tale autorevole arresto : “ ….Dalla correlazione tra gli artt. 32 della Costituzione e 2043 del c.c. è posta dunque una norma che per volontà della Costituzione, non può limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico. 20. Un’ultima osservazione : alle conclusioni ora indicate si può opporre il timore di un’eccessiva uniformità di determinazione e liquidazione del danno biologico.

Va precisato che non si è inteso qui proporre un’assolutamente indifferenziata, per identiche lesioni, determinazione e liquidazione del danni : in proposito è da ricordare la recente giurisprudenza di merito che assume il predetto criterio liquidativo dover rispondere da un lato ad un’uniformità pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto…) e dall’altro ad elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso di specie all’effettiva incidenza dell’accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali in concreto si manifesta l’efficienza psico-fisica del soggetto danneggiato”.

E’ in base a tali considerazioni che la Corte di Cassazione, in tempi più recenti, ha colto l’inadeguatezza del calcolo  liquidatorio collegato al triplo della pensione sociale : il quale presentava un valore-punto sempre costante pur a fronte di invalidità permanenti di grado crescente (cfr. per tutte la sentenza della III Sezione del 13.1.93 n. 357).

Prendendo atto di tale puntuale gamma di rilievi, nell’ultimo biennio questo Tribunale – che ne fu l’antesignano – ha abbandonato il riferimento al parametro dell’art. 4 della L. 39 del 1977 per la liquidazione del danno biologico; infatti con la decisione MOLONIA contro SAPA del 28.9.98 (vedi Danno  e Responsabilità 1999, 65) si è determinato per l’adozione del sistema di liquidazione “a  punto tabellare” affinato  dal Tribunale di Milano come perfezionamento del calcolo a punto inaugurato dai giudici pisani.

In questo momento, dunque,  il metodo “a punto” risulta essere quello maggiormente adottato presso i giudici di merito, con una notevole prevalenza del modello milanese.

Pur con tale progressiva e sensibile omogeneizzazione delle tecniche liquidatorie, permane forte tra gli operatori del settore il senso di imbarazzo per l‘assenza di un metodo di liquidazione del danno biologico uniforme in  tutto il Paese. Di tale esigenza si erano fatti interpreti alcuni parlamentari, sottoponendo progetti di legge di riforma, e in epoca più recente anche l’ISVAP :  quest’ultimo  alcuni anni orsono promosse la costituzione di un apposito gruppo di studio (composto da giuristi ed operatori del settore) per varare  un sistema uniforme di liquidazione “a punto” del danno da invalidità permanente. Nel contempo, altro gruppo di lavoro costituito presso il C.N.R. si occupava di monitorare un significativo campione di decisioni di merito : i suoi lavori sfociarono nella predisposizione di  una Tabella Indicativa Nazionale (cd.TIN) contenente i valori economici medi riconosciuti dai giudici, per singolo punto di invalidità.

Entrambe tali elaborazioni sono state fatte proprie dal Governo, il quale il 4.6.99 ha approvato un disegno di legge – sottoposto poi all’ordinario corso parlamentare – che riproduceva quasi integralmente il progetto ISVAP ed era ispirato ai seguenti criteri direttivi: a) previsione in sede tabellare dei valori economici del punto di invalidità sulla scorta di una Tabella Indicativa Nazionale basata sul sistema cd. “a punto variabile” in funzione dell’età e del grado di invalidità, per invalidità permanenti fino al  70% della totale; b)  articolazione progressivamente crescente del valore-punto, con il progredire del valore economico di ciascun punto in misura più che proporzionale rispetto alla crescita del grado di invalidità (si tratta di progressione “esponenziale” e non “lineare”); c) rinvio all’equità per percentuali di invalidità superiori al 70%; d) previsione di coefficienti demoltiplicativi basati sullo studio statistico delle tavole di  mortalità della popolazione italiana, in modo da adeguare i risarcimenti all'età della vittima; e) risarcibilità del danno morale anche fuori dai casi di reato ed in frazione percentuale del danno biologico.

Ritiene questo giudice che il condivisibile obiettivo perseguito dal decreto legge 70/2000 di realizzare l'uniformità dei risarcimenti dei danni caratterizzati da lesioni  “micropermanenti”, liquidati su tutto il territorio nazionale, rendendo prevedibili per le compagnie assicurative i costi dei sinistri e "moralizzando" un settore (quello della sinistrosità stradale con modesti esiti lesivi) che si presta particolarmente alle frodi in danno delle compagnie assicuratrici, sia  stato tuttavia realizzato con il sacrificio di principi e norme di rango costituzionale; ed inoltre -  sorprendentemente -  ignorando le linee-guida adottate dalla stesso Consiglio dei Ministri in tema di risarcimento del danno, contenute nel citato disegno di legge approvato il 4.6.99.

La nuova disciplina contenuta nel decreto legge approvato  intende contenere gli oneri risarcitori a carico dei danneggianti (e delle loro compagnie assicuratrici) per le lesioni qualificate di “lieve entità” incidendo in tal modo, indirettamente, sui premi pagati dagli assicurati, operando come segue : viene determinato in lire 800.000 il valore monetario del punto di invalidità permanente per i primi cinque punti di invalidità; ed in lire 1.500.000 quello per i successivi punti dal sesto fino al nono.

Tale disciplina dà luogo alle seguenti censure di incostituzionalità:

1) violazione dell'art. 32 della Costituzione ad opera dell'art. 3.1 lett. a)  del decreto-legge in relazione alla misura economica del valore-punto  di invalidità.

Non vi e' dubbio che venga in rilievo, nel caso dei risarcimenti dei danni biologico e morale, un bene primario di rango costituzionale, come già da tempo messo in luce dalla Corte Costituzionale nelle decisioni già richiamate : il diritto alla salute. Orbene, per rendere effettivo - e non vuoto simulacro - il risarcimento delle lesioni del bene giuridico in questione, e' necessario che i valori monetari e più in generale le tecniche liquidatorie adottate in sede giudiziale e stragiudiziale esprimano un’ effettiva idoneità a ristorare il pregiudizio.

E’ da tenere presente che il nuovo sistema di calcolo introdotto dal D.L. determina i seguenti indennizzi:

 

Grado di invalidità

Valore Punto

Prodotto VPxP

 

 

 

1%

Lire 800.000

Lire    800.000

2%

           

Lire 1.600.000

3%

           

Lire 2.400.000

4%

           

Lire 3.200.000

5%

           

Lire 4.000.000

6%

Lire1.500.000

Lire 5.500.000

7%

           

Lire 7.000.000

8%

           

Lire 8.500.000

9%

           

Lire10.000.000

 

L’idoneità a determinare il serio ristoro del danneggiato poteva discendere dall'applicazione dell'art. 4 L. 39 del 1977, come pure da qualsiasi sistema di liquidazione "a punto" fondato sulla media delle precedenti liquidazioni operate dai giudici in un determinato ambito territoriale. Di contro, i valori economici espressi nel decreto legge non appaiono ancorati ad alcun precedente studio sistematico degli indennizzi già  liquidati, o ad altri appropriati e congrui parametri economici, ed appaiono assai lontani dalla Tabella Indicativa Nazionale, che sulla base di un appropriato monitoraggio delle decisioni di merito, prevede lo sviluppo progressivamente crescente del valore punto secondo la seguente progressione ( i calcoli sono condotti al netto dell’abbattimento per l’età):


Grado  invalidità

Valore Punto

Prodotto VPxP

 

 

 

1%

Lire 1.166.000

Lire    1.166.000

2%

Lire 1.306.000

Lire    2.612.000

3%

Lire 1.465.000

Lire    4.395.000

4%

Lire 1.648.000

Lire    6.592.000

5%

Lire 1.858.000

Lire    9.290.000

6%

Lire 2.099.000

Lire  12.594.000

7%

Lire 2.377.000

Lire  16.639.000

8%

Lire 2.698.000

Lire  21.584.000

9%

Lire 3.069.000

Lire  27.621.000

 

Il valori adottati nel D.L. sono anche estremamente lontani  rispetto al più diffuso metodo di liquidazione del danno alla persona adottato sul territorio nazionale : il sistema "a punto tabellare" milanese, fatto proprio anche da questo Tribunale nella decisione MOLONIA c. SAPA del 28.9.98, che fissa il valore economico del primo punto di invalidità permanente  in lire 1.600.000, ed i successivi otto nelle seguenti misure (sempre al netto dell’abbattimento per l’età):

 

Invalid.

Valore Punto

Prodotto VPxP

 

 

 

1%

Lire 1.600.000

Lire    1.600.000

2%

Lire 1.700.000

Lire    3.400.000

3%

Lire 1.800.000

Lire    5.400.000

4%

Lire 1.900.000

Lire    7.600.000

5%

Lire 2.000.000

Lire  10.000.000

6%

Lire 2.200.000

Lire  13.200.000

7%

Lire 2.400.000

Lire  16.800.000

8%

Lire 2.600.000

Lire  20.800.000

9%

Lire 2.800.000

Lire  25.200.000

 

          Esaminati tali prospetti, si può notare che i valori-punto per le micropermanenti vengono diminuiti dalla metà fino ad oltre il  60%: non è agevole giustificare tali significative decurtazioni (che rendono il risarcimento più apparente, che reale : una specie di “lustra”) rispetto ai più accreditati e diffusi metodi risarcitori, a fronte di beni giuridici di rango primario, protetti direttamente da norma costituzionale. Soprattutto se si tiene presente che, fin dalla decisione n. 87 del 1979, la Consulta sottolineò a chiare lettere che “…mentre rientra nella discrezionalità del legislatore adottare discipline differenziate per la tutela risarcitoria di situazioni diverse, tale discrezionalità è invece esclusa allorquando vengano in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite. Per queste ultime,la garanzia costituzionale implica logicamente l'obbligo del legislatore di apprestare una tutela piena, ed in particolare - ma non esclusivamente - una tutela risarcitoria. Tali osservazioni, riprese letteralmente anche nella sentenza n. 356 del 1991, sono state così puntualizzate nella fondamentale sentenza n. 184 del 1986 : “Il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. è la minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela di un interesse, sicché il legislatore ordinario, rifiutando o limitando in alcun modo la tutela risarcitoria a seguito della violazione del diritto dichiarato fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi... La solenne dichiarazione della Costituzione si ridurrebbe ad una lustra ed il legislatore ordinario rimarrebbe arbitro della effettività della predetta dichiarazione”

 

2. violazione dell’ art. 3 co. 1  della Costituzione ad opera dell'art. 3.1 lett. a)  del decreto-legge in relazione alla non derogabilità da parte del giudice, con specifica motivazione, dei limiti massimi definiti da tale norma.

Come già sopra anticipato, la Corte Costituzionale nella nota pronuncia n. 184 del 1986, con cui ha collegato la lesione del danno alla salute all'art. 2043 c.c., ha sottolineato la pregnante esigenza di pervenire ad un sistema di liquidazione del danno alla persona che si potrebbe definire “non ingessato”. Secondo tale insegnamento, risulta compatibile con i principi costituzionali solo un sistema che sappia coniugare l’esigenza della uniformità pecuniaria di base, con l’adeguata valorizzazione “soggettiva” del caso di specie : esigenza, che è ben nota agli operatori del settore, i quali hanno diretta cognizione di come percentuali di invalidità assai diverse si riferiscano a casi tra loro assolutamente non assimilabili; e che rende inevitabile nei congrui casi la correzione “equitativa” del ristoro pecuniario derivante dalla semplice applicazione del punto tabellare.

Il nuovo sistema introdotto dal decreto legge valorizza esclusivamente il primo profilo, quello dell’uniformità pecuniaria di base, ed impedisce alcuna giustificata deroga nei congrui casi, sia pure entro limiti percentuali definiti.

Diversa impostazione – più coerente con l’insegnamento del giudice costituzionale – era quella del progetto dell’ISVAP, il cui art. 3 co. 2, dopo aver ancorato il risarcimento alla TIN, proseguiva dicendo che :”..il giudice può con specifica motivazione correggere secondo il suo prudente apprezzamento la determinazione del risarcimento avuto riguardo a comprovate peculiarità oggettive e soggettive del caso concreto. La correzione, in aumento o in diminuzione, deve essere contenuta entro una misura non superiore al terzo dell’ammontare determinato ai sensi del primo comma. In caso di eccezionale gravità della menomazione il giudice può con adeguata motivazione valutare il danno secondo il suo prudente apprezzamento”.

 

 3. violazione del combinato disposto degli artt. 3 e  32 della Costituzione ad opera dell'art. 3.1 lett. a)  del decreto-legge in relazione alla misura fissa  del valore-punto  di invalidità.

La Corte di Cassazione, nel recepire i parametri di uniformità e flessibilità indicati dalla Corte Costituzionale come cardini del sistema di liquidazione del danno alla persona,  ha più volte convalidato tecniche liquidatorie che realizzavano il duplice obiettivo in esame attraverso valori economici progressivamente crescenti del punto di invalidità. Tale impostazione e' conforme, d'altro canto, alle acquisizioni della medicina legale, secondo la quale le conseguenze menomative delle lesioni personali non hanno natura "lineare", ma crescono progressivamente in base al grado di menomazione funzionale.

Lo stesso Consiglio dei Ministri aveva  recepito tale impostazione nel disegno di legge approvato il 4.6.99. Si prevedeva infatti che il valore monetario dovesse articolarsi “..sulla base dei valori monetari uniformi indicati dalla Tabella Indicativa Nazionale (TIN) di cui al successivo art. 4” (art. 3.1). E che quest’ultima dovesse essere redatta con l’osservanza dei seguenti criteri direttivi: “1) la tabella per il risarcimento del danno biologico deve basarsi sul sistema c.d. “a punto variabile” in funzione dell’età e del grado di invalidità; 2) il valore del  punto è  funzione crescente della percentuale di invalidità. L’incidenza della menomazione sulla vita del danneggiato cresce in maniera più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi non solo in termini assoluti ma anche relativi..” (art. 4.1 lett. a) nn. 1 e 2).

Ne discende la manifesta illegittimità di un sistema, come quello introdotto  dal decreto legge, che fissa un unico valore monetario per  ciascun  punto di invalidità compreso tra l’1 ed il 5%; come pure un identico valore economico di ogni punto di IP  compreso tra il 6 ed il 9%, anziché valori monetari progressivamente crescenti con il progredire del grado invalidante (quali quelli sopra riferiti, contenuti nella TIN o nella “tabella milanese”)..

In tal modo vengono parificati  indiscriminatamente i valori economici relativi a punteggi di invalidità diversi e per nulla omogenei, palese essendo che il 5% di menomazione funzionale permanente e' altra cosa, rispetto a postumi dell'1%; e che l’obiettiva menomazione funzionale collegata ad un’invalidità permanente del 9% (e la relativa consapevolezza e sofferenza da essa indotta) è cosa diversa, naturalisticamente e psicologicamente, da quella derivante dalla perdita del  6% della validità totale.

 

4.  violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art. 3.1 lett. a) dello stesso decreto per disparità di trattamento tra danneggiati di età diversa.

Infatti la nuova normativa non prevede alcun adeguamento moltiplicativo che esprima la diversa incidenza dell’età del danneggiato, in rapporto alle sue menomazioni funzionali, sulla misura del risarcimento: e dunque non contiene alcun correttivo in relazione alla “qualità della vita” residua del danneggiato. Anche in questo caso, appare particolarmente evidente l’arbitrarietà della nuova disciplina, che finisce per parificare l'infante e l’ottuagenario, quasi che le categorie estreme (per età) dei danneggiati fossero perfettamente sovrapponibili.

E' quasi superfluo sottolineare che, di tutti i metodi liquidatori escogitati dalle diverse Corti italiane, non uno conteneva una tale irrazionale parificazione: tutti tali sistemi, con criteri diversi e talora assai sofisticati (vedi, per esempio, gli studi dell'apposito gruppo di lavoro CNR condotti sulle tavole di sopravvivenza aggiornate con i più recenti censimenti demografici, poi recepiti in talune decisioni di merito), avevano di mira e coglievano l’obiettivo di  modulare il risarcimento in rapporto al prevedibile sviluppo e durata nel tempo della menomazione funzionale.

Era lo stesso  disegno di legge governativo a prevedere in proposito : “3) il valore del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale, anche tenendo conto della maggiore longevità della donna” (art. 4.1 lett. a) n. 3).

 

5. Violazione degli artt. 2 e 32 Costituzione da parte dell’art. 3.1 lett. c) del decreto legge in relazione alla misura massima del danno morale.

Dispone la lett. c) dell’art. 3 del Dl 70/2000: “c) a titolo di danno non patrimoniale, nei casi in cui questo è risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 del codice civile, è liquidato un importo non superiore al venticinque per cento dell’importo liquidato a titolo di danno biologico”.

Si ritiene che anche questa disposizione violi fondamentali precetti costituzionali.

La Corte Costituzionale si è ripetutamente espressa sulla non riconducibilità del danno morale soggettivo ( il “transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso””) alla tutela costituzionale dell'art. 32 (vedi le sentenze nn. 356 del 1991; 37 del 1994; 293 del 1996) : proprio l'assenza di protezione costituzionale giustificherebbe regimi risarcitori differenziati, vale a dire la limitazione del risarcimento ai casi tassativamente richiamati nell'art. 2059 c.c.. Limitazione, che la dottrina da tempo stigmatizza e che ci si apprestava in sede legislativa a superare, come dimostrano i lavori preparatori dell’ISVAP ed il disegno di legge governativo del giugno scorso.

Tuttavia, chiamata a definire i contorni del danno morale soggettivo, per distinguerlo dal danno biologico, la Corte  aveva spiegato nella sentenza 184 del 1986 che : “Il  danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, è danno-conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo”.

Da tale definizione,  si desume che il danno morale soggettivo viene risarcito come riflesso soggettivo e psicologico dello stesso fatto menomativo dell'integrità personale, ormai universalmente qualificato come "danno biologico": partecipa della natura di quest'ultimo nel senso che  in tanto viene accordata protezione  all'integrita' psicofisica della persona umana, in quanto nei casi che qui interessano l’art. 2059 c.c.  e' posto a presidio di diritti inviolabili e fondamentali, che godono della tutela costituzionale degli artt. 2 e 32 della Legge fondamentale.

E’ insomma  difficile non cogliere, nella protezione risarcitoria del danno morale collegato ad un danno biologico, l'immediato riflesso della protezione accordata all'integrità fisica ed alla dignità morale della persona : un interesse riferibile senza difficolta' al catalogo dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti al livello costituzionale fin dalle sue disposizioni d’esordio.

Questo "aggancio" costituzionale del danno morale ai valori protetti dall’art. 2 Costituzione è stato colto in effetti  con particolare sensibilità nella sentenza n. 10606 della Corte di Cassazione del 1996 (v.  Resp. Civ. e Prev. 1997, 393). Vi si legge : Aderendo all'invito della Consulta questa Corte ritiene che l'ambito di operatività dell'art. 2059 cod. civ. debba essere considerato rapportando anche questa norma ai principi costituzionali, e così superando la inadeguata interpretazione tradizionale. Le ragioni della "costituzionalizzazione" del sistema di responsabilità civile (già auspicate dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 184 del 1986) derivano da precise esigenze di giustizia, accordando tutela diretta e giudiziaria anche nel settore dei rapporti privati, alle posizioni soggettive ed ai beni giuridici costituzionalmente protetti”. Ripercorsa la vicenda giurisprudenziale del riconoscimento costituzionale del diritto alla salute, la Cassazione prosegue così: "Il danno morale si configura così, in questa nuova visione aperta ai valori costituzionali, come lesione della sfera morale della persona, di quel valore uomo che anche il danno biologico lede, come danno di quella qualità essenziale della persona, che è la salute. Pari dignità di tutela per il danno alla salute (nel senso ampio dell'art. 32 Cost. e delle Carte internazionali recepite nel nostro ordinamento) per il danno alla “dignitas personae”, che il delitto ferisce nella sua integrità etica, e tanto più gravemente, quanto più intensi sono i valori umani menomati. E' in questa direzione che può ricostruirsi la dicotomia perfetta tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, in un sistema coerente rispettoso dei diritti della persona. Sulle basi di questa distinzione, il rapporto di risarcibilità del danno morale non è solo “pecunia doloris”, ma “pecunia lesae dignitatis”, reintegrazione della dignità umana offesa dal delitto”.

A questo punto, per il danno morale che discende da lesioni alla persona umana, e diviene accessorio di quest'ultimo,  valgono le medesime considerazioni sopra svolte rispetto al danno biologico mediante il richiamo alle decisioni 87/79 e 184/86 della Corte Costituzionale : il concreto risarcimento di tali valori non può essere meramente apparente, “una lustra” come efficacemente scriveva la Consulta nel 1979.

E una lustra certamente risulta la misura massima del risarcimento accordabile per il danno morale collegato al danno biologico in base all'art. 3.1 lett. c) del decreto legge in esame : fino al massimo di un quarto del danno biologico a cui accede. E' superfluo ricordare che la casistica che si offre quotidianamente agli interpreti presenta frequentemente casi in cui, a basse menomazioni psicofisiche, corrispondono però sofferenze e patimenti morali marcati (vedi, a tacer d’altro, i casi dei reati dolosi o delle colpe professionali).

La percentuale massima ammessa dal decreto legge in frazione del danno biologico appare decisamente mortificante, se si considera che nel più diffuso sistema di liquidazione del danno - le tabelle "milanesi" già più volte richiamate -  la misura dell'indennizzo previsto  per il danno morale varia da una percentuale minima del 25%, fino alla meta' del danno biologico. Ed anche nei progetti di riforma elaborato in sede ISVAP o di Consiglio dei Ministri, che tra l’altro si muovevano entrambi nella direzione del superamento dello scoglio della risarcibilità del danno morale solo nei casi tassativamente indicati dalla legge, erano previsti adeguati correttivi per consentire al giudice - con onere di specifica e puntuale motivazione - l'adeguata personalizzazione della misura del ristoro del danno morale entro l’identico limite della metà del danno biologico. Si rimanda in proposito all’art. 6 del progetto ISVAP, ed all’art. 4 dell’articolato governativo.

Dove poi si toccano livelli economici irrisori, è con riguardo al danno morale da Invalidità Temporanea. Infatti il danno morale potrà essere  liquidato nella misura massima di  lire 12.500 per tutto il periodo dell'invalidità temporana totale, in cui notoriamente e' piu' acuta la sofferenza originata dal fatto lesivo (valore così  determinato : ¼ di lire 50.000 al giorno, misura fissa dell’Invalidità Temporanea Totale in base alla lett. b) dell’art. 3.1 DL 70/2000). Si raggiungono valori ancora più canzonatori nel danno morale da Invalidità Temporanea Parziale, che in caso di riduzione a meta' della validita' del soggetto, arriva alla soglia massima di 6250 giornaliere (determinate come segue : ¼ di lire 25.000 giornaliere, e cioè della metà della misura fissa dell’ITT, ridotta del 50% in rapporto al grado di  invalidità).

 

6. Violazione dell’art. 3 Costituzione da parte dell’art. 3.1 lett. c) del decreto legge in relazione alla coesistenza di diversi criteri per la liquidazione del danno morale da reato.

Ulteriore profilo di violazione costituzionale, ravvisabile nella lett. c) dell'art. 3.1, si ravvisa tenendo presente che non tutte le liquidazioni del danno morale da reato sono sottratte all'equità del giudice, ma solo quelle che si collegano al danno biologico. Tale distinzione è priva di adeguata giustificazione, in relazione alla gerarchia di valori protetta dalla Carta Costituzionale, tra i quali primeggiano certamente quelli della persona umana intesa nella sua stessa integrità biologica e psicologica, sol che si consideri il seguente caso : il danno morale da ingiuria verbale, in quanto costituente reato, rimane assoggettato al precetto dell'art. 1226 c.c., e dunque rimane affidato alla valutazione equitativa del giudice. Mentre le sofferenze da lesione dell'incolumità fisica della persona, anche di natura dolosa, che tutto lascia credere più dolorose specialmente quando si sostanzino in esiti invalidanti permanenti, vengono imbrigliate entro  limiti risarcitori obiettivamente irrisori, quali quelli in precedenza considerati.

Fatti tali rilievi sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, si osserva che la rilevanza della stessa emerge in questa fase processuale, nella quale il decidente è chiamato a rendere un provvedimento anticipatorio di condanna – sulla scorta dell’intero quadro probatorio raccolto nella fase istruttoria – che richiede il ricorso ai nuovi indici monetari contenuti nel decreto legge per operare la quantificazione economica del debito da risarcimento del danno :  criteri, che  risultano obbligatori ed efficaci dalla data di pubblicazione del decreto-legge (il quale non contiene disposizioni transitorie).

Nel merito, per così dire, del computo liquidatorio, è da notare che il danno biologico da invalidità permanente patito dal PITERNA sarebbe valorizzato in base al decreto legge in lire  3.200.000 complessivamente, di contro alle somme di lire 6.592.000 e lire 7.600.000 previste  per il medesimo grado di invalidità rispettivamente dalla TIN e dalla tabella milanese : con una perdita lorda per il danneggiato superiore al 50% rispetto ai più diffusi ed accreditati metodi di calcolo del risarcimento del danno in esame; mentre il danno morale complessivo passerebbe da lire 3.181.000 a lire 1.175.000, con una decurtazione del 63%.

Nessun impedimento alla sottoposizione della questione di cui sopra può venire dalla natura giuridica della fonte che contiene le nuove disposizioni : è lo stesso art. 134 della nostra Legge fondamentale a prevedere la sindacabilità degli atti aventi “forza di legge  da parte della Corte Costituzionale.                                                                                                                    

P.Q.M.

Visti gli artt. 134 Costituzione e 23 L. 11.3.53 n. 87

DICHIARA

rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale:

1)  dell'art. 3.1 lett. a) del decreto legge 17.3.2000 n. 70 nella parte in cui, stabilendo in lire 800.000 e lire 1.500.000, rispettivamente, il valore economico del punto di invalidità permanente per i punti di invalidità dal primo al quinto, e dal sesto al nono, non realizza il serio ristoro economico  del danno alla salute per le lesioni di lieve entità;

2) della medesima disposizione nella parte in cui introduce un metodo  di liquidazione caratterizzato dalla sola uniformità pecuniaria di base, non adattabile alle peculiarità dei casi concreti  con integrazione  equitativa (pur entro misure definite) con onere di congrua motivazione;

 3) della medesima disposizione ove fissa lo stesso valore economico del punto di invalidità per i punteggi di invalidità permanente compresi tra l'1 ed il 5%, e per quelli compresi tra il 6 ed il 9%;

4) dell'intero art. 3 dello  stesso decreto nella parte in cui detta un'unica disciplina di calcolo del risarcimento del danno biologico, che non tiene in considerazione le diverse aspettative di vita dei danneggiati in base all’età;

5) dell’art. 3.1 lett. c) del decreto, nella parte in cui determina in misura irrisoria il danno morale collegato al danno biologico da invalidità permanente e temporanea;

6) del medesimo art. 3.1 lett. c) del decreto, nella parte in cui disciplina con soglie di indennizzo irrisorie il solo danno morale collegato al danno biologico, rispetto ai restanti casi di liquidazione equitativa del danno morale da reato.

ORDINA

- la sospensione della causa per pregiudizialità costituzionale con immediata trasmissione di copia autentica del fascicolo d'ufficio e dei fascicoli delle parti alla Corte Costituzionale in Roma, a cura della Cancelleria;

- la  notificazione del presente provvedimento a cura della Cancelleria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alle parti di causa;

- la comunicazione della presente ordinanza a cura della Cancelleria ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Genova,  3 aprile 2000

                                                                                       Il Giudice

                                                                     dr. Roberto BRACCIALINI