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La Cassazione stronca le mance: “una deplorevole abitudine” – Cassazione Civile, Sezione Sesta, Orddinanza n. 13425/2011

Secondo la Cassazione dare mance ai dipendenti delle Poste è «una riprovevole e annosa abitudine». La titolare di un ufficio postale in provincia di Rieti è stata sanzionata da Poste Italiane per aver affisso senza il permesso della direzione un cartello nel quale «si invitava la clientela a non elargire mance al personale». La signora era stata sospesa dal servizio e della retribuzione per due giorni: il rimprovero che le era stato mosso riguardava l’affissione del cartello e una giacenza di posta arretrata. Il Tribunale di Roma ha confermato la sanzione, ma la Corte di Appello ne ha dichiarato l’illegittimità.

La Cassazione ha dato ragione alla signora, la quale «nella vicenda ha mostrato serietà e attaccamento all’azienda adoperandosi preliminarmente presso il personale alle sue dipendenze al fine di interrompere una riprovevole ed annosa abitudine, che coinvolgeva il personale stesso». E’ vero che il cartello poteva provocare «disagio fra gli utenti, d’altro canto è pur vero che potrebbe aver determinato, dopo incontestate ed esplicite disposizioni impartite dalla titolare ai dipendenti, un senso di serietà o quanto meno di solerte intervento da parte della titolare dell’ufficio postale».

Cassazione Civile, sezione Sesta, Orddinanza n. 13425 del 17/06/2011
 
La Corte,

letta la relazione del Cons. Paolo Stile;

udite le richieste del P.M., dott. Ignazio Patrone;

esaminati gli atti, osserva:
 
Con ricorso depositato il 28.11 05, [OMISSIS], reggente e poi titolare dell’Ufficio Postale [OMISSIS], proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Rieti con cui era stata dichiarata legittima la sanzione inflittale dalla società Poste il 20.10.03, consistente nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione per due giorni, in conseguenza dei due addebiti contestatile (avere affisso un cartello con cui si invitava la clientela a non elargire mance al personale; per essere stata constatata una giacenza di corrispondenza nel suo ufficio di circa 120 Kg). Instauratosi il contraddittorio la Corte di Appello di Roma, con sentenza n 6932/08, in riforma della impugnata decisione di primo grado, dichiarava l’illegittimità della adottata sanzione.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre Poste Italiane spa.

Resiste la [OMISSIS] con controricorso.
 
Diritto
 
Il ricorso di Poste Italiane spa si fonda su due motivi: 1. violazione e falsa applicazione degli artt. 51, 52 e 53 del CCNL del 2003 e degli artt. 2104 e 2106 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.); 2. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.). Entrambi i motivi non possono trovare accoglimento.

La Corte territoriale, con motivazione priva di vizi logici, ha accertato che la [OMISSIS] nella vicenda ha mostrato serietà ed attaccamento all’azienda, adoperandosi preliminarmente presso il personale alle sue dipendenze al fine di interrompere una riprovevole ed annosa abitudine, che coinvolgeva il personale stesso, cioè quella di accertare eventuali mance dai clienti e poi affiggendo il cartello in contestazione con la dicitura “si prega cortesemente la gentile clientela di non lasciare compensi (mance) ai dipendenti Poste ltaliane spa”.

1. La sentenza impugnata, quanto all’affissione del cartello ha stabilito che se è pur vero che potrebbe per un verso sostenersi che essa fosse idonea a determinare disagio tra gli utenti, d’altro canto è pur vero che potrebbe aver determinato, dopo incontestate ed esplicite disposizioni in tal senso impartite dalla [OMISSIS] ai dipendenti ai sensi dell’art. 51 CCNL (che vieta l’accettazione di mance da parte dei dipendenti), un senso di serietà o quanto meno di solerte intervento da parte della titolare dell’ UP.

Pertanto, nella fattispecie in esame -come lascia intendere il Giudice a quo – la condotta della D’ A. lungi dal dover essere censurata per mancanza del dovere di diligenza sancito dall’art. 2104 c.c. e del dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., o per violazione di norme contrattuali, doveva e deve essere considerata idonea a salvaguardare il buon nome e l’immagine dell’azienda, atteso che gli artt. 2104 e 1176 c.c. impongono al lavoratore di eseguire la prestazione, anche in assenza di specifiche direttive del datore di lavoro, come nel caso di specie, secondo la particolare qualità dell’attività dovuta, risultante dalle mansioni e dai profili professionali che la definiscono, e di osservare altresì tutti quei comportamenti accessori e quelle cautele che si rendano necessari ad assicurare una gestione professionalmente corretta. (Cass. Civ. sez. Lav. n. 12769/2000)

Anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in quanto le censure contenute in tale motivo di ricorso appaiono attinenti a valutazioni e accertamenti fattuali, inammissibili in questa sede. In particolare, in merito alle circostanze che avrebbero determinato la giacenza della corrispondenza, la Corte territoriale ha dato una motivazione convincente ed immune da vizi logici, suffragata tra l’altro, anche in questo caso da dati probatori documentali e testimoniali.

Non risultando nell’ iter argomentativo della Corte territoriale i denunciati vizi, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dìspositivo, seguono la soccombenza
 
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in 30,00 oltre € 1.500,00 per onorari ed oltre spese generali, 1VA e CPA.

Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2011

 

 

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