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Giustizia sportiva e lodo arbitrale sportivo – Consiglio di Stato, Sentenza n. 831 del 08/02/2011

I Giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che il lodo arbitrale sportivo è un atto avente natura di provvedimento amministrativo, pertanto, ove incidente su interessi legittimi (e non solo, dunque, su aspetti tecnici o disciplinari afferenti al cd. “demerito sportivo”) è soggetto al consueto giudizio del giudice amministrativo.

In sintesi: l’arbitrato sportivo (rituale o irrituale) reso dall’ordinamento sportivo, quale espressione della giustizia sportiva, non limita né impedisce il relativo controllo di legittimità da parte dell’ordinamento generale e dei giudici che ne sono espressione.

Del medesimo tenore, tra l’altro, sono state diverse sentenze emesse dal Consiglio di Stato negli anni 2008 e 2009 (ex multis: Cons. Stato, sent. n. 2333/2009; sent. n. 5782/2008…) ed afferenti il summenzionato “demerito tecnico”. I giudici amministrativi di secondo grado hanno più volte ribadito che se la sanzione, ad esempio, non fa perdere lo status di tesserato e la questione rimane tutta interna alla giustizia sportiva, non esiste nessun problema; se, al contrario, la decisione resa dalla giustizia sportiva dovesse involgere aspetti non solo disciplinari o tecnici, dopo l’esperimento di tutti i ricorsi interni, si conferma la possibilità per i soggetti di adire il giudice naturale.

Dunque, laddove la sanzione comminata in sede di giustizia sportiva non esaurisca i propri effetti all’interno del solo ordinamento sportivo interviene il necessario controllo dei giudici appartenenti all’ordinamento generale.

A ogni buon fine, si rammenta che l’ordinamento sportivo è un ordinamento giuridico autonomo, operante all’interno dell’ordinamento generale, che coinvolge il CONI, le diverse federazioni, le associazioni sportive e gli atleti. Se si volesse fornire una nozione dell’ordinamento sportivo, lo si potrebbe fare definendolo come un “insieme organico di regole, disciplinari e tecniche, applicabile alle federazioni sportive”.
Inizialmente, vale a dire prima della Legge del 2003, esisteva il cd “vincolo di giustizia” che si realizzava attraverso l’inserimento, nei vari contratti, di clausole compromissorie per le controversie connesse all’attività sportiva. Ma, già all’epoca, tale clausola era limitata alle controversie disciplinari, tecniche, amministrative, economiche che non intaccassero altre posizioni giuridiche amministrative.

Il problema, dunque, si pose (e si pone) con riferimento alle decisioni disciplinari che finiscono per incidere sullo status del soggetto e che, pertanto, involgono aspetti problematici anche in ordine al possibile conflitto tra la giurisdizione sportiva e quella amministrativa.
Non è un a novità che la linea di confine tra le due giurisdizioni è da sempre campo di incertezze interpretative.
La L. n. 280/2003 (normativa che disciplina i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale), nel tentativo di risolvere i dubbi interpretativi, non ha fatto altro che formalizzare legislativamente quanto si era già consolidato in giurisprudenza circa la determinazione del riparto: essa avveniva (ed avviene) in base al “criterio della valenza meramente sportiva” o meno della questione controversa. Dunque, qualunque controversia su provvedimenti degli organi sportivi che non sia riservata agli organi di giustizia sportiva (e che, quindi, ha rilevanza non solo sportiva) è affidata al giudice amministrativo (in particolare, si è stabilita la giurisdizione esclusiva di primo grado in capo al al TAR Lazio), fermo restando l’obbligo di esperimento preventivo dei gradi di giustizia innanzi agli organi di giustizia sportiva.

Resta ferma, invece, la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie patrimoniali vertenti tra le società, le  associazioni e gli atleti.

(Litis.it, 4 Marzo 2011 – nota di Samantha Mendicino)

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 831 del 08/02/2011

FATTO

L’associazione Giulemanidallajuve chiede la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso n. 12270 del 2006, proposto avverso il lodo arbitrale deliberato il 27 ottobre 2006 dalla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del Comitato olimpico nazionale nel procedimento promosso dalla Juventus football club s.p.a., lodo che ha confermato le sanzioni inflitte a tale società, per le stagioni 2004-2005 e 2005-2006, riducendole per la stagione 2006-2007, dalla Corte federale della Federazione italiana gioco calcio con decisione del 25 luglio 2006.
Avverso la medesima sentenza ha proposto appello incidentale la suddetta Federazione, sollevando eccezione di difetto di giurisdizione e sottolineando profili di inammissibilità del ricorso di primo grado, ulteriori rispetto a quelli esaminati dal Tar.

Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2011 le parti hanno ribadito le proprie tesi e l’appello è passato in decisione.

DIRITTO

La sentenza impugnata, che ha dichiarato inammissibile il ricorso n. 12270 del 2006 proposto dalla associazione GiulemanidallaJuve per contestare il lodo arbitrale di cui in narrativa, merita conferma.

I) Per quanto riguarda la questione di giurisdizione, riproposta con l’appello incidentale della FIGC e preliminare all’esame di ogni altra questione, questo Consiglio di Stato (per tutte, sez. VI, 25 gennaio 2007, n. 268) ha già avuto modo di considerare che l’arbitrato sportivo libero od irrituale (in ipotesi, riferibile pure agli interessi legittimi, oltre che ai diritti soggettivi ex art. 11, l. n. 241 del 1990 ed art. 3, l. n. 280 del 2003) non si sostituisce alla giustizia resa dagli organi giudiziari dello Stato, ma sfocia in un atto – il lodo – avente natura di provvedimento amministrativo, espressivo della volontà ultima dell’ordinamento sportivo, conseguente all’esaurimento dei vari gradi interni di gravame. Come tale il lodo, ove incidente su interessi legittimi, è soggetto all’ordinario giudizio di legittimità del giudice amministrativo.

Da tale principio il Collegio non ha motivo di discostarsi: deve pertanto concludersi nel senso della sussistenza della giurisdizione amministrativa a conoscere della controversia in esame, come ha ritenuto il Tar.

II) L’associazione ricorrente, costituita in data 30 agosto 2006, in data, cioè, successiva alla definizione del procedimento disciplinare da parte della Corte federale, difetta di legittimazione ad agire in giudizio per la tutela degli interessi dedotti davanti a Tar.
Già dalla successione delle date sopra evidenziata emerge la strumentalità della creazione del soggetto ricorrente rispetto alla azione in giudizio, sottolineata anche dalla estraneità all’ordinamento sportivo della neoformazione sociale e alla accettazione del lodo da parte della Juventus spa, soggetto proponente.

Un tale modus operandi – non rilevando in questa sede se avrebbe potuto consentire l’intervento della associazione nel corso del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 9 legge 7 agosto 1990, n. 241 – di certo non può far ravvisare la sussistenza di un interesse collettivo, di per sé tutelabile innanzi al giudice amministrativo.

La legittimazione a ricorrere di un ente esponenziale in sede di giurisdizione amministrativa presuppone infatti la lesione dell’interesse collettivo perseguito dall’associazione dotata di una struttura e di una organizzazione, nonché la mancata qualificazione dell’iniziativa processuale come sostituzione processuale.

Circa il primo profilo, dalla documentazione acquisita risulta che l’associazione appellante, in quanto creata ad hoc, non è dotata di alcuna struttura od organizzazione, tali da poterla far considerare un effettivo centro di riferimento di interessi diffusi.

Circa il secondo profilo, rileva l’art. 81 del codice di procedura civile, espressivo di un principio generale rilevante anche per il processo amministrativo, per il quale – salvi i casi previsti dalla legge – nessun può far valere nel processo una altrui posizione giuridica.

Nel caso di specie, rileva il fatto che l’associazione appellante – anche col ricorso di primo grado – ha dedotto che tra i suoi associati vi sono ‘azionisti’ della s.p.a. Juventus Football Club e ‘tifosi simpatizzati’, e che l’iniziativa processuale in esame ha mirato a dare tutela, complessivamente, agli azionisti e ai tifosi.
Osserva al riguardo il collegio che il soggetto direttamente leso dal lodo – la s.p.a. Juventus Football Club – lo aveva in precedenza impugnato con un distinto ricorso al TAR (n. 8049 del 2006), poi depositando un atto di rinunzia.

Emerge quindi che gli azionisti – con la formazione ad hoc dell’ente esponenziale e la conseguente proposizione del ricorso di primo grado – hanno mirato a vanificare gli effetti della scelta degli organi societari di rinunciare al ricorso e – in definitiva – hanno voluto proporre (per il tramite dell’ente esponenziale) un ricorso distinto, autoqualificandosi portatori di un interesse parallelo a quello della società (che aveva compiuto proprie scelte), ciò che non è consentito dal principio desumibile dal richiamato art. 81.

Infatti, la posizione giuridica degli azionisti è presa in considerazione della normativa sulle società, riguardante tra l’altro la formazione della volontà che si esprime nelle delibere societarie: in assenza di una disposizione che lo consenta, essi non possono, a titolo individuale (o creando ad hoc una ente associativo) proporre ricorsi al giudice amministrativo, assumendo iniziative opposte a quelle assunte dagli organi societari.

Quanto ai ‘tifosi simpatizzanti’, essi di per sé costituiscono una categoria che, a maggior ragione rispetto agli azionisti, non può costituire un ente esponenziale al solo scopo di impugnare in sede giurisdizionale l’atto che leda la società sportiva di riferimento.

Essi, per definizione, non sono lesi dal medesimo atto, né sotto il profilo patrimoniale, né sotto quello non patrimoniale, e neppure possono assumere iniziative processuali tendenti a vanificare le determinazioni della società, essa sì legittimata a contestare il provvedimento per essa lesivo.

L’associazione appellante, infine, ha fondato la propria legittimazione sulla dedotta lesione della ‘propria immagine’, perché il contestato lodo – nell’aver constatato la sussistenza di illeciti commessi dalla società di riferimento – avrebbe negativamente inciso sull’immagine dei tifosi e, conseguentemente, dell’ente esponenziale.

Osserva al riguardo il collegio che – pur essendo comprensibile come i tifosi simpatizzanti siano rimasti contrariati dalle vicende che hanno condotto alla pronuncia della giustizia sportiva e al lodo – l’atto impugnato in primo grado, avendo colpito specifiche responsabilità, non ha in alcun modo inciso sull’immagine della associazione in quanto tale, né di coloro che hanno deciso di farne parte.

III) In conclusione, l’appello principale è infondato e deve essere respinto: di conseguenza, le ulteriori censure contenute nell’appello incidentale diventano improcedibili, e la sentenza impugnata merita conferma.
Le spese del secondo grado del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato n. 8720 del 2008, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata del Tar del Lazio, 5 giugno 2008, n. 5492, resa sul ricorso n. 12270 del 2006.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale proposto dalla s.p.a. Football club Internazionale.

Condanna l’appellante a rifondere al Coni, alla Figc e alla s.p.a Football club Internazionale le spese del giudizio, nella misura di 12.000 (dodicimila) euro per ognuno di essi, oltre Iva e Cpa, e al Ministero resistente nella misura di 1.000 (mille) euro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA l’8 febbraio 2011

 

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