CivileGiurisprudenza

Il vitalizio non è una pensione. Imponibili le somme per finanziarlo – Cassazione Civile, Sentenza n. 23793/2010

L’eletto a una pubblica carica non ha rapporto di lavoro con l’ente che rappresenta, perciò nessuna esenzione

Le somme trattenute dalla Regione sull’indennità di carica del proprio consigliere per finanziare l’erogazione di un assegno vitalizio non hanno natura previdenziale. Inoltre, non sono previste dal legislatore statale tra i contributi obbligatori esclusi dal reddito imponibile Irpef.
Di conseguenza, concorrendo nel computo del reddito come l’indennità di carica della quale costituiscono una percentuale, tali somme non possono essere rimborsate.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con sentenza n. 23793 del 24 novembre.
 
Il caso
Il signor X, consigliere della Regione Marche negli anni dal 1995 al 1999, presenta istanza all’Amministrazione finanziaria per ottenere il rimborso delle somme che la Regione ha trattenuto nella misura del 20% dell’indennità di carica quale contributo obbligatorio (ex articolo 3, comma 2, legge regionale delle Marche 23/1995) per l’erogazione dell’assegno vitalizio da corrispondere al politico cessato dalla carica.
A parere del contribuente, tali somme non costituiscono reddito imponibile Irpef in quanto, ai sensi dell’ex articolo 48, comma 2, lettera a), del Dpr 917/1986 (ora articolo 51, comma 2, lettera b), sono finalizzate a un trattamento previdenziale obbligatorio.
 
Formatosi il silenzio-rifiuto, il consigliere ha proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Macerata, che lo ha accolto fondando il proprio convincimento sulla funzione previdenziale obbligatoria delle trattenute in questione.
L’ufficio, osservando che la materia previdenziale è sottoposta a riserva di legge inderogabile a favore dello Stato, con la conseguenza che un trattamento previdenziale obbligatorio non può essere costituito con legge regionale, e che, in ogni caso, non è possibile attribuire natura previdenziale all’assegno cui erano finalizzate le trattenute, ha impugnato la sentenza di primo grado.
 
Nonostante l’appello non sia stato accolto, l’Agenzia ha ribadito la propria posizione nel ricorso per cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione del Dpr n. 917/1986, articoli 47, 48 e 48-bis, (nella formulazione vigente ratione temporis); della legge regionale Marche 23/1995, articolo 3; dell’articolo 112 cpc; nonché insufficiente e contraddittoria motivazione (articolo 360 cpc, nn. 3 e 5).
 
La sentenza
Con la pronuncia n. 23793/2010, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dell’Agenzia:
•per la natura dell’assegno e per le evidenti differenze rispetto a un trattamento previdenziale o pensionistico conseguente a un rapporto di lavoro, pubblico o privato
•per l’elencazione puntuale e tassativa dei casi di esenzione di imposta, tra i quali non è compreso l’assegno vitalizio connesso alle indennità di carica.
 
In particolare, la Cassazione ha rilevato che l’“assegno vitalizio a favore dei consiglieri … della Regione Marche … – è indubbiamente un istituto ‘sui generis’ ispirato tuttavia all’analogo istituto vigente a favore dei parlamentari al cui trattamento economico e normativo è direttamente ispirata la legislazione regionale concernente quello dei consiglieri (anche nella determinazione della indennità di carica, parametrata in percentuale a quella dei parlamentari ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge in esame)”.
 
In proposito, i giudici di piazza Cavour hanno richiamato “la sentenza della Corte Costituzionale n. 289 del 13-7-1994, avente ad oggetto … la natura dell’assegno vitalizio dei parlamentari …”, nella parte in cui “… il Giudice delle leggi, prendendo … in considerazione le posizioni ‘dei titolari di assegni vitalizi goduti in conseguenza della cessazione di determinate cariche’ e ‘dei titolari di pensioni ordinarie derivanti da rapporti di impiego pubblico’ …”, ha osservato che “‘… tra le due situazioni, nonostante la presenza di alcuni profili di affinità, non sussiste … una identità né di natura né di regime giuridico, dal momento che l’assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico…”.
Con riferimento a tale pronuncia, la Cassazione ha ribadito che “… l’eletto ad una pubblica carica non ha certamente rapporto di lavoro con l’ente che rappresenta …”, condividendo con il giudice delle leggi “il convincimento … della ‘diversità sostanziale e giuridica dell’istituto del vitalizio in esame rispetto ad un trattamento previdenziale o pensionistico conseguente ad un rapporto di lavoro, pubblico o privato…”.
 
Con una precisazione ulteriore e cioè che “il legislatore, nell’esercizio della discrezionalità di fissare la base imponibile per i redditi aventi carattere misto assistenziale e previdenziale, può anche determinare esclusioni o limitazioni in ordine a quanto concorre a formare il reddito (ed in realtà la normativa applicabile ha subito nel tempo una serie di variazioni) – purché in modo non irragionevole o arbitrario e senza discriminazioni o privilegi non giustificati: cfr. sentenza n. 289 del 1994 -, ma non è tenuto a escludere, in ogni caso, dalla imposizione IRPEF i suddetti assegni, che possono essere considerati come reddito e indice di capacità contributiva (ordinanza n. 412 del 2000)” (Corte costituzionale, ordinanza n. 86/2007).
 
E tale limitazione deve essere posta con legge. Dopo aver osservato che “le indennità di carica, come del resto gli assegni vitalizi alle stesse cariche collegati, non costituiscono reddito di lavoro dipendente ex art. 48 del T.U.I.R. nella formulazione vigente ‘ratione temporis’ (ora art. 51), bensì reddito a questo assimilato ai sensi dell’art, 47 del cit. T.U.I.R. (ora art. 50)”, la stessa Corte ha statuito che “tale assimilazione ha rilievo generale sotto il profilo della imponibilità ai fini fiscali, ma non si estende al regime delle esenzioni o delle esclusioni di particolari introiti dalla formazione del reddito imponibile …; ipotesi queste tutte singolarmente individuate dalla legge in modo specifico e puntuale, come si evince dalla minuziosa elencazione di cui all’art. 48, comma 2, cit. T.U.I.R., e, in quanto costituenti esenzioni dalla imposta, di tassativa e non estensibile interpretazione. Ne consegue che, ove l’art. 48, comma 2, lett. a), cit. T.U.I.R., dispone che non concorrono a formare reddito imponibile i contributi previdenziali ed assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge, limita con evidenza la esenzione ai contributi versati in dipendenza di un rapporto di lavoro, con esclusione di ogni altro tipo di contributo, a prescindere da eventuali affinità sostanziali con quelli considerati, e quindi di quelli legati a trattamenti vitalizi derivanti non da lavoro, bensì dall’esercizio di cariche pubbliche”.
E se la legge statale non prevede tale esenzione, a maggior ragione non può farlo la legge regionale.
 
L’epilogo della sentenza n. 23973 è nel richiamo ai principi generali in materia di fonti del diritto. Dopo aver rilevato “che i contributi esclusi sono dovuti in ottemperanza a disposizioni di legge”, la Cassazione ha affermato che “nel silenzio del legislatore, deve intendersi che tale espressione indichi esclusivamente una legge dello stato, in quanto, vigendo una riserva assoluta di legge a favore del medesimo in materia previdenziale, (art. 117 Cost.) ovvero quella oggetto della diposizione in esame, la interpretazione in tal senso, in quanto costituzionalmente orientata, ha natura obbligata come spesso rammentato dal Giudice delle Leggi (ad es. ord. n. 107 del 2003). Ne consegue che la contribuzione la cui obbligatorietà deriva da legge regionale non può essere per ciò solo ricompresa nella disposizione di cui all’art. 48, comma 2, lett. a), …T.U.I.R., nella formulazione vigente ‘ratione temporis’”.
Fermo restando che, comunque, “… in forza del tenore letterale della disposizione che prevede l’indennità in questione (e la relativa contribuzione) …”i giudici di piazza Cavour, in fattispecie analoghe a quella in esame, hanno osservato che “la natura previdenziale dell’istituto è da escludere…”, riconoscendo piuttosto“la qualificazione di tipo indennitario … dell’assegno vitalizio … confermata dalla qualificazione tributaria degli assegni medesimi, rientranti tra le indennità per cariche elettive (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 47, lett. “g”)” (Cassazione, sentenze nn. 20538/2010, 20539/2010, 20540/2010, 20541/2010 e 20542/2010).
 
Quanto all’assetto normativo regionale, infatti, “la L.R. Marche n. 23 del 1995, art. 3, comma 2, stabilisce, …, che su tale indennità ‘è disposta altresì una trattenuta obbligatoria nella misura del 20 per cento, a titolo di contributo per la corresponsione dell’assegno vitalizio di cui all’art. 9’ il quale … prevede che detto assegno vitalizio ‘compete ai consiglieri regionali cessati dal mandato che abbiano compiuto 60 anni di età e che abbiano corrisposto i contributi …. per un periodo di almeno cinque anni di mandato …’, aggiungendo che il medesimo assegno, ‘tanto nella forma diretta quanto nella forma di reversibilità …, è cumulabile, senza detrazione alcuna, con ogni altro eventuale trattamento di quiescenza spettante, a qualsiasi titolo, al consigliere cessato dal mandato o agli aventi diritto alla reversibilità’…”(Cassazione, 20538 e 20542 del 2010).

Romina Morrone
nuovofiscooggi.it

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *