Corte Costituzionale

Giustizia amministrativa – Primi referendari e referendari dei Tribunali amministrativi regionali – Corte Costituzionale Sentenza n. 273/2011

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Corte Costituzionale Sentenza n. 273 del 21/10/2011

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con una ordinanza del 20 dicembre, tre ordinanze del 13 dicembre e due ordinanze del 20 dicembre 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 32, 33, ed ai nn. da 42 a 45 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9 e 12, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di Polito Bruno Rosario ed altro e di Montedoro Giancarlo ed altri nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Andrea Panzarola per Montedoro Giancarlo ed altri, Paola Conticiani per Polito Bruno Rosario ed altro e l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sei ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, emesse il 13 dicembre 2010 (R.o. nn. 33, 42 e 43/2011) e il 20 dicembre 2010 (R.o. nn. 32, 44 e 45/2011) nell’àmbito di distinti giudizi amministrativi aventi ad oggetto l’accesso di consiglieri di TAR nei ruoli del Consiglio di Stato e il riconoscimento della relativa anzianità di servizio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Cinque dei sei giudizi a quibus sono stati proposti per l’annullamento di delibere del Consiglio di Presidenza di giustizia amministrativa (in data 3 novembre 2004, 15 giugno 2007, 13 settembre 2007, 28 novembre 2007) che hanno riconosciuto a consiglieri di tribunali amministrativi regionali, all’atto della nomina a consiglieri di Stato, l’anzianità acquisita nella qualifica di consigliere di TAR nel limite di cinque anni. Nel giudizio in cui è stata emessa l’ordinanza n. 32 del 2011 è stata, invece, impugnata la nota del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio n. 2015 dell’8 marzo 2006 che, andando in contrario avviso rispetto a quanto statuito nella menzionata delibera del 3 novembre 2004 del Consiglio di Presidenza, ha stabilito che l’anzianità prevista dall’art. 23, quinto comma, della legge n. 186 del 1982 non poteva essere riconosciuta ai ricorrenti.

La disposizione censurata prevede che «salvo quanto previsto nel quarto comma del precedente articolo 21» (ovvero per l’anzianità maturata ai fini della nomina a Presidente di TAR), «i primi referendari e referendari dei tribunali amministrativi regionali in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge [e cioè alla data del 12 maggio 1982] conservano, all’atto della nomina a consigliere di Stato, l’anzianità acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale nel limite di cinque anni, fatta salva la valutazione degli effetti economici e prendono posto nel ruolo secondo la predetta anzianità». La lettera della norma è chiara nel limitare il beneficio ai magistrati in servizio alla data del 12 maggio 1982, condizione che non ricorre per tutti i consiglieri di Stato che sono parti nei giudizi a quibus. Non sussisterebbe, inoltre, alcuna possibilità di interpretazione estensiva o alcuna ipotizzabile interpretazione costituzionalmente orientata, che conduca ad accordare il beneficio richiesto. Su queste premesse, i giudici a quibus hanno concordemente ritenuto necessario, per la definizione dei rispettivi giudizi, sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge n. 186 del 1982, che pertanto sarebbe rilevante.

1.1. – Il rimettente premette che il sistema complessivo di organizzazione della giustizia amministrativa si è venuto formando a séguito di stratificazioni normative prive di un razionale coordinamento, che, per quanto attiene specificamente alla fisionomia della carriera di magistratura, presenterebbe seri problemi di compatibilità con le norme costituzionali. Si rammenta, in proposito, che il modello organizzativo adottato per i TAR, all’atto della loro istituzione con legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), appariva fin dall’origine disomogeneo rispetto a quello del Consiglio di Stato e che un ulteriore elemento di differenziazione si è determinato quando è stato abolito il referendariato presso il Consiglio di Stato (art. 1, primo comma, della legge n. 186 del 1982). Mentre infatti i TAR, in base all’art. 6 della legge testé citata sono composti, come per il passato, da Presidenti di tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari, le ultime due qualifiche sono state abolite presso il Consiglio di Stato, che, dopo il 1982, risulta composto soltanto dal rispettivo Presidente, dai 6 Presidenti di sezione e dai consiglieri. Fra i posti che si rendono vacanti nella qualifica di consigliere di Stato, l’art. 19 della citata legge n. 186 del 1982 ne riserva la metà a consiglieri di TAR che ne facciano domanda e che abbiano almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. I magistrati che, a séguito di giudizio favorevole espresso dal Consiglio di Presidenza a maggioranza dei suoi componenti, sono dichiarati idonei, assumono la qualifica di consigliere di Stato, conservando l’anzianità maturata nella qualifica di consigliere di TAR ai soli effetti della nomina a Presidente di TAR (come risulta dagli artt. 19, n. 1, e 21, quarto comma, della stessa legge n. 186). La predetta anzianità viene valutata nella sua interezza unicamente ai fini dell’accesso alla Presidenza dei TAR, non invece per il conferimento della qualifica di Presidente di sezione del Consiglio di Stato. In questo modo, osserva il rimettente, si è introdotta una divaricazione di carriera che considera l’anzianità maturata presso i TAR come parametro differenziale, a seconda che si debbano coprire posti direttivi presso i TAR ovvero presso il Consiglio di Stato. E ciò nonostante tali incarichi direttivi siano comunque considerati equivalenti, ai sensi dell’art. 14, n. 2, della legge n. 186 del 1982. Il regime di accesso cosí determinatosi penalizzerebbe, per un verso, i consiglieri di TAR nel trasferimento alle qualifiche direttive presso il Consiglio di Stato; per altro verso, i consiglieri di Stato nell’assunzione delle presidenze presso i TAR, e non dispiegherebbe il proprio effetto discriminatorio solo nel momento di assunzione degli incarichi direttivi, ma avrebbe un riverbero sull’intero percorso di carriera. Per queste ragioni la disposizione oggetto di censura determinerebbe una disparità di trattamento all’atto dell’ingresso nei ruoli del Consiglio di Stato tra quanti si sono avvalsi del beneficio da essa accordato e quanti non possono avvalersene per un mero fattore temporale.

L’art. 17 della citata legge n. 1034 del 1971 aveva salvaguardato il riconoscimento dell’intera anzianità maturata nella qualifica di consigliere di TAR al momento dell’accesso al Consiglio di Stato, ma l’art. 23, quarto comma, della legge n. 186 del 1982 ha conservato tale previsione solo per i consiglieri di TAR in servizio alla data di entrata in vigore della predetta legge, cosí determinando, secondo il rimettente, un’assoluta irragionevolezza e disparità di trattamento tra posizioni di carriera sostanzialmente e formalmente indifferenziate.

Il quadro che risulta dal sovrapporsi delle discipline del 1971 e del 1982 vede attualmente convivere: a) il riconoscimento di tutta l’anzianità maturata nella qualifica per i consiglieri di TAR in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982; b) il riconoscimento di un’anzianità fittizia di cinque anni per i primi referendari o referendari in servizio presso i TAR alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 186 del 1982; c) nessun riconoscimento dell’anzianità maturata per i magistrati di TAR non ancora in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982. Quest’ultimo è il caso che ricorre per i consiglieri di Stato che sono parti nei giudizi a quibus.

Il giudice a quo sostiene che dall’art. 107 Cost. sarebbe desumibile il principio generale secondo cui le funzioni giurisdizionali sono omogenee in qualunque grado siano esercitate, con la conseguenza che le funzioni giurisdizionali svolte in primo grado non potrebbero non essere considerate ai fini dell’anzianità di servizio, al momento del passaggio alla magistratura di appello.

Il differenziato regime giuridico posto dalla norma oggetto di censura, prosegue il rimettente, non sarebbe giustificato in relazione ad alcuna corrispondente peculiarità dei referendari e primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della citata legge del 1982. Anche il regime di accesso dei magistrati in servizio nel 1982 è rimasto, infatti, invariato rispetto ai magistrati entrati in ruolo successivamente.

La violazione del principio di eguaglianza sarebbe palese anche rispetto all’inserimento nei ruoli del Consiglio di Stato di magistrati di nomina governativa, che, pur quando difettino di ogni pregressa esperienza giurisdizionale, hanno anzianità nella qualifica di consigliere di Stato riferita al tempo della nomina, analoga, dunque, a quella dei magistrati provenienti dai TAR. Con l’effetto che sarebbero irragionevolmente trattate allo stesso modo situazioni profondamente differenti, quali l’esercizio di funzioni giurisdizionali – che sono prioritarie nelle competenze del Consiglio di Stato – e attività ad esse disomogenee per natura e funzione.

Il carattere palesemente discriminatorio della disciplina risulterebbe anche dal confronto con i principi che governano il pubblico impiego e, piú specificamente, la magistratura ordinaria e contabile. L’art. 200, terzo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), tuttora applicabile alla categoria del pubblico impiego non privatizzato, enuncia in effetti il principio generale di conservazione dell’anzianità di carriera e della qualifica acquisita.

1.2. – Il carattere estemporaneo e perciò irragionevole del denunciato art. 23, quinto comma, emergerebbe inoltre dalla sua contraddittorietà logica rispetto alla ratio dell’atto normativo nel quale esso è inserito e alla volontà del legislatore di riforma del 1982, come esplicitata nei lavori preparatori.

Quanto alla prima, il già menzionato art. 21 della legge n. 186 del 1982, nell’equiparare, al primo comma, i consiglieri di Stato e i consiglieri di TAR con otto anni di anzianità nelle rispettive qualifiche ai fini della nomina a Presidente di sezione del Consiglio di Stato e di Presidente di TAR, presuppone e ribadisce evidentemente l’uniformità delle funzioni giurisdizionali svolte con la qualifica di consigliere in primo grado e in appello. L’equiparazione fra consiglieri di Stato e consiglieri di TAR con pari anzianità non verrebbe meno neppure sotto il profilo economico: il sesto comma del medesimo art. 21 dispone, infatti, che al compimento dell’anzianità di otto anni nella qualifica, essi conseguono il trattamento economico inerente alla qualifica di magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori. La stessa legge istitutiva dei TAR, all’art. 13, distinguendo tra le qualifiche di consigliere, referendario e primo referendario di TAR, aveva già esteso espressamente le norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale di corrispondente qualifica della magistratura del Consiglio di Stato. In definitiva, secondo il giudice rimettente, il legislatore avrebbe inciso in senso peggiorativo su un principio (il riconoscimento dell’anzianità maturata nella qualifica di consigliere di TAR), che appariva conforme al sistema della legge n. 1034 del 1971, della riforma di cui alla legge n. 186 del 1982 e al naturale assetto dei rapporti tra giudici di primo grado e di appello.

La norma denunciata sarebbe contraddittoria anche rispetto alla logica cui è complessivamente informato l’ordinamento della magistratura amministrativa. Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge poi sfociato nella legge n. 186 del 1982, in particolare, si rappresenterebbe la necessità di unificare i ruoli dei magistrati amministrativi al fine di uniformare ai principi costituzionali l’assetto organizzativo e lo status giuridico ed evitare una «forma anomala di subordinazione gerarchica dei Tribunali amministrativi regionali al Consiglio di Stato». L’introduzione – operata con il censurato art. 23 – di modifiche peggiorative del regime dei magistrati di TAR, secondo il giudice a quo non potrebbe dirsi ispirata all’esigenza di uniformare i ruoli, e per questo profilo contrasterebbe con la finalità dichiarata della riforma.

1.3. – Ulteriore profilo di violazione del principio costituzionale di eguaglianza risulterebbe dal confronto fra la norma censurata e, da un lato, la disciplina dettata per la progressione in carriera nella magistratura ordinaria; dall’altro, il regime organizzativo della magistratura contabile.

Il rimettente non ignora che le garanzie di indipendenza dei giudici speciali, ai sensi dell’art. 108, secondo comma, della Costituzione, sono garantite dalla legge ordinaria, ma osserva pure che i principi costituzionali di cui agli artt. 101, 102, 104 e 111 sono stati considerati applicabili dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (IV sezione, n. 393 del 4 febbraio 2004; VI sezione n. 1049 del 23 febbraio 2009; IV sez., 30 giugno 2004, n. 4835) anche agli organi di giustizia amministrativa, quali elementi comuni a tutti gli organi della giurisdizione.

La giurisprudenza costituzionale (si citano le sentenze n. 204 del 2004 e n. 77 del 2007) e l’evoluzione normativa, dapprima con l’istituzione di un organo di autogoverno per la magistratura amministrativa (art. 7 della legge n. 186 del 1982 e art. 18 della legge 21 luglio 2000, n. 205, recante “Disposizioni in materia di giustizia amministrativa”), ricalcato sul modello del Consiglio superiore della Magistratura, in séguito con il nuovo codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), hanno approssimato le distanze fra giustizia ordinaria e magistratura amministrativa, cosí da rendere non piú giustificabile un regime radicalmente diverso quanto alla struttura organizzativa e alle connesse garanzie di indipendenza e di autonomia dei giudici. In questa cornice di progressivo accostamento fra magistratura ordinaria e amministrativa, la nuova disciplina della progressione economica e di funzioni dei magistrati ordinari, secondo il giudice rimettente, dovrebbe costituire un parametro al quale commisurare la ragionevolezza della disciplina censurata. Verrebbe in rilievo, segnatamente, l’art. 12, comma 14, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150). Quest’articolo, ai fini del conferimento delle funzioni di legittimità presso la Suprema Corte di Cassazione, prevede, limitatamente al 10% dei posti vacanti, una procedura valutativa riservata a magistrati che abbiano conseguito la seconda o la terza valutazione di professionalità e che siano in possesso di titoli professionali e scientifici adeguati, ma prosegue disponendo che, a séguito del superamento di tale procedura valutativa, il conferimento di funzioni di legittimità «non produce alcun effetto sul trattamento giuridico ed economico spettante al magistrato, né sulla collocazione nel ruolo di anzianità o ai fini del conferimento di funzioni di merito». La disciplina impugnata, che introduce una penalizzazione in danno dei magistrati dei TAR e quindi si pone in contrasto con la disciplina vigente per i magistrati ordinari, risulterebbe priva, anche sotto tale profilo, di ogni ragionevole giustificazione.

Anche il raffronto con gli organi della magistratura contabile confermerebbe l’irragionevolezza della disciplina oggetto di censura. Il rimettente ricorda in proposito che con la legge 14 gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), sono state istituite le sezioni regionali della Corte dei conti come organi giurisdizionali di primo grado e osserva che in base alla medesima legge, «nei rapporti tra organi di primo grado e di appello i magistrati hanno assoluta uniformità di qualifiche e funzioni». Di qui l’assoluta irragionevolezza di un assetto organizzativo, come quello sottoposto all’esame della Corte, del tutto differente rispetto sia alla giurisdizione ordinaria sia a quella contabile, per quanto concerne il profilo dell’anzianità riconosciuta a coloro che transitano dalle funzioni giurisdizionali amministrative di primo grado alle funzioni d’appello.

La denunciata disparità di trattamento non potrebbe essere giustificata neppure considerando che il Consiglio di Stato, oltre alle funzioni giurisdizionali, svolge anche funzioni consultive. Non solo, si osserva nelle ordinanze di rimessione, i magistrati provenienti dai TAR sono assegnati in gran parte a sezioni giurisdizionali; ma lo svolgimento di funzioni consultive non può ritenersi «imprescindibile, in quanto molti magistrati del Consiglio di Stato non hanno mai svolto tali funzioni».

1.4. – In conclusione, il TAR rimettente chiede a questa Corte di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 23, quinto comma, della legge n. 186 del 1982, nella parte in cui «si riferisce esclusivamente “ai referendari o ai primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”, concedendo ad essi i benefici di carriera negati a soggetti aventi identica posizione qualificativa sostanziale». L’intervento richiesto, si aggiunge nelle ordinanze di rimessione, costituirebbe una soluzione costituzionalmente obbligata, poiché proprio la norma denunciata ha indicato in cinque anni il periodo di anzianità che deve essere riconosciuto al momento del passaggio alle funzioni di appello, quale spettanza riservata ai magistrati in servizio ai tempi dell’entrata in vigore della norma medesima. Si tratterebbe, pertanto, di estendere il regime di favore attualmente previsto per i soli referendari e primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della legge del 1982 a tutti coloro che, pur avendo identica qualifica funzionale, non fossero ancora in servizio in quella data.

2. – Nel giudizio innanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione sollevata inammissibile o comunque infondata.

La difesa erariale osserva che la legge n. 186 del 1982, nell’istituire il ruolo unico del personale della magistratura, ha attribuito rilevanti benefici ai magistrati di TAR, quali l’aumento della riserva dei posti per l’accesso a domanda al Consiglio di Stato (da un quarto alla metà) e la riduzione da 12 anni (6 + 6) a 8 anni (4 + 4) per il passaggio dalle qualifiche di referendario e primo referendario a consigliere di TAR. In questa chiave il legislatore avrebbe previsto, per riequilibrare tali agevolazioni, una riduzione della conservazione dell’anzianità in questione, fino ad azzerarla completamente per coloro che siano divenuti magistrati amministrativi dopo l’entrata in vigore della legge n. 186 del 1982. E ciò anche al fine di assicurare la piena parità di trattamento fra tutti coloro che accedono alla qualifica di consigliere di Stato, secondo le tre modalità di provvista previste dalla legge (nomina governativa, concorso pubblico, a domanda). Queste considerazioni, aggiunge l’Avvocatura dello Stato, troverebbero conforto nella sentenza di questa Corte n. 269 del 1988, che ha dichiarato illegittimo l’art. 29 della legge 3 aprile 1979, n. 103 (Modifiche dell’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato), il quale disponeva che i procuratori capo dello Stato in servizio alla data di entrata in vigore della legge, oltre ad essere nominati avvocati dello Stato, fossero collocati in ruolo in posizione anteriore rispetto ad avvocati dello Stato divenuti tali in séguito al superamento del concorso. Rileva infine la parte pubblica che in ogni riforma ordinamentale in materia di pubblico impiego le esigenze dei dipendenti piú anziani di ruolo dovrebbero necessariamente essere contemperate con quelle dei dipendenti piú giovani, sicché la soluzione adottata con la norma censurata costituirebbe espressione non irragionevole della discrezionalità legislativa.

Il 14 luglio 2011 sono state depositate ulteriori memorie (relative ai giudizi iscritti ai nn. 32, 44, 45 del registro ordinanze), nelle quali si insiste per l’inammissibilità o comunque l’infondatezza della questione. In particolare, si evidenzia la natura transitoria ed eccezionale della disposizione denunciata e si considera incongruo il riferimento del rimettente all’art. 107 Cost., rilevandosi che la norma comporterebbe una parificazione dei magistrati solo quanto all’esercizio delle funzioni istituzionali, ma non implicherebbe affatto una parificazione nelle posizioni che essi assumono nell’ordinamento giudiziario, e dunque, nel caso di specie, non escluderebbe un differenziato trattamento quanto alle regole dettate per la progressione in carriera.

3. – Si sono costituiti i due consiglieri di Stato che sono parti del giudizio in cui è stata emessa l’ordinanza iscritta nel R.o. n. 32 del 2011 per chiedere che la questione sia dichiarata fondata; nonché i consiglieri di Stato parti degli ulteriori giudizi a quibus per chiedere che la Corte dichiari la questione inammissibile o comunque infondata.

3.1. – Premette la difesa dei primi che la norma censurata risponderebbe alla duplice ratio: a) di non incidere su una posizione di status acquisita dai magistrati pervenuti alla qualifica di consigliere di TAR all’atto della entrata in vigore della legge n. 186 del 1982, conservando interamente l’anzianità di ruolo e cosí equiparando pienamente a tali effetti la qualifica di consigliere di TAR e quella di consigliere di Stato; b) di innovare il criterio di riconoscimento dell’anzianità pregressa, limitandola a cinque anni per i soli referendari e primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982. Questa limitazione, in quanto riduce o azzera del tutto l’anzianità maturata in base ad un effettivo servizio, mostrerebbe un’evidente irragionevolezza, se posta a confronto con disposizioni che prevedono al contrario il riconoscimento agli effetti dello sviluppo di carriera di periodi di servizio non effettivamente resi. Verrebbe in rilievo, segnatamente, l’art. 19, n. 3, della legge n. 186 del 1982, che retrodata la nomina dei consiglieri di Stato vincitori di concorso al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di indizione del concorso medesimo. L’irrazionalità sarebbe tanto piú evidente, si continua negli atti di costituzione, in quanto, da una parte, l’art. 18, primo comma, della legge 21 luglio 2000, n. 205 (recte: l’art. 7, comma 1, della legge n. 186 del 1982, come modificato dall’art. 18, comma primo, della legge n. 205 del 2000, avrebbe sancito che l’ordinamento della giustizia amministrativa è ispirato ai principi di “unicità di accesso e di carriera”; dall’altra, l’art. 4 del menzionato d.lgs. n. 104 del 2010 ribadirebbe l’unitarietà della giurisdizione amministrativa. Unità del sistema e delle funzioni che esigerebbero anche unità e continuità di carriera, tanto piú ove si consideri che i consiglieri di TAR che accedono al consiglio di Stato «non sono magistrati senza passato», ma al contrario pervengono alla qualifica di consigliere di Stato proprio in base a una valutazione di merito dell’attività giurisdizionale svolta, che è sempre espressione di una maturazione e di un affinamento del livello di professionalità acquisito.

La difesa dei consiglieri costituiti non disconosce che al legislatore appartiene un’ampia sfera di discrezionalità in tema di inquadramento del personale e di riconoscimento delle anzianità di carriera, e tuttavia ritiene che la modulazione delle scelte normative non possa condurre a situazioni abnormi, attribuendo a taluni vantaggi sproporzionati e penalizzando altri, e cosí ponendosi in contrasto con i principi di parità di trattamento, ragionevolezza e buon andamento che devono governare gli assetti organizzativi degli ordinamenti giudiziari. Di qui la richiesta a questa Corte di accogliere la questione sollevata.

3.2. – I difensori dei consiglieri di Stato controinteressati, ripercorso il contenuto delle disposizioni relative al computo delle anzianità di carriera dei magistrati amministrativi, e specificamente degli artt. 19, 21 e 23 della legge n. 186 del 1982, osservano che si tratta dichiaratamente di un sistema speciale, frutto di una scelta legislativa adottata in base alla considerazione che l’aumento dell’aliquota di consiglieri di TAR autorizzati a domanda a transitare nei ruoli del Consiglio di Stato doveva essere compensato con l’eliminazione del riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso i TAR, previsto dall’art. 17 della citata legge n. 1034 del 1971 e conservato solo per i consiglieri di TAR in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982. Si sarebbe, quindi, in presenza di un sistema chiuso, privo di lacune, il che renderebbe non operante il richiamo, fatto nelle ordinanze di rimessione, alle norme vigenti per gli impiegati civili dello Stato, e in particolare al menzionato art. 200 del d.P.R. n. 3 del 1957. In caso contrario, si aggiunge, si determinerebbe uno stravolgimento del tutto irragionevole del ruolo dei consiglieri di Stato. Inoltre la sentenza di questa Corte n. 269 del 1988, già in precedenza richiamata, avrebbe fatto applicazione di un principio opposto rispetto a quello che il giudice a quo intende far valere. La predetta sentenza, si prosegue negli atti difensivi, ha dichiarato, infatti, costituzionalmente illegittimo lo scavalcamento del ruolo disposto dal legislatore in favore dei procuratori capi dello Stato, promossi per mera anzianità nel ruolo degli avvocati dello Stato rispetto agli avvocati dello Stato immessi per concorso. Questa pronuncia renderebbe manifestamente inammissibile e comunque infondata la questione sollevata. In ogni caso, la chiara lettera della legge, che limita il beneficio nel tempo, non potrebbe essere stravolta evocando l’esigenza di eguaglianza nel trattamento di tutti i dipendenti pubblici, in essi compreso il personale di magistratura. Tanto piú che la magistratura amministrativa, nelle qualifiche inferiori a quelle direttive, farebbe registrare una pluralità di dotazioni e un ruolo non intercambiabile, come sarebbe dimostrato dal fatto che un consigliere di Stato non può tornare nei ruoli dei consiglieri di TAR e neppure accedere alle presidenze delle sezioni staccate o delle sezioni interne del TAR. Proprio i lavori preparatori dimostrerebbero che la questione del riconoscimento di una determinata anzianità ai magistrati di TAR al momento del passaggio al Consiglio di Stato venne approfonditamente valutata dal Parlamento e risolta nel senso previsto dalla norma censurata, in considerazione dell’esigenza di compensare i benefici riconosciuti ai magistrati di TAR in termini di accelerazione della carriera e di aumento dell’aliquota dei posti di consigliere di Stato loro riservati con l’abbandono del principio dell’integrale riconoscimento dell’anzianità maturata. Affermata la regola “dell’anzianità zero”, da far operare a regime, il legislatore avrebbe inteso semplicemente salvaguardare le aspettative maturate dai magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della riforma, conservando integralmente l’anzianità maturata per i consiglieri di TAR e riconoscendola nella sola misura di cinque anni per i referendari e primi referendari. Che non si sia trattato di scelta occasionale sarebbe confermato dal fatto che in sede di approvazione della legge n. 186 del 1982 furono espressamente respinti due emendamenti che tendevano a riconoscere il principio della piena anzianità a regime e, in via subordinata, chiedevano l’applicazione di tale principio ai soli magistrati in servizio. Donde la conclusione nel senso della inammissibilità o comunque non fondatezza della questione.

Ulteriori memorie sono state depositate il 29 agosto 2011. In esse si osserva che la nomina a consigliere di Stato del magistrato di TAR non dà luogo a una progressione di carriera, ma costituisce «un sistema alternativo di provvista dei magistrati del Consiglio di Stato e determina il passaggio (irreversibile) dalla qualifica di Consigliere T.A.R. a quella di Consigliere di Stato». E proprio in quanto non si tratta di una semplice progressione di carriera, il meccanismo di riconoscimento delle anzianità sarebbe stato dosato dal legislatore in ragione delle tre diverse modalità di provvista dei magistrati del Consiglio di Stato e delle percentuali da calcolare sui posti che si rendono disponibili.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sei distinte ordinanze – emesse nel corso di altrettanti giudizi riguardanti l’accesso di consiglieri del Tribunale amministrativo regionale (TAR) nei ruoli del Consiglio di Stato ed il riconoscimento della relativa anzianità di servizio –, dubita, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità dell’art. 23, quinto comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui, all’atto della loro nomina a consiglieri di Stato, limita ai primi referendari e referendari di TAR in servizio alla data del 12 maggio 1982 la conservazione, nella misura di cinque anni, dell’anzianità acquisita nella qualifica di consigliere di TAR.

In particolare, il giudice rimettente afferma che tale limitazione del computo d’anzianità ai soli magistrati in servizio alla predetta data contrasta con i princípi di uguaglianza e di ragionevolezza espressi dal parametro evocato.

2. – Le ordinanze sollevano questioni aventi ad oggetto la medesima disposizione di legge e propongono censure pressoché coincidenti. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi.

3. – La disposizione censurata stabilisce che, «salvo quanto previsto nel quarto comma del precedente articolo 21 [ossia per l’anzianità maturata agli effetti della nomina a presidente di TAR], i primi referendari e referendari dei tribunali amministrativi regionali in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge [12 maggio 1982] conservano, all’atto della nomina a consigliere di Stato, l’anzianità acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale, nel limite di cinque anni, fatta salva la valutazione degli effetti economici e prendono posto nel ruolo secondo la predetta anzianità».

Secondo il giudice a quo, tale disposizione, non riconoscendo in alcuna misura l’anzianità acquisita nelle funzioni giurisdizionali di primo grado ai consiglieri di Stato che, alla data del 12 maggio 1982, non erano in servizio come referendari o primi referendari di TAR, determina un’irragionevole discriminazione dei predetti consiglieri rispetto: a) ai consiglieri di Stato che, alla data indicata, erano in servizio come referendari o primi referendari di TAR ed ai quali è, invece, riconosciuta una anzianità di cinque anni; b) ai consiglieri di Stato di nomina governativa e per concorso, che – diversamente da loro – non hanno alcuna anzianità nell’esercizio di funzioni giurisdizionali amministrative da far valere al momento dell’ingresso nei ruoli del Consiglio; c) ai magistrati delle magistrature ordinarie e contabili, ai quali è sempre assicurato, nella progressione in carriera, il computo dell’anzianità pregressa.

Nessuno dei prospettati tre profili di irragionevole discriminazione è fondato.

4. – Con riguardo al profilo di cui alla lettera a) del punto precedente, il rimettente, a sostegno della denunciata disparità di trattamento, pone a raffronto i magistrati di TAR che erano in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982 e quelli che non lo erano. Egli assume che la sostanziale omogeneità della situazione in cui versano tutti i magistrati di TAR non giustifica il beneficio di carriera riservato dalla disposizione censurata solo a quelli in servizio alla predetta data.

Tale assunto non è fondato. I termini di comparazione prospettati, infatti, sono tra loro disomogenei e tale disomogeneità esclude la dedotta lesione dell’art. 3 Cost. In particolare, la scelta differenziatrice effettuata dal legislatore non è censurabile, perché si basa sulla non irragionevole valutazione della peculiarità della situazione in cui si trovavano i soli magistrati di TAR in servizio al 12 maggio 1982.

4.1. – Per giungere a tale conclusione ed individuare la ratio della disposizione denunciata è necessario muovere dalla preliminare ricognizione del complesso di norme in cui detta disposizione si inserisce.

Con la legge n. 186 del 1982, il legislatore ha inteso ovviare agli inconvenienti che derivavano dall’articolazione del sistema di giustizia amministrativa nei ruoli separati dei magistrati di TAR e del Consiglio di Stato prevista dal regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali). Tale separazione – come evidenziato già nel corso della VII legislatura, in sede di discussione del disegno di legge AS n. 461 (poi decaduto) sull’ordinamento della giurisdizione amministrativa – non rispondeva, infatti, ad alcuna concreta esigenza di funzionalità e si risolveva, anzi, in una forma anomala di subordinazione gerarchica dei TAR rispetto al Consiglio di Stato. La legge citata, pertanto, ha unificato il ruolo dei magistrati del Consiglio di Stato e dei TAR, perfezionando cosí il disegno riformatore avviato dalla legge n. 1034 del 1971. Essa, per quanto qui interessa, oltre ad aver eliminato la precedente equiparazione dei referendari e primi referendari dei TAR agli impiegati civili dello Stato, assimilandoli, nelle garanzie, ai consiglieri di TAR (artt. da 24 a 28), ha ampliato la possibilità dei consiglieri di TAR di accedere alla qualifica di consigliere di Stato (art. 17, primo comma, della legge n. 1034 del 1971), raddoppiando dal 25 al 50 per cento l’aliquota dei posti che si rendono vacanti nella qualifica di consigliere di Stato da riservare ai consiglieri di TAR (art. 19).

L’intervenuta unificazione dei ruoli ha posto, peraltro, il problema di tutelare in modo adeguato le aspettative maturate dai magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della legge medesima ed ha evidenziato, perciò, la necessità di introdurre un complesso di disposizioni particolari vòlto a salvaguardare le precedenti posizioni di ruolo dei magistrati. Tali disposizioni sono: l’art. 21, settimo comma, il quale, per tutelare le aspettative di promozione dei consiglieri di Stato in servizio alla data di entrata in vigore della legge, ha tenuto fermo, agli effetti della nomina alle qualifiche direttive, l’ordine di collocamento in ruolo esistente ed ha disposto in via eccezionale che i consiglieri non in possesso dell’anzianità prescritta dall’art. 21, primo comma, per le qualifiche direttive superiori (otto anni) siano comunque valutati, indipendentemente dall’anzianità predetta, prima dei consiglieri che li seguono nel ruolo; l’art. 50, il quale ha stabilito che, in sede di prima applicazione della legge e comunque per un periodo non superiore a due anni dalla data di entrata in vigore della stessa, le anzianità nella qualifica previste come condizione per la nomina a primo referendario, a consigliere di TAR e a consigliere di Stato siano dimezzate, cosí da favorire l’accesso dei magistrati di TAR nei ruoli del Consiglio di Stato; l’art. 23, sesto comma, il quale ha compensato il privilegio in tal modo assicurato ai magistrati di TAR, riconoscendo ai consiglieri di Stato l’anticipazione della data della nomina, ai soli effetti giuridici, nella misura sufficiente ad evitare che i magistrati del Consiglio di Stato in possesso, alla data di entrata in vigore della legge, delle qualifiche di referendario, primo referendario e consigliere fossero superati nel ruolo dai primi referendari e referendari di TAR a séguito dell’abbreviazione del periodo di anzianità previsto dal menzionato art. 50; l’art. 51, il quale ha retrodatato al compimento delle anzianità di carriera conseguite anteriormente alla data di entrata in vigore della legge le nomine a primo referendario e a consigliere di TAR nonché le nomine alle qualifiche direttive (artt. 17, 18 e 21 della legge n. 186); l’art. 23, settimo comma, il quale ha stabilito, per i consiglieri di TAR pervenuti a tale qualifica a norma dell’articolo 16, secondo comma, della legge n. 1034 del 1971 (ossia dopo sei anni di effettivo servizio nella qualifica di primi referendari regionali), che la suddetta retrodatazione della nomina non comporta anteposizione in ruolo rispetto ai consiglieri di Stato che, alla data di entrata in vigore della legge, godevano di una maggiore anzianità nella qualifica, e ciò al fine di anticipare, ai soli effetti giuridici, la data della nomina di questi ultimi nella misura necessaria e sufficiente ad evitare che i predetti consiglieri di TAR li superassero nel ruolo.

Con riguardo allo specifico profilo che qui interessa – e cioè il computo dell’anzianità dei magistrati di TAR nell’accesso al ruolo del Consiglio di Stato – viene in particolare rilievo lo stesso art. 23, il quale: a) nel quarto comma ha stabilito la transitoria applicabilità, in favore dei magistrati che alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982 avevano conseguito la qualifica di consigliere di TAR, della regola della conservazione integrale dell’anzianità fissata dall’abrogato terzo comma dell’art. 17 della legge n. 1034 del 1971; b) nel censurato quinto comma, ha riconosciuto l’anzianità solo nella misura di cinque anni in favore dei referendari e primi referendari di TAR in servizio alla medesima data.

4.2. – Da questa ricostruzione del quadro normativo si desume agevolmente la già sottolineata natura eccezionale e transitoria delle sopra richiamate disposizioni della legge n. 186 del 1982 e, quindi, del denunciato quinto comma dell’art. 23, che di tale complesso normativo – come si è visto – è parte integrante.

Il beneficio di carriera attribuito da tale disposizione trova, in particolare, la sua esclusiva giustificazione nella necessità di porre rimedio alla contingente situazione di disagio in cui – a séguito dell’entrata in vigore della legge n. 186 del 1982 – si erano venuti a trovare i referendari ed i primi referendari di TAR che, al loro ingresso nella magistratura amministrativa, avevano fatto affidamento sulla favorevole norma del citato art. 17 della legge n. 1034 del 1971, in virtú della quale tutti i magistrati amministrativi conservavano l’intera anzianità di carriera e di qualifica acquisita nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali di primo grado. Ed è proprio per riequilibrare almeno in parte la posizione di questi giudici che la censurata disposizione prevede appunto, non irragionevolmente, un trattamento specifico solo per essi, ancorandolo al preciso elemento cronologico del loro essere in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982; trattamento riservato a un numero circoscritto di beneficiari e destinato, perciò, ad esaurirsi con il decorso del tempo.

In quanto eccezionale e derogatoria, detta disposizione non è perciò applicabile oltre i casi ed i tempi da essa considerati e, quindi, nemmeno ai magistrati che versano nella diversa condizione di essere entrati in ruolo successivamente al 12 maggio 1982 (in generale, sui limiti di applicabilità delle norme transitorie ed eccezionali, ex plurimis, sentenze n. 202 e n. 34 del 2011, n. 131 del 2009, n. 96 del 2008, n. 439 del 2007, n. 178 del 2006, n. 149 del 2005; ordinanze n. 231 del 2009 e n. 344 del 2008). Di qui l’eterogeneità delle situazioni che il rimettente pone a raffronto e l’insussistenza della lamentata discriminazione.

Non può obiettarsi al riguardo, come fa il rimettente, che la norma in esame – facendo dipendere soltanto da un elemento temporale la disparità di trattamento introdotta nell’àmbito di una stessa categoria di magistrati – costituisca esercizio arbitrario della discrezionalità legislativa. Non solo, infatti, il predetto elemento temporale vale ad individuare la specifica posizione dei magistrati di TAR pregiudicati dalla sopravvenuta disciplina dell’anzianità di carriera, ma – come questa Corte ha piú volte sottolineato – il fluire del tempo può esso stesso costituire l’elemento giustificativo di un trattamento differenziato (da ultimo, ordinanze n. 31 del 2011, n. 61 del 2010, n. 170 del 2009, n. 212 del 2008), specie se tale trattamento sia disposto da una disciplina transitoria come quella in esame.

5. – Con il profilo di censura di cui al punto 3, sub b), il rimettente ritiene irragionevole che il legislatore non riconosca, dopo l’ingresso nel ruolo del Consiglio di Stato, l’anzianità di servizio maturata nel TAR, quantomeno nel limite di cinque anni previsto dalla disposizione denunciata. Secondo il giudice a quo, tale irragionevolezza deriva dall’equiparazione, sotto il profilo dell’irrilevanza della precedente anzianità di servizio, di situazioni diverse; e cioè quella dei magistrati provenienti dai TAR, i quali hanno esercitato per almeno quattro anni funzioni giurisdizionali (art. 19, primo comma, n. 1, della legge n. 186 del 1982), e quella dei consiglieri di nomina governativa o vincitori di concorso, i quali sono privi di una analoga anzianità.

Anche tale profilo di censura non è fondato, perché l’anzianità maturata nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali amministrative di primo grado – diversamente da quanto ritiene il rimettente – non costituisce un elemento idoneo a differenziare le posizioni in ruolo dei consiglieri di Stato.

5.1. – Il giudice a quo muove dalla premessa interpretativa che, a séguito della sopra ricordata unificazione dei ruoli dei magistrati amministrativi, le funzioni svolte dai magistrati di TAR e dai consiglieri di Stato debbono considerarsi del tutto omogenee e ne trae la conseguenza che l’anzianità maturata in primo grado deve essere necessariamente computata (almeno nel limite di cinque anni) nei ruoli del Consiglio di Stato. Questa premessa non può essere condivisa.

Va ricordato che nel Consiglio di Stato coesistono funzioni giurisdizionali e consultive che fanno di tale organo, ad un tempo, il giudice di piú elevata istanza nella tutela della giustizia nell’amministrazione ed il piú importante istituto di consulenza giuridico-amministrativa. Pertanto, il passaggio per anzianità del consigliere di TAR al Consiglio di Stato presuppone l’accertata idoneità all’esercizio non solo di funzioni giurisdizionali in grado di appello, ma anche di funzioni di natura consultiva, corrispondenti appunto al ruolo di organo di consulenza giuridico-amministrativa che l’art. 100 Cost. assegna al Consiglio di Stato (artt. 15 e 19 della legge n. 186 del 1982). Proprio in ragione di siffatta attribuzione di funzioni consultive, la nomina a consigliere di Stato non si risolve in una mera progressione di carriera nell’àmbito della stessa funzione, ma segna uno spartiacque nella carriera della magistratura amministrativa, determinando non irragionevolmente – salve le giustificate eccezioni previste in via transitoria dalla norma censurata – l’azzeramento dell’anzianità maturata nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali di primo grado.

Conferma questa conclusione anche il fatto che l’accesso del consigliere di TAR nei ruoli del Consiglio di Stato è subordinato dalla legge n. 186 del 1982 al possesso di requisiti diversi e piú rigorosi di quelli richiesti per i passaggi di qualifica interni alla magistratura di TAR. Piú precisamente, mentre la nomina da referendario a primo referendario e da referendario a consigliere di TAR consegue al compimento di quattro anni di anzianità nelle rispettive qualifiche e ad un semplice «giudizio di non demerito espresso dal consiglio di presidenza» (articoli 17 e 18); la nomina del consigliere di TAR al Consiglio di Stato ha luogo a séguito di uno speciale giudizio di idoneità all’esercizio delle funzioni di consigliere, cioè «previo giudizio favorevole espresso dal consiglio di presidenza […] in base alla valutazione dell’attività giurisdizionale svolta e dei titoli, anche di carattere scientifico, presentati nonché dell’anzianità di servizio» (art. 19, n. 1).

5.2. – Né può addursi in contrario, come fa il rimettente, che l’integrale riconoscimento dell’anzianità maturata presso il TAR ai fini del conferimento della qualifica di Presidente di TAR (quarto comma dell’art. 21 della legge n. 186 del 1982) e l’espressa equiparazione legislativa tra tale qualifica direttiva e quella di Presidente di sezione del Consiglio di Stato (numero 2 dell’art. 14 della stessa legge) renderebbero costituzionalmente imposta la valutazione di detta anzianità, quantomeno nella misura di cinque anni, anche nel passaggio dai ruoli del TAR ai ruoli del Consiglio di Stato. L’analisi delle norme relative alla nomina alle qualifiche direttive dimostra infatti che, anche sotto questo profilo, non sussiste omogeneità tra le funzioni svolte presso il TAR e quelle svolte presso il Consiglio di Stato.

Anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 186 del 1982 era precluso ai magistrati di TAR l’accesso alle qualifiche direttive, essendo queste riservate ai consiglieri di Stato. L’art. 21 della medesima legge, nonostante la formale equiparazione delle qualifiche direttive di Presidente di TAR e di Presidenti di sezione del Consiglio di Stato, ha solo parzialmente eliminato questa preclusione: da una parte, ha disposto che la qualifica di Presidente di TAR è conferita sia a consiglieri di Stato sia a consiglieri di TAR, «al compimento di otto anni di anzianità nelle rispettive qualifiche» (primo comma); dall’altra, però, ha ribadito che possono essere nominati Presidenti di sezione del Consiglio di Stato soltanto i consiglieri di Stato che hanno prestato servizio per almeno due anni presso il Consiglio medesimo (terzo comma). In tal modo, i Presidenti dei TAR possono essere sia consiglieri di TAR sia consiglieri di Stato, mentre i Presidenti di sezione del Consiglio di Stato possono essere soltanto consiglieri di Stato. Ne consegue che il legislatore, anche ai fini del conferimento delle qualifiche direttive, ha mantenuto una diversità di trattamento tra i consiglieri di TAR e di Stato, sul non irragionevole presupposto della evidenziata disomogeneità delle funzioni da essi svolte.

6. – Con il profilo di censura di cui al punto 3, sub c), infine, il giudice a quo assume che il carattere discriminatorio della normativa denunciata risulterebbe anche dal confronto con la disciplina dettata per la progressione in carriera nella magistratura ordinaria e contabile e, comunque, con il generale principio di conservazione delle anzianità di carriera e di qualifica acquisite, ricavabile dall’art. 200, terzo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), secondo cui «gli impiegati trasferiti conservano l’anzianità di carriera e di qualifica acquisite e sono collocati nei nuovi ruoli con la qualifica corrispondente a quella di provenienza e nel posto che loro spetta secondo l’anzianità nella qualifica già ricoperta».

Anche questo profilo non è fondato. La peculiarità della disposizione denunciata rende non pertinenti, infatti, i richiami comparativi – contenuti nelle ordinanze di rimessione – all’ordinamento di altre magistrature ed alla disciplina degli impiegati civili dello Stato.

6.1. – Il rimettente assume quali termini di raffronto della norma censurata, per la magistratura ordinaria, l’art. 12, comma 14, del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150); per la magistratura contabile, la legge 14 gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti). Il citato comma 14 dell’art. 12 prevede che il conferimento di funzioni di legittimità presso la Suprema Corte di cassazione – all’esito di una procedura valutativa riservata a magistrati ordinari limitatamente al 10 per cento dei posti vacanti – «non produce alcun effetto sul trattamento giuridico ed economico spettante al magistrato, né sulla collocazione nel ruolo di anzianità o ai fini del conferimento di funzioni di merito». Analogamente, dalla menzionata legge n. 19 del 1994 – che ha istituito le sezioni regionali della Corte dei conti come organi giurisdizionali di primo grado – risulterebbe, secondo il TAR rimettente, che «nei rapporti tra organi di primo grado e di appello i magistrati hanno assoluta uniformità di qualifiche e funzioni».

Contrariamente a quanto afferma il giudice a quo, il richiamo a tale disciplina non può venire in rilievo ai fini della denunciata discriminazione. Infatti, questa Corte ha da tempo chiarito che, sebbene sia «innegabile l’unitarietà in senso lato dell’esercizio della giurisdizione, è altrettanto innegabile che, nell’àmbito di tale unitarietà, trovano collocazione gli specifici e diversi ordinamenti delle indicate magistrature, corrispondenti ai motivi di tradizione storica accolti dal Costituente» e che «l’ordinamento vigente non contempla una piena uniformità di disciplina, quanto alla attribuzione delle funzioni, quanto all’assetto strutturale degli uffici, tra i magistrati dell’ordine giudiziario e quelli del Consiglio di Stato, nonché della Corte dei conti e dei tribunali militari»; con la conseguenza che «dalla unitarietà in senso lato dell’esercizio della giurisdizione e dal fatto che la Costituzione prevede per tutti i magistrati garanzie di indipendenza, non può farsi derivare la necessità di una piena equiparazione e di una puntuale corrispondenza, sul piano della progressione nelle funzioni, tra le magistrature anzidette» (sentenza n. 1 del 1978; in senso analogo, ordinanza n. 542 del 2000). In conclusione, sempre secondo la Corte, non si rinvengono nell’ordinamento giuridico princípi che esigono l’attuazione di un sistema di progressione in carriera per la magistratura amministrativa di tipo e struttura integralmente corrispondenti alle caratteristiche proprie della magistratura ordinaria (sentenza n. 1 del 1978, sopra citata).

Nel solco di tale indirizzo va qui ribadito che non è costituzionalmente imposto, né è previsto da alcun principio generale dell’ordinamento che all’unità, lato sensu intesa, della funzione giurisdizionale svolta debba corrispondere un unitario statuto professionale, salve le garanzie di indipendenza. Ne consegue che non è possibile assumere le particolari discipline relative ai magistrati ordinari e contabili – che sono espressione di scelte differenziatrici rimesse alla discrezionalità del legislatore – come termini di comparazione rispetto a quella dei magistrati amministrativi.

Non può addursi in contrario l’argomento secondo cui l’equivalenza tendenziale fra il regime economico dei magistrati ordinari e quello dei magistrati amministrativi sarebbe il sintomo di una piú estesa parificazione di trattamento, alla quale il legislatore dovrebbe attenersi anche per i profili relativi alla progressione nella carriera. La suddetta equiparazione è un dato, in effetti, rilevabile nell’evoluzione della disciplina legislativa in materia, ma non costituisce motivo per ritenere che il legislatore abbia inteso istituire un rapporto di corrispondenza necessaria fra le diverse categorie di magistrati anche per quanto attiene al regime di conservazione dell’anzianità. Come questa Corte ha in altra occasione affermato, il trattamento economico dei magistrati rappresenta «la traduzione in corrispettivo materiale della valutazione dell’opera prestata e coinvolge una serie di elementi il cui apprezzamento può condurre a parificare, sotto questo profilo, situazioni anche diverse» (sentenza n. 1 del 1978, piú volte citata). Pertanto, anche dall’eventuale identità del trattamento economico non potrebbe di certo ricavarsi la necessità di un identico trattamento nello stato giuridico.

6.2. – È da escludersi, infine, anche la pertinenza del richiamo effettuato dal rimettente all’art. 200 del d.P.R. n. 3 del 1957. L’ordinamento della giurisdizione amministrativa costituisce, infatti, un sistema rispetto al quale non può trovare applicazione la disciplina generale degli impiegati civili dello Stato, se non in via suppletiva (e, quindi, non nel caso di specie, in cui sussiste una specifica normativa sul computo dell’anzianità dei magistrati amministrativi). Del resto, ad ulteriore conferma della specialità di tale ordinamento giurisdizionale, il legislatore, con i menzionati articoli da 24 a 28 della legge n. 186 del 1982, ha eliminato anche l’equiparazione – un tempo prevista – dei referendari e primi referendari di TAR agli impiegati civili dello Stato e li ha assimilati ai consiglieri di TAR quanto alle piú ampie garanzie di indipendenza e di inamovibilità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2011.

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