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Autorizzazione al possesso di armi. Ampio potere discrezionale per esigenze di ordine pubblico – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3245/2011

Il potere attribuito in materia autorizzazioni di polizia concernenti il possesso e l’uso delle armi è connotato da elevata discrezionalità in considerazione delle finalità per cui il potere stesso è attribuito. Il fine perseguito è, infatti, la tutela dell’ordine pubblico, non solo in caso di accertato abuso, ma anche in caso di pericolo di abuso. Quella dell’Amministrazione è, quindi, una valutazione ad ampio spettro che dà prevalenza alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica rispetto a quelle del privato che aspira al porto dell’arma (Cons. di Stato, sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576; sez. VI, 19 gennaio 2007, n. 107).

Ne consegue che il rilascio delle autorizzazioni di polizia rappresenta un’eccezione al generale divieto imposto ai cittadini sia di detenere, che di usare armi, in nome del primario interesse alla preservazione dell’incolumità dei cittadini stessi. Proprio in ragione di ciò, l’autorità preposta è chiamata a compiere una discrezionale valutazione circa la capacità del soggetto richiedente di garantire la capacità di non abusare delle armi stesse. Tale giudizio di affidabilità non è basato solo sull’accertamento di condanne penali passate in giudicato emesse nei confronti del richiedente, ma può essere anche meramente prognostico e indiziario quindi fondato sulla complessiva condotta di vita tenuta dal medesimo, la quale deve essere scevra da mende.

Ne discende che, anche dopo il rilascio delle autorizzazione, ogni qual volta l’Autorità ritenga che il soggetto titolare di porto d’armi non dia, in ragione del proprio comportamento, garanzia di piena affidabilità circa il non abuso delle armi, essa è tenuta ad intervenire revocando i provvedimenti autorizzatori ed imponendo il divieto di detenzione di armi e munizioni.

(© Litis.it, 31 Maggio 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 3245 del 30/05/2011

FATTO

Il sig. [OMISSIS] riceveva, nel maggio 2007, la notifica di un atto del Prefetto di Brescia (prot. n. 9051/DDA) che gli vietava, in relazione ad una imputazione per reato di associazione mafiosa, di detenere qualsivoglia arma, munizione o materiale esplodente, atto che impugnava con ricorso sub R.G. 674/2007 dinanzi al Tar Lombardia, sede di Brescia.

Nelle more del giudizio il Prefetto respingeva la richiesta di revoca di detto provvedimento, facendo riferimento, nelle premesse del decreto 9051/DDA del 2 luglio 2009, ad una nota del Comando Provinciale Carabinieri di Brescia nella quale si dava atto che “la condotta manifestata nel tempo dal Sig. [OMISSIS] è tale da fare ragionevolmente dubitare circa il possesso da parte del predetto del requisito di affidabilità richiesto per la detenzione di armi”.

Il sig. [OMISSIS] esercitava il diritto di accesso al fine di visionare la citata lettera del Comando dei Carabinieri, ma alla domanda veniva opposto un divieto di ostensione ai sensi dell’art. 3 del Regolamento del Ministero dell’Interno del 10 maggio 1994.

L’interessato impugnava, quindi, anche il provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca e congiuntamente faceva valere l’illegittimità del diniego all’accesso agli atti, contestualmente richiedendo la riunione con il primo ricorso incardinato presso lo stesso Tribunale.

Riuniti i due ricorsi e preso atto della rinuncia alla domanda di accertamento del diritto di accesso agli atti, atteso che l’Amministrazione intimata aveva prodotto copia della nota citata nel provvedimento impugnato con il secondo ricorso, il Tar riteneva il primo ricorso n.674 del 2009, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, il secondo ricorso n. 1005 del 2009, infondato nel merito.

Avverso la sentenza del Tar Lombardia presentava l’odierno appello il ricorrente deducendo plurimi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere.

L’Amministrazione intimata si è costituita senza tuttavia depositare memorie difensive.

La causa è stata trattenuta per la decisione all’udienza del 6 maggio 2011.

DIRITTO

1. L’appello non merita accoglimento.

Con il ricorso n. RG 674/2007 veniva censurato in primo grado il divieto di detenzione di armi e munizioni intimato al ricorrente nelle more di un procedimento penale instaurato nei suoi confronti.

Con il secondo ricorso n. 1005/2009 veniva censurato il provvedimento negativo adottato a seguito della richiesta di riesame inoltrata in esito all’intervenuta assoluzione dall’imputazione del reato di associazione mafiosa perché il fatto non sussiste.

2. Con una prima doglianza il ricorrente si duole che il Tar abbia erroneamente dichiarato improcedibile il primo ricorso ritenendo il provvedimento ivi impugnato, superato dal successivo provvedimento di rigetto della istanza di riesame.

Secondo il ricorrente il Tar avrebbe prima dovuto esaminare il primo ricorso che, se ritenuto fondato, avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di improcedibilità del secondo ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

2.1. La doglianza non merita accoglimento risultando che il Prefetto, nel diniego del provvedimento di revoca, abbia integralmente riesercitato il proprio potere di valutazione in ottemperanza alla richiesta dell’istante mediante una ulteriore e più complessiva valutazione della personalità dello stesso, tale da determinare il superamento del primo provvedimento impugnato.

3. Con ulteriore doglianza l’appellante assume che la motivazione addotta per negare l’autorizzazione sarebbe inidonea, in quanto si sostanzierebbe in una formula stereotipata che non considererebbe le circostanze specifiche mentre il giudizio prognostico che ne è risultato sarebbe dubitativo, non sostanziandosi in quella valutazione di non affidabilità che la norma e la giurisprudenza richiedono.

Ed invero una volta ritenuta dallo stesso Tar irrilevante la vicenda che ha visto il [OMISSIS] vittima di un procedimento penale conclusosi con il proscioglimento dello stesso, la amministrazione avrebbe dovuto tenere conto che la maggior parte dei fatti era risalente a 20 o 30 anni prima.

Gli unici due fatti recenti risalivano ad otto anni prima, per ebbrezza alcolica, e a quattro anni prima, per guida in stato di ebbrezza. Fatti questi che per l’appellante potevano avere ben scarso rilievo e comunque avrebbero richiesto una motivazione più articolata rispetto a quella laconica contenuta nel provvedimento.

3.1 Tali censure, tuttavia, non meritano accoglimento.

Come è stato chiarito dalla giurisprudenza, il potere attribuito in materia autorizzazioni di polizia concernenti il possesso e l’uso delle armi è connotato da elevata discrezionalità in considerazione delle finalità per cui il potere stesso è attribuito. Il fine perseguito è, infatti, la tutela dell’ordine pubblico, non solo in caso di accertato abuso, ma anche in caso di pericolo di abuso. Quella dell’Amministrazione è, quindi, una valutazione ad ampio spettro che dà prevalenza alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica rispetto a quelle del privato che aspira al porto dell’arma (Cons. di Stato, sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576; sez. VI, 19 gennaio 2007, n. 107).

Ne consegue che il rilascio delle autorizzazioni di polizia rappresenta un’eccezione al generale divieto imposto ai cittadini sia di detenere, che di usare armi, in nome del primario interesse alla preservazione dell’incolumità dei cittadini stessi. Proprio in ragione di ciò, l’autorità preposta è chiamata a compiere una discrezionale valutazione circa la capacità del soggetto richiedente di garantire la capacità di non abusare delle armi stesse. Tale giudizio di affidabilità non è basato solo sull’accertamento di condanne penali passate in giudicato emesse nei confronti del richiedente, ma può essere anche meramente prognostico e indiziario quindi fondato sulla complessiva condotta di vita tenuta dal medesimo, la quale deve essere scevra da mende.

Ne discende che, anche dopo il rilascio delle autorizzazione, ogni qual volta l’Autorità ritenga che il soggetto titolare di porto d’armi non dia, in ragione del proprio comportamento, garanzia di piena affidabilità circa il non abuso delle armi, essa è tenuta ad intervenire revocando i provvedimenti autorizzatori ed imponendo il divieto di detenzione di armi e munizioni.

Nel caso di specie, l’Autorità, a seguito dell’ultimo comportamento penalmente rilevante contestato al ricorrente, ha sospeso il porto d’armi ed emesso il divieto di detenzione di esse tenendo conto non di tale fatto che ha portato alla successiva assoluzione, bensì della condotta complessivamente tenuta dal ricorrente negli anni pregressi, ritenuta essere indice di non affidabilità del sig. [OMISSIS].

Nel provvedimento di secondo grado, infatti, l’amministrazione ha ritenuto che “.. la condotta manifestata nel tempo dal sig. [OMISSIS] è tale da fare ragionevolmente dubitare circa il possesso da parte del predetto del requisito di affidabilità richiesto per la detenzione di armi”. Ciò, con un rinvio per relationem alla nota del Comando Provinciale dei Carabinieri che dà espressamente atto delle seguenti circostanze:

a) il sig. [OMISSIS] era stato deferito all’autorità giudiziaria in stato di libertà nelle seguenti occasioni:

– il 3.10.1978: per detenzione abusiva di armi comuni da sparo;

– il 20.05.1979: per associazione a delinquere e ricettazione;

– il 18.08.1982: per truffa;

– il 14.11.2001: per ebbrezza alcolica, rispetto a cui è intervenuta l’oblazione;

– il 21.05.2005: per guida in stato di ebbrezza, fatto per cui è stato condannato dal GIP di Brescia in data 8 novembre 2006 e per il quale è poi intervenuto il condono;

b) il 15.10.1984 il sig. [OMISSIS] è stato tratto in arresto per associazione a delinquere e ricettazione;

c) il 26.06.1984 è stato sottoposto al provvedimento di “diffida” dalla Questura di Brescia;

d) lo stesso è stato sottoposto a procedimento penale (R.G. 17901/04) per associazione mafiosa, da cui è stato assolto nel 2009 perché il fatto non sussiste.

L’insieme di tali circostanze porta a ritenere del tutto legittimo ed adeguatamente motivato per relationem il giudizio prognostico formulato dalla Prefettura, sulla scorta di adeguata istruttoria .

Si sottolinea infatti che i provvedimenti negativi, in questa materia, sono sufficientemente motivati mediante il riferimento a fatti idonei a far dubitare, anche solo per indizi, della sussistenza dei requisiti di affidabilità richiesti dalla normativa, fermo restando che rientra nella discrezionalità amministrativa la valutazione, ai fini del giudizio, di singoli episodi, anche risalenti nel tempo e anche risultati privi di rilevanza penale.

Inoltre, la motivazione del provvedimento ex art. 43, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, non richiede una particolare ostensione dell’apparato giustificativo, potendo la stessa essere censurabile solo se del tutto carente, o se manifestamente illogica o arbitraria .

4. In conclusione l’appello non merita accoglimento.

5. Tuttavia sussistono motivi per la peculiarità della vicenda per compensare spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pier Luigi Lodi, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Hadrian Simonetti, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 30/05/2011

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