Penale

No all’estradizione se si risolve in una condizione di obiettivo privilegio – CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 47887 del 10/12/2004

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Carlo Cicuttini, il terrorista nero condannato
con sentenza definitiva per la strage di Peteano del 1972 (nel corso della
quale rimasero uccisi tre carabinieri), non deve essere espatriato in
Spagna, in quanto, a causa dell’impossibilità di eseguire la pena in quel
paese, cio’ equivarrebbe ad un provvedimento di clemenza al di fuori della
procedura. La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha cosi’ negato
l’estradizione di Cicuttini, superando il parere favorevole espresso nel
2002 dal Ministro Roberto Castelli. La vicenda ebbe origine dalle indagini
del magistrato Felice Casson, che aveva individuato la responsabilità del
terrorista nero, ottenendone la condanna all’ergastolo, ma non
l’estradizione, perchè il Cicuttini si era rifugiato in Spagna ed aveva
preso la cittadinanza spagnola. Solo nel 1998 il Cicuttini era stato
arrestato a Tolosa, in Francia, chiedendo invano di essere estradato in
Spagna: l’allora Ministro Piero Fassino, nel 2001 nego’ l’estradizione.
Nell’ottobre 2002, invece, il nuovo Ministro Guardasigilli, Roberto
Castelli, trasmise alla Procura Generale di Venezia la richiesta di
promuovere il procedimento per il trasferimento del Cicuttini in Spagna,
ricevendo una risposta negativa da parte dei giudici, in quanto, a loro
avviso, il trasferimento in Spagna, con la scarcerazione, avrebbe dato vita
ad "una condizione di obiettivo privilegio" contraria all’ "interesse
punitivo del nostro Stato": infatti i fatti per i quali il terrorista nero
era stato condannato all’ergastolo in Italia non avevano alcuna rilevanza in
Spagna perchè rientranti nell’amnistia del 1977, e quindi il trasferimento
sarebbe stato una "concessione di grazia al di fuori della procedura". Tale
ragionamento è stato condiviso dalla Suprema Corte, che ha respinto la
richiesta del neofascista in quanto il trasferimento all’estero del
Cicuttini vanificherebbe il giudicato penale e "finirebbe per equivalere
alla concessione della grazia al di fuori della procedura prevista".


 


CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n.
47887 del 10/12/2004

(Presidente: P.
Trojano; Relatore: F. Ippolito)


 


LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE


VI SEZIONE PENALE


SENTENZA


CONSIDERATO IN FATTO


Il Procuratore generale della Repubblica di
Venezia avvio’ dinanzi alla Corte d’appello la procedura ex art. 5 legge
257/1989, su richiesta datata 16/10/2002 del Ministro della giustizia
(basata sulla convenzione di Strasburgo del 21/3/1988, resa esecutiva in
Italia con legge 25/7/1988 n. 334), il quale aveva espresso parere
favorevole all’istanza di trasferimento in Spagna di C. C. per scontare la
pena inflittagli dalla Corte d’assise d’appello di Venezia, con sentenza
pronunciata il 5 aprile 1989, divenuta irrevocabile il 29/1/1990.


Condannato all’ergastolo per i delitti di
concorso in strage al fine di attentare alla sicurezza dello Stato (con
morte di tre appartenenti all’Arma dei Carabinieri, in Peteano di Sagrato il
31/5/1972), riorganizzazione del partito fascista, furto pluriaggravato,
porto illegale d’esplosivo e d’ordigno esplosivo, il C., che ha ottenuto la
cittadinanza spagnola in data 3/5/1989 e rinunciato a quella italiana, sta
scontando la pena in Italia, dove è stato estradato dalla Francia.


L’Autorità giudiziaria spagnola aveva in
precedenza rifiutato richieste d’estradizione, affermando la natura politica
dei reati commessi dal C. e la conseguente loro riconducibilità
all’amnistia concessa con la legge spagnola 46/1977 e ritenendo, per il
principio di irretroattività della legge penale, l’inapplicabilità della
Convenzione europea sul terrorismo del 27/1/1977, sottoscritta e ratificata
(dalla Spagna e dall’Italia) in data successiva alla commissione dei reati.


La Corte veneziana, in data 10 giugno 2003, ha
deliberato in senso non favorevole alla richiesta del Ministro, in quanto i
reati di cui il C. è stato dichiarato colpevole risultano amnistiati dalla
Spagna con legge 15/10/1977 n. 46: in caso di trasferimento in quel paese,
pertanto, verrebbe meno la possibilità di eseguire la pena, cio’ che
comporta l’inapplicabilità della citata Convenzione.


Contro tale decisione ricorre per cassazione il
C., il quale deduce, come unico motivo, nullità della sentenza ai sensi
dell’art. 606.1 lett. b) ed e) del codice di procedura penale, in relazione
alla citata Convenzione di Strasburgo, all’art. 5 legge 3/7/1989 n. 257 ed
all’art. 743 c.p.p., in quanto la competenza sul merito della sanzione da
eseguire in Spagna e sulla congruità spetta al Ministro della giustizia e
non all’autorità giudiziaria.


Esorbitando dalla propria competenza, la Corte
veneziana è pertanto pervenuta a conclusioni erronee ed infondate, giacchè,
per un verso, la risposta del Governo spagnolo alla richiesta del Governo
italiano sulla richiesta di trasferimento non fa alcun cenno all’eventualità
che il delitto perseguito in Italia sia stato amnistiato in Spagna, e, per
altro verso, il riferimento ad altri atti contenuto nel fascicolo del C., e
che riguardano soltanto la sua complessa vicenda giudiziaria, sono del tutto
estranei al procedimento in corso.


Questa Corte, con ordinanza 23/2/2004, per il
tramite del Ministero della giustizia ha richiesto all’Autorità spagnola di
precisare se la legge spagnola 46/1977 sull’amnistia, già ritenuta a suo
tempo ostativa all’estradizione del C., impedisca, secondo l’ordinamento
spagnolo, l’esecuzione della pena inflitta dalla menzionata sentenza di
condanna.


L’Autorità spagnola (corte nazionale, seconda
sezione penale), con nota datata 30 giugno (qui trasmessa con missiva del
Ministero della giustizia italiano in data 8 settembre 2004), mentre ha
precisato che la pena dell’ergastolo inflitta al C. è incompatibile con la
legislazione spagnola, per cui, conformemente all’art. 10.2 della
Convenzione di Strasburgo del 21/3/1983 e dall’art. 70 del codice penale
spagnolo, il periodo d’esecuzione massima sarà di 30 anni, senza che siano
necessarie altre modifiche al contenuto punitivo di tale sentenza secondo
quanto disposto nell’art. 10.1 della medesima Convenzione, conteggiando
ovviamente il periodo di pena già scontato in Italia, nulla ha riferito
sulla specifica questione relativa all’applicazione dell’amnistia.


CONSIDERATO IN
DIRITTO


La questione posta dal ricorso del C. è se, ai
sensi degli

artt. 742, 744 del cod.
di proc. pen. [1]
, spetti alla Corte d’appello o al Ministero
della giustizia valutare l’ammissibiltà del trasferimento dell’esecuzione
della condanna all’estero nel caso in cui risulti che, per effetto di una
legge d’amnistia già in vigore nello stato estero, lo Stato richiesto non
potrà dar corso all’esecuzione della pena.


La soluzione prospettata dal ricorrente,
secondo cui tale competenza spetta al Ministro della giustizia, è infondata
per le seguenti ragioni.


Per adeguare l’ordinamento processuale italiano
agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione europea sul
trasferimento delle persone condannate, firmata a Strasburgo il 21 marzo
1983 e resa esecutiva in Italia con legge n. 334/1988, e da altri trattati
d’analogo contenuto (come quello di cooperazione per l’esecuzione delle
sentenze penali stipulato il 28/2/1984 a Bangkok tra Italia e Thailandia,
resa esecutiva con legge 369/1988), il nuovo codice di procedura penale ha
disciplinato, agli artt. 742, 746 c.p.p., l’esecuzione all’estero di
sentenze penali italiane, prevedendo che il Ministro della giustizia domanda
l’esecuzione all’estero delle sentenze penali (o vi acconsente quando essa
è richiesta dallo Stato estero) previa deliberazione favorevole della corte
d’appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna.


La necessità della previa deliberazione
favorevole da parte dell’autorità giudiziaria deriva sia da coerenze
sistematiche con le altre previsioni del codice in materia di rapporti
giurisdizionali con autorità straniere, sia dai rilevanti effetti giuridici
che il trasferimento del condannato comporta per l’ordinamento italiano.


Il principio che informa tutta la Convenzione
europea, infatti, è che l’esecuzione è disciplinata dalla legge dello
Stato d’esecuzione e non da quello dello Stato di condanna (art. 9.3 Conv.).


Lo Stato di esecuzione, fermo il divieto di
aggravare la pena (artt. 10,11 Conv.), applica le leggi, procedure e
istituti del proprio ordinamento.


La presa in carico della persona condannata da
parte dell’autorità dello Stato di esecuzione implica un sostanziale
trasferimento a quello Stato della funzione punitiva.


Ne consegue non soltanto l’ovvia sospensione
dell’esecuzione della pena nello Stato di condanna, ma anche il divieto per
quest’ultimo di eseguire la pena se lo Stato di esecuzione considera che
l’esecuzione della pena è stata completata (art. 8 Conv. eur.), nonchè la
libertà per lo Stato di esecuzione (cosi’ come, ovviamente, per quello di
condanna), di accordare la grazia, l’amnistia o la commutazione della
condanna conformemente alla propria Costituzione o ad altre leggi (art. 12).


In sostanza, una volta effettuato il
trasferimento del condannato all’estero per l’esecuzione della pena, lo
Stato di condanna perde ogni potere sul condannato, ad eccezione di quello
relativo a disposizioni o trattamenti più favorevoli (revisione, grazia,
amnistia, commutazione della pena).


Questa Corte ha avuto già modo di precisare
che compete al Ministro della giustizia il giudizio di merito relativo alle
condizioni politiche- sociali dell’ordinamento straniero, nonchè la
valutazione dell’adeguatezza, secondo i criteri previsti dall’art. 133 del
codice penale italiano, della pena da eseguire all’estero rispetto alla
durata stabilita nel titolo esecutivo italiano (cfr. Cass. VI^ 4802/1996,
ced. 204654; Cass. 1^ 2200/1999, ced. 21320; Cass. VI^ 180/1999, ced.
212568).


Compete, invece, all’autorità giudiziaria
accertare l’ammissibilità giuridica della richiesta, sulla base delle
condizioni e dei limiti previsti dalle fonti internazionali e dalla legge
interna, vagliando, se necessario, anche la norma dell’ordinamento dello
Stato estero nel quale il trasferimento deve operarsi.


Rientra pertanto nella competenza giudiziaria
accertare la sussistenza di un accordo internazionale, il consenso del
condannato all’esecuzi

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