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L’esecuzione di una sentenza favorevole al contribuente da parte dell’Amministrazione non è acquiescenza – Cass. Civile, Sent. 766/2011

Soprattutto quando il comportamento dell’ufficio è finalizzato a evitare eventuali ulteriori aggravi di spese

La spontanea esecuzione di una sentenza favorevole al contribuente da parte dell’Amministrazione soccombente non equivale ad acquiescenza alla pronuncia e quindi non preclude l’impugnazione, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.
Così, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia, ha concluso la Cassazione nella sentenza n. 766 del 14 gennaio, ove è stato anche ribadito che, nel processo tributario, l’appello incidentale deve essere proposto a pena d’inammissibilità entro sessanta giorni dalla notificazione del ricorso principale, mentre l’eventuale intempestività è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

I gradi di merito e l’introduzione del giudizio di legittimità
Una società e due soci impugnavano dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Treviso le cartelle di pagamento relative a un ruolo straordinario concernente la riscossione provvisoria delle maggiori imposte derivanti da avvisi di accertamento per l’anno 1994.
Il giudice tributario riduceva a un terzo gli importi indicati nelle cartelle, sul rilievo dell’esistenza di un vizio del procedimento per la riscossione provvisoria.

L’ufficio appellava in via principale la pronuncia di primo grado, mentre il contribuente proponeva impugnazione incidentale.
Con sentenza del 14 dicembre 2004, la Commissione tributaria regionale del Veneto affermava l’ammissibilità dell’appello incidentale, ancorché proposto dalla società tardivamente, e, nel ritenere l’insussistenza dei presupposti per il ruolo straordinario, annullava lo stesso e la cartella impugnata.

Avverso la sfavorevole pronuncia di secondo grado, l’Agenzia delle Entrate ricorreva in sede di legittimità, deducendo tre motivi.
Nel secondo motivo di ricorso, in particolare, veniva denunciata violazione e falsa applicazione dell’articolo 54 del Dlgs 546/1992, per aver la Ctr, a fronte dell’accertato deposito dell’appello incidentale oltre il termine previsto, affermato che la tardività del deposito “non trova alcuna espressa sanzione nelle norme sul procedimento tributario e non ha pertanto rilevanza processuale, stante la regola generale della tassatività delle cause di nullità dettata dall’art. 156 c.p.c.”.

La parte privata resisteva con controricorso nel quale, in via preliminare, affermava l’inammissibilità del ricorso per cassazione dell’Agenzia, per aver l’ufficio provveduto allo sgravio del ruolo dopo la sentenza di secondo grado, in questo modo ponendo in essere un comportamento, a detta dell’interessato, di acquiescenza alla pronuncia del giudice tributario regionale, con conseguente preclusione della successiva impugnazione.

La sentenza della Suprema corte
Il collegio di piazza Cavour ha, in prima battuta, disatteso l’eccezione preliminare sollevata dal controricorrente, dichiarando la piena ammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia.
Richiamando alcuni precedenti in materia, nella sentenza 766/2011 i giudici di legittimità ribadiscono che l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’articolo 329 c.p.c. – configurabile solo anteriormente alla proposizione del ricorso, poiché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nelle forme di legge – consiste nell’accettazione della sentenza, vale a dire “nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita”.
L’accettazione tacita di una pronuncia sfavorevole, puntualizza poi la sentenza in commento, può ritenersi sussistente “soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronunzia, e cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione”.

Di contro, si legge ancora nella motivazione, la spontanea esecuzione della pronuncia favorevole al contribuente da parte dell’Amministrazione soccombente, anche quando la riserva d’impugnazione non venga resa nota allo stesso contribuente, “non comporta acquiescenza alla sentenza preclusiva dell’impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 329 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione (v. Cass., 20/8/2004, n. 16460; Cass., 2/3/2006, n. 4650; Cass., 6/12/2006, n. 26156; Cass., 27 maggio 2009, n. 12384)”.

In seconda battuta, la Cassazione rileva la fondatezza del motivo di ricorso sollevato dall’Agenzia circa la tardività dell’appello incidentale di controparte, rilevando, in applicazione del principio “già affermato da questa Corte (Cass., 23 luglio 2007, n. 16285; Cass., 19 maggio 2006, n. 11809)” che, nel processo tributario, “l’appello incidentale deve essere proposto a pena d’inammissibilità entro 60 giorni dalla notificazione del gravame, e l’intempestività di esso è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo”.

Dalla rilevata inammissibilità dell’appello incidentale della società contribuente, la Cassazione ha fatto poi scaturire l’accoglimento anche del terzo motivo di gravame con il quale l’Agenzia aveva lamentato la violazione da parte del giudice tributario regionale del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (articolo 112 cpc, secondo il quale “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa…”).
In definitiva, spiega la sentenza in commento, la Ctr non avrebbe dovuto dare ingresso a eccezioni (quelle appunto contenute nell’appello incidentale tardivo della controparte) che erano da ritenersi precluse con conseguente formazione di un giudicato interno su punti ormai cristallizzati in favore della parte pubblica.

In accoglimento del ricorso dell’Agenzia, la Corte ha quindi cassato la pronuncia impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti per la decisione nel merito, ha deciso con il rigetto del ricorso della società.

Considerazioni
La sentenza 766/2011 contiene dunque due affermazioni di principio di sicuro interesse.
Innanzitutto, viene riconfermato, sul solco di una corposa serie di precedenti, che non può parlarsi di acquiescenza a una sentenza – cui consegue la preclusione dell’impugnazione – per il solo fatto che si dia esecuzione alla stessa.
L’acquiescenza, secondo la giurisprudenza della Cassazione, si verifica infatti soltanto quando il soccombente ponga in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa e univoca, la volontà di non impugnare.
E tale non è necessariamente la spontanea esecuzione della pronuncia esecutiva favorevole al contribuente, appunto perché tale comportamento può essere determinato anche dalla finalità di evitare eventuali ulteriori aggravi di spese, per azioni esecutive.

Coerente con tale logica appare la recente circolare 49/2010, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che incombe sugli uffici l’obbligo di dare sistematica e puntuale esecuzione alle sentenze indipendentemente dal contenuto delle stesse, siano esse favorevoli o sfavorevoli all’Amministrazione finanziaria.

In particolare, quanto ai rimborsi che in base a pronunce giurisdizionali spettano ai contribuenti ai sensi dell’articolo 68, comma 2, del Dlgs 546/1992 – laddove si prevede che “Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza” –, il documento di prassi ha stabilito che non occorre attendere la notifica della sentenza favorevole al contribuente né alcuna specifica richiesta o sollecito e che piuttosto è necessario “restituire le somme versate in eccedenza subito dopo la comunicazione del dispositivo della sentenza da parte della Segreteria della Commissione tributaria, purché lo stesso contenga tutti gli elementi necessari alla determinazione dell’importo da rimborsare”.

Quanto al secondo aspetto d’interesse della pronuncia in esame, la Suprema corte ribadisce la regola interpretativa secondo la quale la proposizione dell’appello incidentale – che presuppone una soccombenza, seppure parziale, della parte che intende avvalersene – soggiace a un termine perentorio oltre il quale lo stesso è inammissibile.
Invero, in base al comma 1 dell’articolo 54 del Dlgs 546/1992, “le parti diverse dall’appellante debbono costituirsi nei modi e termini di cui all’art. 23 depositando apposito atto di controdeduzioni”, mentre ai sensi del successivo comma 2 “nello stesso atto depositato nei modi e termini di cui al precedente comma può essere proposto, a pena d’inammissibilità, appello incidentale”.

Il combinato disposto delle due norme appena richiamate viene interpretato dalla costante giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sentenze 11809/2006, 16285/2007, 8785/2008, quest’ultima commentata in FiscoOggi del 5 maggio 2008) nel senso che l’impugnazione incidentale va proposta perentoriamente entro sessanta giorni dal giorno in cui l’appello principale è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale, mentre l’eventuale intempestività – in quanto attinente a un presupposto processuale dell’azione – può essere rilevata anche dal giudice d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Massimo Cancedda
www.nuovofiscooggi.it

 

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