Adozioni: il giudice può derogare alla regola che impone un limite massimo alla differenza di età tra genitore adottivo e figlio (Cassazione 2303/2002)
Suprema Corte di Cassazione,
Sezione Prima Civile, sentenza n.2303/2002. (Presidente: G. Losavio;
Relatore: G. Salmè)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto dell’11 febbraio 1999 il Tribunale per i minorenni di
Catania ha respinto la richiesta di attribuzione degli effetti di
affidamento preadottivo al provvedimento del Governo di ( ). in data 3
giugno 1996 con il quale è stata dichiarata l’adozione della minore
T.A.S., nata a M. il 3 novembre 1982, da parte dei coniugi S.I. nato il 9
settembre 1934 e M.C.A. nata il 12 agosto 1950, dichiarati idonei
all’adozione internazionale, con decreto della Corte d’appello di
Catania del 4 ottobre 1995 (il ricorso per cassazione proposto avverso
questo provvedimento dal Procuratore generale di Catania è stato
rigettato con sentenza di questa Corte n. 5567 del 1996).
Con sentenza 8 febbraio 2000 n. 1366 questa Corte ha annullato il
provvedimento affermando che, sulla base del testo del combinato disposto
degli artt. 32, lett. a) e 6 della legge n. 184 del 1983, nella lettura
imposta dalle sentenze della Corte costituzionale n. 303 del 1996 e 183
del 1999, il Tribunale per i minorenni è tenuto, in primo luogo, ad
accertare se la differenza di età esistente tra adottanti e adottando
rientri nei parametri fissati dalle indicate sentenze e, quindi, a
verificare se il superamento cosí contenuto dei limiti previsti
dall’art. 6 sia imposto dall’esigenza, da apprezzare con riguardo alla
globalità delle circostanze di fatto emergenti dalla specifica vicenda,
di evitare il rischio di un grave nocumento per il minore, determinato dal
mancato inserimento in quella specifica famiglia adottiva.
In particolare, si è affermato che il riferimento a criteri elastici,
quale quello del divario di età compatibile con la funzione
dell’adozione legittimante e della differenza che di solito intercorre
tra genitori e figli, impongono uno specifico e motivato accertamento che
non si fermi al puro dato anagrafico, ma si dia carico di verificare se il
superamento del limite massimo di età sia tale da non impedire alla
famiglia adottiva di assolvere ‘una funzione completamente sostitutiva
della famiglia biologica, per essere essa in possesso di tutti i requisiti
di una famiglia nella quale ordinariamente avviene l’accoglienza della
nascita, l’assistenza e l’educazione del fanciullo.
Tale accertamento, secondo la richiamata sentenza di questa Corte, deve
essere svolto tenendo conto delle importanti trasformazioni sociali
verificatesi negli ultimi anni e dell’evoluzione dei costumi e della
scienza, e quindi dei molteplici fattori attinenti all’allungamento
della vita media, alla progressiva dilatazione dell’arco della vita nel
quale la natura conferisce attitudine alla procreazione, al fenomeno
ampiamente riscontrabile del notevole innalzamento dell’età in cui si
trova stabile occupazione, si contrae matrimonio e si concepiscono figli.
L’indagine in discorso non può, sotto altro aspetto, non tenere
conto dell’età dell’adottando, atteso che il minore che abbia
superato la soglia dell’adolescenza e sia prossimo al raggiungimento Dei
diciotto anni ha certamente esigenza (non inferiori, ma) diverse da quelle
proprie del minore in tenera età , richiedenti soprattutto capacità di
ascolto, attenzione, comprensione e dialogo, e quindi un diverso modo di
espletarsi della funzione genitoriale.
Il provvedimento impugnato è stato dunque cassato perchè, limitandosi
ad affermare che la differenza di età tra lo I.e la minore non rientra
nei limiti del divario che di solito intercorre tra genitori e figli,
aveva fornito una motivazione apodittica e generica, in quanto attraverso
il mero riferimento ad un supposto dato statistico finiva con
l’attribuire un valore aprioristicamente ostativo a tale elemento
anagrafico.
Il giudice del rinvio doveva pertanto accertare, con riguardi a tutti
gli elementi di valutazione innanzi richiamati, se la differenza di età
tra lo I.e la minore fosse riducibile nei limiti della deroga consentita
dal testo emanato dall’art. 6 e, in caso positivo, riscontrare se la
deroga stessa fosse in concreto giustificata dalla necessità di evitare
alla minore un danno grave e non altrimenti evitabile, per effetto del
mancato inserimento in quella specifica famiglia, adottiva.
Il Tribunale per i minorenni di Catania con il provvedimento in questa
sede impugnato ha nuovamente rigettato la richiesta dei coniugi.
Il Tribunale ha, in primo luogo, affermato che il divario di età tra
la minore e S.I., pari a 48 anni, è molto maggiore di quello che di
solito intercorre tra genitori e figli, come risulterebbe dalle
statistiche ISTAT (allegate come parte integrante del presente
provvedimento) secondo le quali solo l’1, 77% dei figli legittimi hanno
entrambi i genitori ultraquarantenni e solo in 54 casi su 484.345 hanno
padri ultrasessantenni.
Ne si sarebbe verificata un’evoluzione naturale tale da comportare
l’innalzamento dell’età procreativa, perchè la procreazione da parte
di anziani frutto dell’utilizzazione di tecniche artificiali.
In secondo luogo, il Tribunale ha affermato che la differenza di età
non consentirebbe ai coniugi di svolgere una funzione complementare
sostitutiva della famiglia biologica, perchè dagli attuali sviluppi delle
scienze psicologiche e biologiche emergerebbe il bisogno del bambino di
essere compreso da genitori senza eccessivi scarti generazionali, tenendo
presente che il rischio di avere dei nonni invece che dei genitori è
ancora maggiore nel caso di filiazione adottiva rispetto a quella
biologica.
Riguardo agli adolescenti, poi, la disparità di valori derivante dallo
scarto generazionale comporterebbe un’accentuazione della conflittualità
propria della crisi adolescenziale.
Il tutto poi sarebbe aggravato dalle differenze culturali proprie
dell’adozione internazionale.
In terzo luogo, il Tribunale ha osservato che quando il divario d’età
si pone al di fuori di quello ragionevolmente contenuto, come nella
specie, sussisterebbe una presunzione di contrarietà dell’adozione
legittimante all’interesse del minore.
Ne avrebbe rilievo la circostanza che l’unico inserimento possibile
sarebbe quello presso il nucleo familiare degli istanti, perchè si
tratterebbe di circostanza creata successivamente all’ingresso della
minore in Italia.
Avverso il provvedimento del Tribunale per i minorenni di Catania i
coniugi I-A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Premesso che, nonostante che, con provvedimento in data pari a quella
in cui è stato pronunciato il decreto impugnato, il Tribunale abbia
disposto l’adozione della minore ai sensi dell’art. 44 dett. c) della
legge n. 184 del 1983, permane l’interesse a ricorrere, per la diversità
degli effetti di tale adozione rispetto all’adozione legittimante, i
ricorrenti, con il primo motivo, deducono la violazione degli artt. 6, 30
e 32 della predetta legge e dei principi dettati con la precedente
sentenza di questa Corte e con il secondo motivo prospettano vizio di
motivazione con riferimento alle stesse norme.
Il giudice del merito, secondo i ricorrenti, non avrebbe compiuto
accertamenti e valutazioni delle concrete circostanze, ma si sarebbe
limitato a ripetere affermazioni generali, riproducendo delle statistiche
che non hanno alcun riferimento alla loro situazione e richiamando nozioni
delle scienze pedagogiche e psicologiche del tutto generiche.
Di nuovo il Tribunale avrebbe omessa la valutazione del periodo
trascorso dalla adottanda presso i coniugi ricorrenti, del positivo
inserimento nel contesto scolastico, sociale e culturale, risultante dalle
indagini dei servizi sociali, dell’età , ormai maggiore,
dell’adottanda, della sussistenza dei presupposti per la pronuncia
dell’adozione ex art. 44 della legge n. 184 del 1983, consistente nel
pregiudizio che deriverebbe dal distacco dalla famiglia degli adottanti
della positiva valutazione delle qualità effettive e pedagogiche degli
stessi, anche in relazione all’età della A., ampiamente compresa in
quella prevista dalla legge.
Il ricorso è ammissibile, in quanto la pronuncia di adozione ex art.44
lett. c) della legge n. 184 del 1983, non ha fatto venire meno
l’interesse all’accoglimento del ricorso, diretto a far dichiarare
efficace in Italia il provvedimento straniero di adozione, stante la
diversità di effetti dell’adozione ex art. 44 rispetto a quelli
derivanti dalla dichiarazione d’efficacia ex art. 32.
Il ricorso è anche fondato.
Il nucleo precettivo del combinato disposto degli artt. 6, 30 e 32
della legge n. 184 del 1983, quale risulta dai numerosi interventi
manipolativi della Corte costituzionale (a partire dalla sentenza n. 183
del 1988 e quindi con le sentenze nn. 44 del 1990, 148 del 1992, 303 del
1996, 249/1998 e 283 del 1999) può sintetizzarsi nel principio che la
differenza di età tra adottanti e adottando non deve essere intesa in
modo assoluto e rigido, ma, tenendo presente, nel superiore interesse
della minore, la peculiarità del caso concreto, essendo consentito, in
casi eccezionali, derogare alla regola del divario massimo di età che
deve intercorrere tra adottanti e adottando quando sussistano le due
condizioni della: differenza di età pur sempre compresa in quella che di
solito intercorre tra genitori e figli; e del danno grave e non altrimenti
avitabile che deriverebbe al minore dalla mancata adozione.
La prima conseguenza che deriva dal combinato disposto normativo sopra
indicato è, quindi (come già messo in evidenza dalla precedente sentenza
di questa Corte, che ha posto questa affermazione a premessa
dell’ulteriore rilievo attinente al difetto di motivazione), che le
indagini e le valutazioni del giudice del merito non debbono svolgersi sul
piano astratto e generale, ma, in ossequio al principio di rilevanza
costituzione della tutela del prevalente interesse del minore, debbono
avere ad oggetto la fattispecie concreta.
Un’indagine e una valutazione dell’interesse del minore che
rimanesse astratta dalle specifiche peculiarità del caso concreto,
infatti, finirebbe per assegnare all’interesse del minore il ruolo di un
mero stereotipo, tra l’altro variabile a seconda delle impostazioni
culturali o della sensibilità individuale del giudice, mentre il
principio costituzionale della tutela del prevalente interesse del minore
intende garantire la tutela più piena possibile ai concreti bisogni
affettivi ed educativi di ciascuno e di tutti i minori coinvolti nelle
vicende giudiziarie sottoposte al vaglio del giudice di merito.
Poichè, nella specie, il Tribunale per i minorenni ha nuovamente
svolto le sue valutazioni sul piano generale, astraendo dalle peculiarità
del caso concreto, ancor prima di omettere di compiere tutti gli
accertamenti indicati nella precedente sentenza di questa Corte, ha
violato il principio di diritto, anch’esso indicato nell’indicata
sentenza, che esige che dette valutazioni si svolgano con specifico ed
esclusivo riferimento alle peculiarità del caso concreto.
Il giudice di merito, in primo luogo, ha affermato che il divario di età
tra gli attuali ricorrenti e l’adottanda supera di gran lunga quello che
di solito intercorre tra genitori e figli sulla base di dati statistici
riguardanti la situazione di figli (non si sa di quale età ) che hanno i
genitori entrambi quarantenni e di quelli che, in questo gruppo
statistico, hanno padri ultra sessantenni, mentre l’indagine, per
rimanere aderente al caso concreto, doveva riguardare le situazioni in cui
la differenza d’età tra genitori e figli è quella corrispondente a un
padre maggiore di quarantotto anni e la madre maggiore di trentadue
rispetto al figlio.
Un ulteriore errore giuridico compiuto dal giudice di merito è quello
di avere inteso il di solito che nella giurisprudenza costituzionale
qualifica la differenza d’età intercorrente tra genitori e figli, come
un mero rinvio alla norma statistica, senza tenere conto della valutazione
sociale che divergere da tale norma, nonostante che la precedente sentenza
di questa Corte avesse ammonito di non limitare l’indagine al puro dato
anagrafico, invitando ad estendere alle trasformazioni sociali,
all’evoluzione dei costumi e della scienza, alle evidenze demografiche
(che registrano un costante aumento della vita media e un innalzamento
dell’età in cui si contrae matrimonio).
Alla luce di questi elementi, del tutto trascurati, avrebbe dovuto
verificarsi se la differenza d’età che in concreto intercorre tra
adottanti e adottanda, pur non essendo compresa nella norma statistica,
possa essere considerata, dal punto di vista sociale, come normale.
Ne senza rilievo è poi la circostanza che, in concomitanza con la
pronuncia del provvedimento impugnato si sono svolti i lavori parlamentari
relativi a varie proposte di riforma della legge n. 184 del 1983,
conclusisi con l’approvazione della legge n. 149 del 2001 (che, con
l’art. 6, modificando l’art. 6 della legge n. 184 del 1983, non solo
ha innalzato il divario di età tra adottanti e adottando, ma ha anche
recepito la giurisprudenza costituzionale sopra richiamata e ha consentito
in limiti molto ampi l’adozione nel caso in cui il superamento del
divario di età riguardi solo uno degli adottanti).
In tali lavori, infatti, sono stati oggetto di dibattito proprio quelle
trasformazioni sociali, culturali e demografiche che questa Corte aveva
invitato a valutare e che, invece, il Tribunale per i minorenni ha del
tutto trascurato o banalizzato, come quando ha identificato il fenomeno
dell’innalzamento dell’età procreativa con quello
dell’utilizzazione delle tecniche di fecondazione assistita, non
intendendo che il richiamo a tale fenomeno, contenuto nella precedente
sentenza, si riferiva piuttosto al fatto notorio che le coppie decidono di
avere figli in età maggiore di quella in cui tale decisione veniva pr