Servizi Cloud tra sovranità digitale, privacy e proprietà intellettuale: il caso Kaganski e la crisi del modello cloud-centrico

a cura dell’Avv. Marco Martini

Abstract

Il presente saggio analizza la complessa interazione tra servizi cloud, sovranità digitale e tutela della privacy attraverso l’esame del caso di Mike Kaganski, sviluppatore di LibreOffice il cui account Microsoft è stato arbitrariamente sospeso. L’episodio solleva questioni fondamentali sul potere discrezionale delle piattaforme tecnologiche dominanti, sui limiti dell’automazione nei processi decisionali e sulla necessità di una regolamentazione più incisiva per garantire l’effettiva tutela dei diritti digitali fondamentali.

La ricerca evidenzia come l’attuale assetto del mercato cloud, dominato da pochi attori extraeuropei, comprometta tanto la sovranità digitale quanto la tutela della proprietà intellettuale, richiedendo un ripensamento strutturale del quadro normativo.

1. Introduzione: il paradosso della dipendenza digitale

L’ecosistema digitale contemporaneo si caratterizza per un paradosso apparentemente irrisolvibile: mentre la digitalizzazione promette democratizzazione dell’accesso all’informazione e agli strumenti di produttività, la concentrazione del controllo infrastrutturale in pochi operatori globali genera nuove forme di dipendenza e vulnerabilità sistemica. Il caso di Mike Kaganski, sviluppatore del progetto open source LibreOffice, rappresenta un esempio paradigmatico di questa contraddizione strutturale.

Il 22 luglio 2025, mentre Kaganski cercava di inviare un messaggio tramite Thunderbird alla mailing list dei developer LibreOffice, lo sviluppatore si è visto restituire un errore SMTP. Al secondo tentativo, il suo account Microsoft è stato bloccato con il laconico messaggio “Your account has been locked due to activity that violates our Services Agreement”. L’episodio, apparentemente banale, illumina le fragilità strutturali di un modello economico che ha trasferito il controllo delle infrastrutture digitali essenziali a soggetti privati operanti secondo logiche commerciali spesso opache e incontrollabili.

Il presente studio intende analizzare le implicazioni giuridiche, economiche e politiche di questa configurazione, esaminando come la concentrazione del potere tecnologico comprometta i principi di sovranità digitale, tutela della privacy e protezione della proprietà intellettuale. La metodologia adottata combina l’analisi del caso specifico con una disamina sistematica del quadro normativo europeo e internazionale, evidenziando le lacune e le contraddizioni dell’attuale sistema di governance digitale.

2. Il quadro normativo di riferimento: GDPR, Cloud Act e il conflitto di giurisdizioni

2.1 Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR)

Il GDPR, entrato in vigore il 25 maggio 2018, rappresenta il tentativo più ambizioso dell’Unione Europea di riaffermare la propria sovranità normativa in materia di protezione dei dati personali. Il GDPR rafforza i diritti esistenti, prevede nuovi diritti e dà alle persone un maggiore controllo sui loro dati personali, introducendo principi innovativi come la portabilità dei dati, il diritto all’oblio e la privacy by design.

Tuttavia, l’applicazione del GDPR nell’ecosistema cloud presenta criticità strutturali che il caso Kaganski evidenzia con chiarezza. Quando un utente perde l’accesso al proprio account, non perde soltanto un servizio di posta elettronica, ma l’intero ecosistema digitale ad esso collegato: autenticazione a due fattori, accesso ai file in cloud, strumenti di lavoro e, paradossalmente, anche la possibilità di esercitare i diritti previsti dal GDPR stesso.

La contraddizione è evidente: come può un soggetto richiedere la portabilità dei propri dati o esercitare il diritto di accesso se è stato arbitrariamente escluso dalla piattaforma che li custodisce? Le aziende devono valutare con attenzione i provider per garantire la protezione dei dati e la compliance, ma questa responsabilità si scontra con l’asimmetria informativa e contrattuale che caratterizza il rapporto tra utenti e grandi piattaforme tecnologiche.

2.2 Il Cloud Act e la giurisdizione extraterritoriale

Il Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act (Cloud Act), approvato dal Congresso americano nel 2018, estende la giurisdizione degli Stati Uniti sui dati custoditi da provider americani indipendentemente dalla loro localizzazione geografica. “La legge CLOUD è in conflitto con i diritti umani fondamentali, poiché non fornisce gli standard minimi stabiliti dalle corti europee per limitare la sorveglianza elettronica da parte del governo”.

Questo conflitto normativo non è meramente teorico. La Corte di giustizia dell’Unione europea nel 2020 ha confermato tale conflitto nella sentenza Schrems II, invalidando il Privacy Shield e richiedendo una valutazione caso per caso della compatibilità dei trasferimenti di dati verso gli Stati Uniti con il sistema di protezione europeo.

Questa indagine arriva nel mezzo di un enorme conflitto di giurisdizione tra Usa e Ue. Da una parte il Gdpr, il regolamento che tutela la privacy dei cittadini Ue e dall’altro il Cloud act americano che si applica a tutti i cloud provider Usa e anche sui dati aziendali.

Il caso Kaganski si inserisce in questo contesto di incertezza giuridica, dove le decisioni automatizzate delle piattaforme possono di fatto vanificare le garanzie normative previste dal legislatore europeo, senza possibilità di ricorso effettivo o di controllo giurisdizionale.

2.3 L’inadeguatezza degli strumenti di tutela attuali

L’analisi del quadro normativo vigente rivela l’inadeguatezza degli strumenti di tutela rispetto alle sfide poste dall’economia delle piattaforme. Il GDPR prevede sanzioni significative per le violazioni della privacy, ma non affronta efficacemente il problema del potere discrezionale delle piattaforme di negare l’accesso ai servizi.

Il 20 maggio 2021 l’European Data Protection Board ha approvato il primo codice di condotta transnazionale per i Cloud Provider ai sensi degli artt. 40 e 41 del GDPR, ma l’adesione a tali codici rimane volontaria e la loro efficacia dipende dalla buona volontà degli operatori.

Il caso Kaganski dimostra come l’automazione dei processi decisionali possa rendere inefficaci anche le garanzie più sofisticate: la richiesta di verifica telefonica ha restituito un errore (“Prova un altro metodo”), senza alcuna alternativa proposta. La piattaforma di supporto Microsoft, raggiungibile solo previo accesso all’account (bloccato), ha rappresentato l’ennesimo ostacolo circolare.

3. Sovranità digitale e dipendenza strategica

3.1 Il concetto di sovranità digitale nell’ordinamento europeo

La sovranità digitale rappresenta uno dei pilastri della strategia digitale europea, definibile come la capacità di uno Stato o di un’organizzazione sovranazionale di mantenere il controllo sui propri dati, infrastrutture e processi decisionali digitali. Il divieto di utilizzare Office365 nelle scuole o la richiesta da parte del ministro dell’economia tedesco Peter Altmaier di trattenere i dati dei cittadini tedeschi in Germania anziché in Cina o negli Stati Uniti, sono solo alcuni dei segnali che dimostrano l’evidente tensione in tema di sicurezza nazionale e protezione dei dati.

Tuttavia, la realizzazione della sovranità digitale si scontra con la realtà di un mercato dominato da pochi attori extraeuropei. Il caso Kaganski illustra perfettamente questa contraddizione: uno sviluppatore europeo che contribuisce a un progetto di software libero si trova completamente dipendente dalle decisioni arbitrarie di una corporation americana per accedere ai propri dati e strumenti di lavoro.

3.2 La dipendenza strutturale dalle piattaforme americane

L’analisi della posizione di mercato degli operatori cloud rivela una concentrazione oligopolistica che compromette strutturalmente l’autonomia decisionale europea. Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud Platform controllano oltre il 60% del mercato globale, creando una dipendenza strategica difficilmente superabile nel breve termine.

La scelta di una region europea non impedisce agli Stati Uniti (si veda il Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act) di accedere ai dati, rendendo illusoria la protezione offerta dalla localizzazione geografica dei server.

Questa dipendenza assume dimensioni particolarmente critiche quando coinvolge settori strategici come quello del software libero. LibreOffice rappresenta infatti una delle poche alternative credibili alla suite Microsoft Office, ma il blocco dell’account di uno dei suoi sviluppatori principali dimostra come il controllo delle infrastrutture di comunicazione possa essere utilizzato per ostacolare la concorrenza.

3.3 Le iniziative europee per la sovranità digitale

L’Unione Europea ha avviato diverse iniziative per ridurre la dipendenza dalle piattaforme tecnologiche extraeuropee. Il progetto Gaia-X mira a creare un’infrastruttura cloud europea basata sui principi di trasparenza, apertura e interoperabilità. Tuttavia, queste iniziative si scontrano con la necessità di garantire compatibilità e integrazione con l’ecosistema esistente, dominato dagli operatori americani.

Cloud e sovranità digitale sono cruciali per l’Europa, per garantire trasparenza, controllo e fiducia nelle aziende, ma la transizione verso un modello più equilibrato richiede investimenti significativi e una strategia coordinata a livello europeo.

Il caso Kaganski dimostra l’urgenza di queste iniziative: finché l’Europa rimarrà dipendente dalle infrastrutture americane, la tutela dei diritti digitali fondamentali rimarrà subordinata alle politiche commerciali e alle decisioni algoritmiche di attori privati extraeuropei.

4. Proprietà intellettuale e software libero nell’ecosistema cloud

4.1 Il conflitto tra standard aperti e formati proprietari

Il caso Kaganski si inserisce in un contesto più ampio di tensione tra software proprietario e software libero, dove la questione della proprietà intellettuale assume dimensioni strategiche. LibreOffice, in particolare, fatica da anni a garantire compatibilità piena con i documenti DOCX, XLSX e PPTX, le cui specifiche – pur dichiarate standard – sembrano costantemente evolvere in modi che ostacolano l’adozione di alternative gratuite.

Questa dinamica evidenzia come il controllo degli standard de facto possa essere utilizzato per mantenere posizioni dominanti. Office Open XML (OOXML), introdotto da Microsoft nel 2007 come successore dei vecchi formati binari (.doc, .xls, .ppt) è stato, sin dall’inizio, oggetto di feroci critiche da parte della comunità open source.

Il paradosso è evidente: sebbene OOXML sia formalmente approvato dall’ISO, Microsoft ha continuato a utilizzare, anche nei suoi software più recenti, una variante proprietaria non pienamente conforme con lo standard ISO/IEC 29500, chiamata Transitional. Questa prassi crea barriere artificiali all’interoperabilità, ostacolando la diffusione di alternative libere e compromettendo la concorrenza nel mercato delle suite per ufficio.

4.2 L’impatto sui progetti di software libero

Il blocco dell’account di Mike Kaganski assume una valenza simbolica particolare considerando il suo ruolo nello sviluppo di LibreOffice. Il progetto rappresenta infatti uno dei casi di successo più significativi del software libero, offrendo un’alternativa credibile ai prodotti Microsoft in ambito office automation.

Il team di LibreOffice – e prima ancora quello di OpenOffice – ha spesso denunciato la mancanza di documentazione chiara, i cambiamenti non tracciati nel comportamento dei formati, e le difficoltà nel garantire che i file prodotti con LibreOffice mantengano layout, stili e funzionalità identiche una volta aperti in Microsoft Office.

Questa situazione crea un circolo vizioso: gli utenti preferiscono Microsoft Office perché garantisce una migliore compatibilità con i formati più diffusi, ma questa diffusione dipende proprio dal controllo che Microsoft esercita sugli standard de facto. Il blocco dell’account di uno sviluppatore chiave di LibreOffice può essere interpretato come un’ulteriore manifestazione di questa dinamica competitiva.

4.3 La necessità di standard veramente aperti

La soluzione a questo conflitto richiede un impegno deciso verso l’adozione di standard veramente aperti e interoperabili. Come evidenziato nell’analisi del caso, Microsoft dovrebbe impegnarsi pubblicamente ad adottare esclusivamente la versione ISO “Strict” di OOXML nei propri software e documentare in modo trasparente eventuali estensioni o deviazioni.

L’Unione Europea potrebbe svolgere un ruolo determinante in questo processo, imponendo l’uso di standard aperti nelle pubbliche amministrazioni e incentivando l’adozione di soluzioni software libere. Il Digital Services Act e il Digital Markets Act forniscono strumenti normativi che potrebbero essere utilizzati per promuovere l’interoperabilità e contrastare le pratiche anticoncorrenziali.

5. L’automazione dei processi decisionali e i diritti procedurali

5.1 La “giustizia algoritmica” e i suoi limiti

Il caso Kaganski evidenzia una delle problematiche più critiche dell’economia digitale contemporanea: l’automazione totale dei processi decisionali che riguardano l’accesso ai servizi essenziali. Microsoft ha automatizzato ogni fase critica dell’interazione con l’utente, senza garantire fallback umani o sistemi di escalation efficaci. Il risultato è una “giustizia automatizzata” e inappellabile.

Questa configurazione viola principi fondamentali del diritto processuale, primo fra tutti il diritto di difesa. L’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo garantisce il diritto a un processo equo, che include la possibilità di essere sentiti e di contestare le decisioni che ci riguardano. Tuttavia, l’automazione dei processi decisionali delle piattaforme digitali svuota questi diritti di ogni contenuto sostanziale.

Il GDPR, all’articolo 22, prevede il “diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato”, ma questa norma si applica solo ai dati personali e non copre le decisioni relative alla fornitura di servizi. Emerge così una lacuna normativa che consente alle piattaforme di prendere decisioni automatizzate con impatti significativi sui diritti degli utenti senza garantire alcuna forma di tutela procedurale.

5.2 L’asimmetria informativa e il potere delle piattaforme

L’analisi del caso Kaganski rivela un’asimmetria informativa strutturale tra utenti e piattaforme. Il blocco dell’account è avvenuto per un presunto uso improprio (non dimostrato), seguito da un processo di recupero interamente automatizzato e fallimentare. L’utente non ha ricevuto spiegazioni dettagliate sui motivi del blocco né ha avuto la possibilità di contestare la decisione attraverso un processo trasparente e contraddittorio.

Questa opacità non è accidentale, ma rappresenta una caratteristica strutturale del modello di business delle grandi piattaforme. La trasparenza sui criteri di moderazione e sui processi decisionali potrebbe infatti compromettere l’efficacia degli algoritmi e fornire informazioni utili a chi intende aggirare le regole della piattaforma.

Tuttavia, questa giustificazione non può prevalere sui diritti fondamentali degli utenti. È necessario trovare un equilibrio che garantisca tanto l’efficacia dei sistemi di moderazione quanto il rispetto dei principi di trasparenza e contraddittorio.

5.3 Verso un diritto procedurale digitale

La soluzione a questi problemi richiede lo sviluppo di un vero e proprio “diritto procedurale digitale” che estenda le garanzie processuali tradizionali all’ambiente digitale. Questo comporta l’introduzione di obblighi specifici per le piattaforme dominanti:

  1. Obbligo di motivazione: ogni decisione che comporti la limitazione dell’accesso ai servizi deve essere adeguatamente motivata, con l’indicazione specifica delle norme violate e delle evidenze su cui si basa la decisione.
  2. Diritto di difesa: gli utenti devono avere la possibilità di contestare le decisioni attraverso un processo strutturato che preveda l’intervento umano nelle fasi decisive.
  3. Proporzionalità: le misure adottate devono essere proporzionate alla gravità della violazione, prevedendo sanzioni graduate e la possibilità di rimedi meno invasivi.
  4. Trasparenza algoritmica: le piattaforme devono fornire informazioni comprensibili sui criteri utilizzati dai loro algoritmi per le decisioni che impattano sui diritti degli utenti.

6. Le responsabilità delle piattaforme dominanti

6.1 Il concetto di “gatekeeper” nel Digital Markets Act

Il Digital Markets Act (DMA), entrato in vigore nel 2022, introduce il concetto di “gatekeeper” per identificare le piattaforme che svolgono un ruolo di controllo dell’accesso ai mercati digitali. Microsoft, in virtù delle sue dimensioni e della sua posizione dominante, rientra chiaramente in questa categoria e deve quindi rispettare obblighi specifici volti a garantire un mercato più equo e competitivo.

Il caso Kaganski dimostra come questi obblighi debbano essere estesi oltre la sfera strettamente commerciale per includere anche la tutela dei diritti procedurali degli utenti. Una piattaforma che controlla l’accesso a servizi essenziali non può operare secondo logiche puramente privatistiche, ma deve assumere responsabilità quasi-pubblicistiche.

6.2 L’obbligo di neutralità dei servizi essenziali

Quando un servizio digitale raggiunge una posizione dominante tale da diventare essenziale per l’attività lavorativa o sociale degli utenti, dovrebbe essere soggetto a obblighi di neutralità analoghi a quelli previsti per i servizi di pubblica utilità. Questo significa che la fornitura del servizio non può essere subordinata a valutazioni discrezionali del provider, ma deve essere garantita secondo criteri oggettivi e trasparenti.

Microsoft dovrebbe garantire che i suoi servizi – come Outlook.com, Azure, OneDrive – non discriminino in alcun modo utenti in base all’attività professionale, all’uso di software open source, o alla natura dei contenuti, se questi rispettano le leggi e i termini di servizio.

Il blocco dell’account di uno sviluppatore di software libero, anche se dovuto a un malfunzionamento dell’algoritmo, solleva interrogativi sulla neutralità della piattaforma e sulla possibilità che i criteri di moderazione siano influenzati da considerazioni competitive.

6.3 La responsabilità sociale delle piattaforme

Le grandi piattaforme tecnologiche hanno acquisito un potere che trascende la sfera economica per influenzare direttamente l’esercizio dei diritti fondamentali e la partecipazione alla vita sociale e democratica. Questo potere comporta responsabilità che vanno oltre quelle previste dal diritto contrattuale tradizionale.

Il caso Kaganski evidenzia come il blocco di un account non comporti solo la perdita di un servizio commerciale, ma possa compromettere l’attività lavorativa, la partecipazione a progetti collaborativi e l’esercizio della libertà di espressione. Quando un utente perde l’accesso a un account Microsoft, perde spesso molto più di un indirizzo email: perde autenticazione a due fattori, accesso ai file in cloud, a strumenti di lavoro e ai propri dati personali.

Questa situazione richiede lo sviluppo di nuovi paradigmi normativi che riconoscano le piattaforme dominanti come “infrastrutture sociali” soggette a obblighi specifici di tutela dei diritti degli utenti.

7. Proposte di riforma e raccomandazioni

7.1 Rafforzamento del quadro normativo europeo

L’analisi condotta evidenzia la necessità di un significativo rafforzamento del quadro normativo europeo per affrontare le sfide poste dall’economia delle piattaforme. Le proposte di riforma dovrebbero articolarsi su diversi livelli:

Livello costituzionale: Introduzione nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea di un diritto specifico alla continuità dei servizi digitali essenziali, che garantisca agli utenti la possibilità di accedere ai propri dati e di contestare le decisioni delle piattaforme attraverso procedure trasparenti e contraddittorie.

Livello legislativo: Modifica del Digital Services Act per includere obblighi specifici di due diligence procedurale per le piattaforme dominanti, con l’introduzione di sanzioni severe per le violazioni dei diritti procedurali degli utenti.

Livello regolamentare: Sviluppo di linee guida tecniche per l’implementazione di sistemi di moderazione trasparenti e contestabili, con l’obbligo per le piattaforme di sottoporsi a audit indipendenti sui loro processi decisionali automatizzati.

7.2 Creazione di un’Autorità europea per i diritti digitali

La complessità delle questioni sollevate dal caso Kaganski suggerisce la necessità di istituire un’Autorità europea specializzata nella tutela dei diritti digitali, con competenze specifiche sui servizi cloud e sulle piattaforme dominanti. Questa autorità dovrebbe avere i seguenti poteri:

  1. Potere di indagine: facoltà di richiedere alle piattaforme informazioni dettagliate sui loro algoritmi e processi decisionali, con particolare riferimento ai criteri utilizzati per la moderazione dei contenuti e la sospensione degli account.
  2. Potere sanzionatorio: capacità di irrogare sanzioni amministrative significative per le violazioni dei diritti procedurali degli utenti, con particolare attenzione alle pratiche discriminatorie nei confronti del software libero e degli standard aperti.
  3. Potere di mediazione: istituzione di procedure di risoluzione alternativa delle controversie per i casi di sospensione arbitraria degli account, con l’obbligo per le piattaforme di partecipare in buona fede al processo.

7.3 Promozione dell’interoperabilità e degli standard aperti

Il caso Kaganski evidenzia l’importanza strategica dell’interoperabilità per garantire la concorrenza e prevenire comportamenti abusivi. Le istituzioni europee dovrebbero adottare misure specifiche per promuovere l’adozione di standard veramente aperti:

Obblighi per le pubbliche amministrazioni: introduzione di un obbligo generale per le PA europee di utilizzare formati di file aperti e interoperabili per tutti i documenti ufficiali, con progressiva dismissione dei formati proprietari.

Incentivi fiscali: creazione di agevolazioni fiscali per le aziende che adottano soluzioni software basate su standard aperti, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese.

Investimenti pubblici: finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per migliorare l’interoperabilità tra software libero e proprietario, con particolare attenzione alla compatibilità dei formati documentali.

7.4 Sviluppo di un’infrastruttura cloud europea

La realizzazione della sovranità digitale europea richiede investimenti significativi nello sviluppo di un’infrastruttura cloud alternativa a quella dominata dagli operatori americani. Questo processo dovrebbe articolarsi su tre livelli:

Livello infrastrutturale: potenziamento del progetto Gaia-X attraverso investimenti pubblici diretti e partnership pubblico-private, con l’obiettivo di creare un’alternativa credibile ai servizi di Amazon, Microsoft e Google.

Livello applicativo: sostegno allo sviluppo di suite software europee alternative a quelle americane, con particolare attenzione ai progetti di software libero come LibreOffice e Nextcloud.

Livello normativo: introduzione di criteri di preferenza europea negli appalti pubblici per i servizi cloud, nel rispetto delle regole del mercato interno e degli accordi commerciali internazionali.

8. Conclusioni

L’analisi del caso Mike Kaganski rivela le profonde contraddizioni strutturali dell’attuale modello di governance digitale. La concentrazione del controllo infrastrutturale in pochi operatori extraeuropei, combinata con l’automazione totale dei processi decisionali, crea un sistema in cui i diritti digitali fondamentali possono essere compressi senza possibilità di ricorso effettivo.

Il blocco arbitrario dell’account di uno sviluppatore di software libero non rappresenta un episodio isolato, ma il sintomo di una deriva più ampia verso forme di “feudalesimo digitale” in cui pochi signori tecnologici esercitano un potere discrezionale e incontrollabile sulle vite digitali di milioni di cittadini europei.

Questa situazione compromette non solo i diritti individuali, ma anche obiettivi strategici dell’Unione Europea come la sovranità digitale, la promozione dell’innovazione e la tutela della concorrenza. Il controllo degli standard de facto e delle infrastrutture di comunicazione consente infatti alle piattaforme dominanti di ostacolare lo sviluppo di alternative credibili, perpetuando la propria posizione dominante.

La risposta a queste sfide richiede un approccio sistemico che combini riforme normative, investimenti infrastrutturali e iniziative per la promozione dell’interoperabilità. Non si tratta semplicemente di regolare meglio l’esistente, ma di immaginare un modello alternativo di governance digitale basato sui principi di trasparenza, contestabilità e neutralità.

Il diritto europeo deve evolversi per affrontare le specificità dell’economia digitale, sviluppando nuovi paradigmi normativi che riconoscano le piattaforme dominanti come “infrastrutture sociali” soggette a obblighi quasi-pubblicistici. Questo significa superare la tradizionale dicotomia pubblico-privato per sviluppare forme ibride di regolazione che garantiscano tanto l’innovazione quanto la tutela dei diritti fondamentali.

Il caso Kaganski, pur nella sua apparente specificità tecnica, solleva quindi questioni di portata costituzionale che interrogano il futuro stesso del progetto europeo. La capacità dell’Unione Europea di rispondere a queste sfide determinerà non solo il successo della strategia digitale europea, ma anche la credibilità dell’Europa come spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’era digitale.

L’urgenza di queste riforme è testimoniata dalla rapidità con cui si moltiplicano episodi analoghi a quello di Kaganski. Ogni giorno che passa senza un’azione decisiva è un giorno in cui i diritti digitali dei cittadini europei rimangono esposti all’arbitrio di algoritmi opachi e incontrollabili. Il tempo per l’azione è adesso, prima che la dipendenza strutturale dalle piattaforme americane diventi irreversibile.


Bibliografia essenziale

  • Caso Mike Kaganski: Il Dramma dello sviluppatore LibreOffice: Microsoft blocca l’account e nessuno lo aiuta, Il Software, 2025
  • European Commission, Digital Services Act, 2022
  • European Commission, Digital Markets Act, 2022
  • European Commission, Data Governance Act, 2022
  • Court of Justice of the European Union, Schrems II, 2020
  • Cloud Act e Unione europea: il buco di legge sui nostri dati, Editorialedomani, 2021
  • Sovranità digitale, le mosse dei Paesi Ue, Agenda Digitale, 2022
  • EDPB, Codice di condotta per i Cloud Provider, 2021

Appendice: cronologia del caso Kaganski

22 luglio 2025: Mike Kaganski tenta di inviare un messaggio alla mailing list LibreOffice tramite Thunderbird. Al secondo tentativo, l’account Microsoft viene bloccato.

23-25 luglio 2025: Tentativi fallimentari di recupero account attraverso i canali automatizzati Microsoft. La verifica telefonica restituisce errori, il supporto risulta inaccessibile senza account attivo.

25 luglio 2025: Kaganski pubblica sul suo blog personale un resoconto dettagliato dell’accaduto, sollevando interrogativi sulla trasparenza e accountability dei sistemi automatizzati Microsoft.

26 luglio-1 agosto 2025: Il caso riceve attenzione mediatica, evidenziando problematiche strutturali nell’approccio delle big tech alla gestione degli account utente.

 

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