TAR Lazio  Sezione I ter Sentenza 07/02/2005, n. 1051

 

FATTO E DIRITTO

 

Col ricorso in esame, il colonnello Aldo Mazzini ha chiesto - previo accertamento del relativo diritto - la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondergli, maggiorate degli accessori di legge, le somme di denaro dovutegli a titolo di compenso per il lavoro straordinario da lui prestato (presso il Dipartimento della Protezione Civile) nel periodo che va dal luglio del '92 all'ottobre del '95.

All'esito della discussione svoltasi nella pubblica udienza del 16 dicembre 2004, il Collegio - trattenuto il predetto ricorso (nel frattempo debitamente istruito) in decisione - ne constata la sostanziale fondatezza.

Va, innanzitutto, premesso che - non essendo in discussione la legittimità dell'atto amministrativo che nega l'autorizzazione ad effettuare lo "straordinario" richiesto (o che, comunque, la concede in misura inferiore a quella auspicata dal pubblico dipendente), la presente controversia riguarda effettivamente (al di là delle prospettazioni attoree) una questione di diritto soggettivo: da risolversi, quindi (sul piano probatorio), alla luce dei princìpi di cui all'art. 2697 c.c. (ai sensi del quale è il convenuto che, per non esser condannato, deve provare l'esistenza dei fatti estintivi o impeditivi del diritto vantato - nei suoi confronti - dall'attore).

Fatte queste premesse, si reputa sufficiente osservare come l'Amministrazione intimata non abbia fornito (neppure in sede istruttoria) alcun elemento atto a smentire la veridicità dei dati contenuti nella copiosa documentazione prodotta dal ricorrente: dalla quale si evince che il soggetto in questione ha accumulato, nel periodo di riferimento, ben 2028 ore di lavoro straordinario.

Non risulta, in particolar modo, smentito che l'interessato - dal luglio del '92 all'ottobre del '95 - abbia effettivamente svolto (nell'ambito del Dipartimento della Protezione Civile) mansioni di Capo Sala Operativa del "Centro Operativo Aereo Unificato" e che - in tale veste - abbia realmente effettuato turni di servizio di 24 e, spesso, di 48 ore continuative.

Non risulta, altresì, smentita la circostanza in base alla quale le ore di servizio prestate in eccedenza a quanto dovuto (e non retribuite, appunto, come "straordinario") non sono (neppure) state remunerate con la concessione dei prescritti "riposi compensativi". (La sussistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato dal ricorrente è stata viceversa provata attraverso la produzione - da parte del Mazzini - degli "statini" riepilogativi mensili, vistati dal dirigente preposto al Servizio al quale egli era addetto, e dagli "specchi" dei vari turni di servizio: acquisiti, dal Mazzini stesso, in occasione dell'accesso da lui effettuato ai sensi della "241").

Ciò posto; si rileva

- che, tra i doveri di ufficio dei pubblici dipendenti (cfr., "ex multis", C.G.A. n. 106/86), rientra anche quello di svolgere - in aggiunta al normale orario di servizio - il lavoro straordinario che si renda necessario per soddisfare specifiche esigenze dell'Amministrazione di appartenenza;

- che il ricorrente era addetto ad un servizio chiamato (senza alcun dubbio) a rispondere ad esigenze indilazionabili, imprevedibili e non programmabili;

- che, se l'impiegato - per fronteggiare situazioni di tal natura - presta lavoro straordinario (anche) oltre i limiti orari consentiti, ha comunque titolo (in virtù del principio sinallagmatico) per ottenere il relativo compenso (cfr., sul punto, C.d.S., V, n. 1246/92);

- che, soprattutto quando ha ad oggetto (come nel caso di specie) l'attività propria di funzionari di livello particolarmente elevato, l'autorizzazione ad effettuare il lavoro "de quo" (cfr., sul punto, C.d.S., VI, n. 353/81) può esser anche di tipo implicito;

- che, purché autorizzate (anche nel senso testé precisato) dall'organo competente, le ore di straordinario effettivamente rese dal pubblico impiegato devono esser remunerate indipendentemente dalla mancanza di idonea copertura di spesa nell'apposito capitolo di bilancio: e ciò, in quanto le norme di contabilità - se disciplinano l'organizzazione interna degli uffici pubblici - non attribuiscono certo alla p.a. (cfr., sul punto, T.A.R. Lombardia, MI, III, n. 471/95) il potere di incidere sul diritto soggettivo di credito del proprio dipendente.

Pur ravvisando giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di lite, il Collegio (che non ha ragione di discostarsi dagli orientamenti giurisprudenziali formatisi "in subjecta materia") non può pertanto che ritenere fondate le pretese azionate - nella circostanza - dal ricorrente: che, nei limiti risultanti dall'applicazione del disposto dell'art. 22, 36° comma, della l. 724/1994 (ai sensi del quale, il cumulo di interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme tardivamente corrisposte al pubblico dipendente è consentito solo relativamente ai crediti maturati da questo al 31 dicembre 1994), dovranno conseguentemente esser soddisfatte.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione I ter, accoglie, con le precisazione di cui in motivazione, il ricorso indicato in epigrafe; compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa, di cui sono fatte salve le ulteriori determinazioni.

 

 

 

 

Copyright © Avv. Marco Martini 

 
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