Le
intercettazioni acquisite dalla polizia giudiziaria e riguardanti colloqui
con i c.d. confidenti non possono essere utilizzate nel processo in
mancanza di autorizzazione del giudice. La registrazione fonografica,
effettuata clandestinamente da personale della polizia giudiziaria, di
colloqui intercorsi tra la polizia e le persone informate dei fatti, non è
utilizzabile come prova se non preceduta dall’autorizzazione del l’autorità
giudiziaria.
Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza
n.36747/2003
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 6 dicembre 2001,
confermava il giudizio di colpevolezza espresso dal Tribunale di Lamezia
Terme nei confronti di U. T. e G. C. in ordine ai delitti, commessi fino
al luglio 1999 in continuazione tra loro, di detenzione a fine di spaccio
e di cessione a terzi di sostanze stupefacenti di tipo "pesante"
(capi A e B, per il primo; capo F, con l’attenuante ex comma cinque
dell’art. 73 d.P.R. 309/90, per il secondo), ma riduceva la pena inflitta
ad entrambi i prevenuti, previa concessione al solo T. delle circostanze
attenuanti generiche, entro limiti ritenuti di giustizia.
Rilevava, preliminarmente, il giudice di merito l’inutilizzabilità, per
violazione degli artt. 63 e 65 in relazione agli artt. 191 e 350/7° c.p.p,
delle prime dichiarazioni, significative per l’accusa, rese alla Guardia
di Finanza (e da questa registrate) da tale N. – indagato sentito senza
l’assistenza del difensore – e dagli "informatori" G., C. e I.,
i quali, pur non essendo, all’epoca, formalmente indagati, versavano
sostanzialmente in tale condizione, che avrebbe dovuto imporre
l’osservanza delle prescritte garanzie anche per l’eventuale esercizio
dello ius tacendi; da cio’ derivava, sempre secondo il giudice a quo, pure
l’inammissibilità della testimonianza de relato sul contenuto dei detti
atti viziati.
Valorizzava, tuttavia, ulteriori emergenze e in particolare: 1) le
registrazioni di altri colloqui intercorsi tra i finanzieri e i loro
informatori (con esclusione dei casi prima citati) "operate
all’insaputa di questi ultimi e in assenza di specifica autorizzazione
dell’autorità giudiziaria", precisando che la mancata
verbalizzazione di tale attività, in quanto non espressamente sanzionata,
non determinava l’inutilizzabilità dei relativi esiti narrativi; 2)
alcune deposizioni testimoniali; 3) le dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia Di Stefano e D’Elia, imputati di reato
connesso; 4) il contenuto delle sommarie informazioni rilasciate, in sede
di indagini il 13 ottobre 1999 e il 3 maggio 2000, da I. Domenico,
regolarmente verbalizzate dalla p.g. e lette in dibattimento ex art. 512
c.p.p. Riteneva provate, sulla base di tali acquisizioni, per il T., le
cessioni di droga a F. C., Vincenzo G. e Domenico lonadi e, per il C.,
quelle a Michele D. e al predetto I..
2. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i
rispettivi difensori, gli imputati.
Il T., in particolare, ha lamentato: 1) manifesta illogicità della
motivazione, nella parte relativa alla cessione di droga al G., essendosi
fatto leva sulle dichiarazioni accusatorie di costui, ritenute, in altra
parte della sentenza, inutilizzabili; 2) violazione di norme processuali e
connesso vizio di motivazione in relazione all’illecita cessione in favore
del C.: illegittima l’utilizzazione della registrazione del colloquio tra
costui e la polizia giudiziaria, perchè si era violato il dovere di
verbalizzazione ex art. 357 c.p.p., il che rendeva inammissibile, ex art.
195/4° c.p.p., anche la testimonianza de relato sul punto, e perchè tale
attività, violando il diritto alla segretezza delle comunicazioni (art.
15 Costituzione), doveva qualificarsi vera e propria intercettazione
ambientale, che avrebbe richiesto il rispetto della disciplina di cui agli
artt. 266 e ss. c.p.p.; 3) violazione della legge processuale e vizio di
motivazione, per essere stata data lettura, ai sensi dell’art. 512 c.p.p.,
delle dichiarazioni accusatorie in data 13 ottobre 1999 e 3 maggio 2000
rilasciate, durante la fase delle indagini, dallo I., che si era sottratto
all’esame dibattimentale, rendendosi volontariamente irreperibile, non
essendo risultato provato che fosse stato fatto oggetto di minacce.
Il C., anche con precisazioni contenute in motivi aggiunti, ha dedotto: 1)
violazione della legge processuale, con riferimento agli artt. 526/1-bis
c.p.p. e 111 Costituzione e per le stesse ragioni enunciate dal T., circa
l’utilizzazione delle dichiarazioni procedimentali dello I.; 2) manifesta
illogicità della motivazione nel punto relativo all’illecita cessione al
D., le cui dichiarazioni non avevano trovato alcun altro riscontro, nonchè
nella parte in cui aveva comunque utilizzato le dichiarazioni dello I.,
pur ritenute, in altro passaggio, non utilizzabili.
3. La sesta sezione, alla quale il ricorso era stato assegnato, rilevato
che la questione giuridica – prospettata con uno dei motivi di ricorso –
concernente l’utilizzazione delle registrazioni dei colloqui intercorsi
tra personale della p.g. e suoi informatori, effettuate all’insaputa di
questi ultimi e in assenza di autorizzazione dell’autorità giudiziaria,
presentasse profili di "delicatezza" e di "opinabilità"
e fosse oggetto di orientamenti difformi nella giurisprudenza di
legittimità, con ordinanza 6 febbraio-7 marzo 2003, rimetteva la
soluzione del contrasto alle Sezioni unite.
Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando
per la trattazione l’odierna udienza pubblica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso del T. è in parte fondato, va accolto nei limiti di seguito
precisati e, nel resto, va rigettato; quello del C., invece, è privo di
qualunque pregio.
La questione sottoposta all’esame delle Sezioni unite è "se la
registrazione fonografica di colloqui intercorsi tra operatori di polizia
giudiziaria e loro informatori, effettuata ad iniziativa dei primi e
all’insaputa dei secondi, richieda, ai fini dell’utilizzabilità
probatoria dei contenuti, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria
nelle forme e nei termini previsti per le intercettazioni di conversazioni
o di comunicazioni tra presenti", essendosi delineati sul tema
contrastanti indirizzi interpretativi nella giurisprudenza di legittimità.
Tali contrasti, per la verità, non si evidenziano in maniera massiccia e
radicale, forse perchè le soluzioni di volta in volta fornite non sempre
sono riconducibili ad un medesimo principio, ma risentono piuttosto del
condizionamento rinveniente dalla contingenza del singolo caso concreto.
Sta di fatto che, secondo l’orientamento assolutamente maggioritario, pur
nella variegata gamma di situazioni esaminate, le registrazioni di
conversazioni o di comunicazioni ad opera di uno degli interlocutori (a
nulla rilevando se costui appartenga alla polizia giudiziaria o agisca
d’intesa con questa) non sono riconducibili nel novero delle
intercettazioni e non soggiacciono alla disciplina per queste ultime
prevista, considerato che difetta, in tali casi, l’occulta percezione del
contenuto dichiarativo da parte di soggetti estranei alla cerchia degli
interlocutori e che si realizza soltanto la memorizzazione fonica di
notizie liberamente fornite e lecitamente apprese, con l’effetto che le
relative bobine possono essere legittimamente acquisite al processo come
documenti (cfr. Cassazione sezione prima, 22 aprile 1992, Artuso; sezione
sesta, 6 giugno 1993, De Tomasi; 8 aprile 1994, Giannola; 10 aprile 1996,
Bordon; sezione prima, 6 maggio 1996, Scali; sezione quarta, 9 luglio
1996, Cannella; sezione sesta 15 maggio 1997, Mariniello; sezione quarta
11 giugno 1998, Cabrini; sezione quinta 10 novembre 1998, Poli; sezione
prima, 2 marzo 1999, Cavinato; sezione sesta 8 aprile 1999, Sacco; sezione
sesta 18 ottobre 2000, Paviglianiti; sezione prima, 14 aprile 1999,
Iacovone; 21 marzo 2001, La Rosa; sezione terza, 12 luglio 2001, Vanacore;
sezione prima, 23 gennaio 2002, Aquino; sezione seconda, 5 novembre 2002,
Madeffino).
A fronte di tale indirizzo, ve n’è altro minoritario che, con riferimento
alla registrazione di colloqui o di comunicazioni da parte della polizia o
di suoi incaricati, ritiene trattarsi di una vera e propria
intercettazione, le cui regole, che impongono strumenti tipici, non
possono surrettiziamente essere aggirate, e cio’ perchè
"l’intervento della polizia giudiziaria procedimentalizza in modo
atipico" la captazione telefonica o ambientale, "deprivandola
del necessario intervento del giudice" (cfr., nel vigore del codice
del ’30, Cassazione sezione seconda, 5 luglio 1988, Belfiore; 18 maggio
1989, Calabro’; nel regime del nuovo codice, sezione quinta, 1 maggio
2000, Caputo; sezione sesta, 20 novembre 2000, Finini).
Ritiene il Collegio che la scelta ermeneutica della giurisprudenza
maggioritaria sia sostanzialmente corretta, anche se va approfondita nelle
sue premesse concettuali e logico-giuridiche, nei postulati del
ragionamento che devono sorreggerla e negli effetti che da essa, in casi
particolari, conseguono sul piano processuale.
2. Primario punto di riferimento normativo dal quale partire nell’analisi
del problema non puo’ che essere l’art. 15 della Costituzione, che
sancisce l’inviolabilità della libertà e della segretezza della
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, disponendo che la
loro limitazione è eccezionalmente consentita "soltanto per atto
motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla
legge".
Tale norma ha indubbia natura precettiva e mira a proteggere due distinti
interessi: "… quello inerente alla libertà e alla segretezza delle
comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità
definiti inviolabili dall’art. 2 Costituzione, e quello connesso
all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene
anch’esso oggetto di protezione costituzionale" (cfr. Corte
costituzionale sentenza 34/1973). Affida, poi, il bilanciamento di tali
interessi e, quindi, la loro concreta tutela ad una duplice riserva, di
legge e di giurisdizione, demandando cioè al legislatore ordinario
l’individuazione delle "garanzie" che consentono limitazioni dei
valori indicati dal dettato costituzionale e al provvedimento motivato
dell’autorità giudiziaria la legittimazione delle predette restrizioni.
"La stretta attinenza della libertà e della segretezza della
comunicazione al nucleo essenziale dei valori della personalità –
attinenza che induce a qualificare il corrispondente diritto come parte
necessaria di quello spazio vitale che circonda la persona e senza il
quale questa non puo’ esistere e svilupparsi in armonia con i postulati
della dignità umana (sentenza Corte costituzionale 366/91) – comporta un
particolare vincolo interpretativo, diretto a conferire a quella libertà,
per quanto possibile, un significato espansivo", nel senso di
ricomprendervi tutto cio’ che coessenzialmente vi è legato e che
contribuisce a non vanificare il contenuto del diritto che il citato art.
15 intende assicurare al patrimonio inviolabile di ogni persona (cfr.
sentenza Corte costituzionale 81/1993; 281/98 in tema di accesso
investigativo ai c.d. tabulati, che evidenziano i "dati
esteriori" delle conversazioni telefoniche).
Il presidio costituzionale del diritto alla segretezza delle comunicazioni
non si estende anche ad un autonomo diritto alla riservatezza.
Quest’ultima è tutelata costituzionalmente soltanto in via mediata, quale
componente della libertà personale, vista nel suo aspetto di libertà
morale, della libertà di domicilio, nel suo aspetto di diritto
dell’individuo ad avere una propria sfera privata spazialmente delimitata,
e della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni forma di
comunicazione. In sostanza, la riservatezza è costituzionalmente
garantita nei limiti in cui la stessa va ad incidere su alcuni diritti di
libertà.
Immaginare che il Costituente abbia voluto imporre il silenzio
indiscriminato su ogni comunicazione interpersonale è cosa contraria alla
logica oltre che alla natura stessa degli uomini e tale realtà non poteva
sfuggire al Costituente. La riservatezza puo’ essere una virtù, ma non è
sicuramente un obbligo assoluto, imposto addirittura da una norma
costituzionale, immediatamente precettiva.
Basti, per altro, considerare che è lo stesso ordinamento ad escludere
una tutela generalizzata del diritto alla riservatezza delle
comunicazioni, posto che sono le leggi ordinarie che assicurano, in casi
specifici e determinati, in armonia con la previsione "mediata"
della Carta dei valori, tale tutela: esemplificativamente, in tema di
organizzazione dell’impresa (art. 2105 c.c.), di segreto d’ufficio (artt.
15 Testo unico 3/1957 e 28 legge 240/90), di lavoro domestico (art. 6
legge 339/58), di segreto professionale, scientifico e industriale (artt.
622 e 623 c.p.).
La tutela del diritto alla riservatezza, intesa nel senso innanzi
precisato, è in linea con l’interpretazione che ne è stata data dal
Giudice delle leggi (Corte costituzionale 81/1993) e da queste stesse
Sezioni unite (cfr. sentenza 23 febbraio 2000, D’Amuri) in relazione alla
diffusione da parte di terzi dei dati "esteriori" delle
comunicazioni telefoniche che, in via di principio, devono rimanere
nell’esclusiva disponibilità dei soggetti interessati.
La normativa in tema di intercettazioni dà attuazione all’esigenza
costituzionale di cui all’art. 15 della Carta fondamentale, che, pur non